La storia di Anton Wilhelm Amo, il primo studente africano di un’università europea

Nacque in Ghana a inizio '700, ma visse in Germania e fu un filosofo, scrittore e accademico: oggi è ricordato anche da un doodle di Google

Anton Wilhelm Amo fu un filosofo, scrittore e accademico ghanese naturalizzato tedesco, e fu il primo studente – e poi il primo professore – nato in Africa di un’università europea.
Nacque nel 1707 ad Axim, in quello che oggi è il Ghana occidentale, ma quando aveva quattro anni fu preso e portato ad Amsterdam dalla Compagnia olandese delle Indie occidentali. Secondo alcuni resoconti fu condotto in schiavitù, secondo altri arrivò in Europa per via dell’interessamento di un religioso che operava in Ghana, e che voleva farlo studiare perché diventasse a sua volta un predicatore.
È comunque certo che fu dato “in regalo” al duca Antonio Ulrico di Brunswick-Wolfenbüttel perché gli facesse da “Kammermohr” (un termine con cui si definivano i membri della servitù provenienti dall’Africa o da altre regioni percepite come “esotiche” in epoca coloniale, e considerati una sorta di status symbol nelle corti europee), e fu portato nel palazzo di famiglia a Wolfenbüttel, nella Bassa Sassonia. Il duca, di idee illuministe, fece sì che ricevesse una completa educazione classica: Amo studiò alla Wolfenbüttel Ritter-Akademie e poi all’Università di Helmstedt.

Si spostò quindi all’Università di Halle dove studiò giurisprudenza, terminando lì gli studi preliminari di due anni. Si trasferì in seguito all’Università di Wittenberg dove studiò logica, metafisica, fisiologia, astronomia, storia, legge, teologia, politica e medicina, imparando anche sei lingue. Il 10 ottobre del 1730 ottenne il titolo equivalente a un dottorato in Filosofia all’Università di Wittenberg, e per questo oggi Google gli ha dedicato un doodle, cioè l’immagine che compare di tanto in tanto al posto del logo nella homepage del motore di ricerca.

Amo tornò poi all’Università di Halle dove cominciò a insegnare filosofia con il nome di Antonius Guilelmus Amo Afer. Diventò professore nel 1736. Nel 1740 ottenne una cattedra all’Università di Jena, ma per lui le cose cominciarono a peggiorare.
Dopo che l’ultimo duca di Wolfenbüttel (fratello di quello che l’aveva avviato agli studi, morto nel 1731), morì senza eredi nel 1735, ad Amo venne a mancare il legame con la corte e la protezione sociale e finanziaria della famiglia.
La Germania nel frattempo stava cambiando, in una direzione sempre meno aperta: chi si opponeva alla secolarizzazione dell’educazione e ai diritti delle persone africane in Europa guadagnò consensi. Amo cominciò ad essere al centro di una campagna denigratoria e ridicolizzante da parte di alcuni suoi oppositori, e le sue condizioni economiche peggiorarono. Trovare un impiego universitario diventò sempre più difficile, e cominciò a essere rischio per lui anche il solo spostarsi in Germania.
Nel 1747 decise quindi di tornare nel paese in cui era nato, dove vivevano ancora suo padre e sua sorella. Secondo alcune fonti, fu portato alla fortezza olandese di Shama per evitare che, parlando della sua esperienza, suscitasse lo scontento della popolazione.

Nella sua opera filosofica, ampiamente ignorata dagli intellettuali di Jena che vennero dopo di lui (come Schiller, Fichte, Schelling, Hegel, Brentano e i fratelli von Schlegel), Amo si opponeva all’idea del dualismo cartesiano, in favore di una forma di materialismo. Accettava che si potesse parlare di mente e di spirito, ma sosteneva che è il corpo che ha la capacità di percepire, mentre la mente è “apatica”.

Fu solo grazie all’impegno del filosofo ghanese William Emmanuel Abraham (che studiò a Oxford negli anni ’60 del ’900), e di Kwame Nkrumah (primo presidente del Ghana dal 1960 al 1966 e lui stesso filosofo), che le istituzioni e il mondo accademico tedesco cominciarono a riconoscere l’importanza del contributo di Amo.
Nel 1965, l’Università di Halle-Wittenberg gli dedicò un monumento, ancora presente.

Lo scorso agosto, la città di Berlino ha deciso di dedicare a lui una via dal nome controverso nel quartiere Mitte. Finora la via si chiamava “Mohrenstraße” (“Strada dei Mori”), un nome che molti cittadini avevano chiesto di cambiare per la sua accezione razzista.