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  • Domenica 11 ottobre 2020

L’antica scrittura segreta delle donne cinesi

Si chiama Nüshu, era stata creata per non farsi capire dagli uomini e ora si torna a parlarne

Screenshot di un diario scritto in Nüshu, da un servizio di New China TV.
Screenshot di un diario scritto in Nüshu, da un servizio di New China TV.

C’è un pezzo della cultura cinese che di recente è tornato a far parlare di sé. Riguarda un sistema di scrittura segreto che veniva utilizzato tra sole donne per non farsi capire dagli uomini. La scrittura Nüshu, infatti, fu inventata nella remota contea di Jiangyong, nella regione dell’Hunan, nel sud-est della Cina, per permettere alle donne di comunicare tra loro. Nella società patriarcale e maschilista della Cina di età imperiale – grossomodo dalla fine del terzo secolo a.C. a inizio Novecento – le donne erano considerate indegne di ricevere un’istruzione, e questa scrittura racconta parecchio della condizione di oppressione in cui vivevano. Di recente il Nüshu ha cominciato a essere insegnato all’Università Tsinghua di Pechino e anche sulla popolare app WeChat, mentre la scorsa estate è stato raccontato anche in Italia, con una mostra a Venezia.

Secondo Anne E. McLaren, professoressa di lingua e letteratura cinese all’Università di Melbourne (Australia) e autrice di uno studio approfondito sul tema, il rinvenimento della prima scrittura in Nüshu fu «una delle scoperte più affascinanti nel campo della cultura popolare cinese».

Curiosamente, molto di quello che sappiamo sul Nüshu lo dobbiamo a un uomo, Zhou Shuoyi, che negli anni Cinquanta scoprì l’esistenza di questa scrittura perché sua zia si era sposata con un uomo di un villaggio in cui c’erano donne che la parlavano ancora. Zhou iniziò ad approfondire la lingua e la cultura feudale cinese, ma le sue ricerche si interruppero perché non erano ritenute in linea coi dettami della Rivoluzione culturale: fu mandato nei campi di lavoro fino al 1979 e i testi in Nüshu che stava esaminando vennero distrutti. Una volta libero, Zhou però riprese a studiare il Nüshu e a tradurre le scritture con l’aiuto dell’ultima donna che sapeva leggere e scrivere Nüshu, Yang Huan-yi: nel 2003, un anno prima che morissero sia lui sia Yang, Zhou pubblicò il primo dizionario della scrittura Nüshu.

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Nüshu letteralmente significa “scrittura delle donne”. In linea di massima gli storici hanno osservato che la scrittura era particolarmente fiorente nel Diciannovesimo secolo, ma ritengono che abbia un’origine molto più antica, e collocano la sua nascita nel periodo della dinastia Song, dal 960 al 1279, se non addirittura durante la dinastia Shang, più di tremila anni fa. Quello che è rilevante è che questa scrittura consentiva alle donne di avere una libertà di espressione che nella maggior parte delle comunità cinesi non avevano: sia quelle di etnia han, che sono il gruppo etnico maggioritario nella regione di Hunan come nel resto della Cina, sia quelle delle minoranze yao e miao.

La scrittura Nüshu non era affatto colta. Veniva usata dalle donne delle classi povere, che per lo più erano analfabete, e tra le altre cose erano spesso sottoposte alla fasciatura dei piedi, che era «il simbolo più evocativo dello stato di oppressione a cui la donna era assoggettata nella tradizione cinese» ed era assimilata a una «forma di tortura», come ha spiegato Laura De Giorgi, professoressa di Storia dell’Asia orientale all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Per lo più, le scritture in Nüshu erano poesie tradizionali che venivano cantate durante i lavori di tessitura, ma sono anche state trovate iscrizioni su ventagli e fazzoletti, così come diari che contenevano pensieri di congratulazioni per il matrimonio da parte delle madri alle figlie e che venivano consegnati tre giorni dopo il matrimonio: sui diari le figlie avrebbero poi potuto scrivere a loro volta i propri pensieri (il cosiddetto “libro del terzo giorno”). La scrittura Nüshu non era una lingua diversa da quella che le donne parlavano abitualmente, ma solo un modo diverso di scriverla, sconosciuto agli uomini.

Secondo quanto hanno ricostruito gli storici, sorelle e amiche tramandavano la scrittura copiando i caratteri, spesso senza saperne molto di più. Le donne creavano gruppi con forti legami di sorellanza e solidarietà che non avrebbero potuto comunicare in maniera così libera senza una scrittura “in codice”. Nella Cina imperiale veniva insegnato a leggere e scrivere solo agli uomini, mentre le donne non avevano diritto all’istruzione. Come dice uno dei versi in Nüshu: «Noi tessiamo migliaia di motivi, i giovani ragazzi leggono migliaia di libri».

Le scritture in Nüshu vengono cantate, anziché lette. I simboli grafici del Nüshu sono diversi rispetto a quelli cinesi, sono più allungati ed eleganti; alcuni sembrano provenire dal cinese, mentre altri sono inventati. A ogni carattere corrisponde una sillaba o un suono: diversamente dai caratteri cinesi, che hanno un significato o rappresentano un concetto, quelli Nüshu non hanno alcun significato semantico. Come ha spiegato McLaren, inoltre, la ricorrenza di formule nelle scritture ha permesso ai ricercatori di affermare che una parte consistente delle scritture in Nüshu raccontava le ballate e le poesie che venivano interpretate in occasione di feste e riti particolari, riservati a sole donne, per esempio la notte prima del matrimonio. E poter raccontare la vita oppressiva delle donne dopo il matrimonio, secondo gli esperti, è una delle ragioni per cui è nata la scrittura Nüshu.

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Con la colonizzazione da parte degli han, le libertà che talvolta avevano le donne nelle comunità indigene vennero a poco a poco limitate. In particolare, le giovani donne che usavano il Nüshu passavano il tempo a tessere e cucire o comunque erano impegnate in attività domestiche. Non lavoravano nei campi ma non erano donne istruite e agiate, quanto donne segregate che, come ha osservato McLaren, «usavano la scrittura Nüshu per costruire significato, esplorare la propria autonomia e riconoscere le imposizioni androcentriche che avevano subito».

Dopo il matrimonio, la sposa lasciava la casa o il villaggio dei genitori per andare a vivere con il marito; spesso, quindi, la scrittura Nüshu serviva come strumento per esprimere la solitudine o le sofferenze e a continuare a comunicare con le madri o le “sorelle giurate” – le donne con cui aveva stabilito un legame speciale – nelle rare occasioni di contatto, senza farsi capire dagli uomini. Ma soprattutto, ha sottolineato McLaren, la scrittura segreta consentiva alle donne di superare i confini stabiliti dalla società patriarcale e di rappresentare la «frustrazione» delle giovani per aver dovuto interrompere legami con altre donne o con i familiari.


Come ha detto Zhao Liming, professoressa che insegna Nüshu all’Università Tsinghua di Pechino, non si tratta soltanto di una scrittura, bensì di una cultura tutta femminile: Zhao l’ha definita «un raggio di sole che permette alle donne di parlare con la propria voce e lottare contro lo sciovinismo maschile». In questo senso, per Zhao il Nüshu è uno strumento che consente di rappresentare la forza delle donne e il loro ruolo centrale in questa cultura, dando loro, in qualche modo, una certa libertà.

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