Cosa c’è nei verbali del Comitato tecnico scientifico diffusi dal governo

Contengono le raccomandazioni alla base dei decreti sul lockdown, e hanno provocato una discussione sull'origine della decisione di estenderlo a tutta Italia

Giovedì la Fondazione Luigi Einaudi, una onlus che si occupa di ricerca su politica ed economia, ha pubblicato i verbali di cinque riunioni del Comitato tecnico scientifico, un organismo che consiglia il governo su questioni sanitarie, che contengono parte delle raccomandazioni alla base dei decreti del presidente del Consiglio (DPCM) che hanno imposto le restrizioni per l’epidemia da coronavirus. I verbali non erano pubblici, ma ad aprile la fondazione Einaudi aveva chiesto al governo che li diffondesse per spiegare il processo che aveva portato alle inedite misure di lockdown: dopo settimane di tira e molla legale, mercoledì il governo ha acconsentito che venissero resi pubblici.

Dal contenuto della maggior parte dei verbali delle riunioni non è emerso niente di particolarmente inatteso o sorprendente: in generale, contengono raccomandazioni che sono poi state seguite dal governo nel decidere quali misure imporre per contenere l’epidemia. C’è però un’eccezione, intorno a cui si sta discutendo: i verbali diffusi non contengono raccomandazioni esplicite del Comitato perché venisse disposto il lockdown nazionale, che fu deciso dal governo il 9 marzo dopo che inizialmente era stato applicato soltanto in Lombardia e in altre 14 province. Ne è nata una polemica, con accuse al governo di aver preso la decisione del lockdown nazionale senza una raccomandazione del Comitato, e addirittura “contro” i suoi consigli.

In realtà non sembrano esserci abbastanza elementi per provare che il Comitato non fosse d’accordo con il lockdown nazionale: il dubbio che emerge dai verbali a disposizione, semmai, è quanto quella decisione sia stata suggerita dai tecnici, e quanto invece sia stata una scelta politica dipesa da considerazioni autonome del governo.

In una riunione di cui abbiamo il verbale, quella del 7 marzo, il Comitato raccomandò al governo di superare la distinzione tra “zone rosse”, quelle istituite nei comuni del lodigiano e a Vo’, in provincia di Padova, e “zone gialle”, come all’epoca erano considerate la Lombardia, il Veneto, l’Emilia-Romagna e le province di Pesaro Urbino e Savona. Il Comitato consigliò invece di istituire «due livelli di misure di contenimento», uno in Lombardia e in altre 14 province in cui si erano registrati più contagi; un altro, meno rigido, nel resto d’Italia. Il governo seguì queste raccomandazioni con il famoso DPCM diffuso nella notte tra sabato 7 e domenica 8 marzo, che annunciò di fatto il lockdown nelle zone indicate dal Comitato.

Due giorni dopo, lunedì 9 marzo, il governo annunciò poi che il lockdown sarebbe stato esteso a tutto il territorio nazionale: diversi giornali oggi descrivono questa decisione come contraria alle indicazioni del Comitato. In realtà, nella riunione del 7 marzo, il comitato raccomandava «almeno» l’applicazione delle misure proposte per la Lombardia e le altre province, suggerendo quindi la possibilità di disporne di più rigide negli stessi territori o nel resto d’Italia.

Il fatto che il DPCM del 9 marzo, che decise il lockdown nazionale, non citi nessuna riunione del Comitato tecnico scientifico potrebbe però suggerire che la decisione fu effettivamente presa dal governo senza un’esplicita raccomandazione del Comitato. Ma gli elementi a disposizione non sembrano indicare che questo tipo di decisione fosse “contraria” al parere del Comitato.

Per contestualizzare quei giorni, va ricordato che furono quelli in cui si iniziò a comprendere davvero la portata dell’emergenza coronavirus nel Nord Italia, e in cui si iniziò a fare i conti con la difficoltà di adottare misure restrittive mai viste nella storia recente. L’applicazione del DPCM dell’8 marzo, per esempio, fu piuttosto caotica: dopo la diffusione di alcune bozze sul lockdown in Lombardia e nelle altre province, molte persone lasciarono Milano per raggiungere le altre regioni, allarmando sulle possibilità di diffusione del contagio nel resto del paese. I numeri sui casi registrati crescevano rapidamente, e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte parlò in più occasioni della necessità di decisioni tempestive.

Questi elementi potrebbero eventualmente spiegare cosa portò a una decisione del governo senza un’esplicita raccomandazione del Comitato. Ma quella raccomandazione potrebbe anche essere contenuta in verbali di riunioni tenute l’8 o il 9 marzo che non sono stati resi pubblici. Il Post ha contattato il ministero della Salute e il Comitato tecnico scientifico per ulteriori chiarimenti, senza ottenere per il momento una risposta.

Peraltro il governo prese anche altre decisioni diverse da quelle esplicitamente raccomandate dal Comitato, rendendo le misure più stringenti: nel verbale della riunione del comitato del 7 marzo si dice che in Lombardia e nelle altre 14 province bar e ristoranti possono rimanere aperti, applicando il distanziamento fisico. Il governo, invece, decise di chiuderli dopo le 18.

Gli altri quattro verbali pubblicati riassumono altrettante riunioni che si sono svolte tra febbraio e aprile, quelle citate in alcuni dei DPCM che hanno deciso le restrizioni per il coronavirus. Non sono, quindi, i verbali completi delle riunioni del Comitato tecnico scientifico: in tanti chiedono che vengano diffusi, se esistono, anche quelli in cui si parlò della possibile zona rossa in val Seriana, che poi non fu applicata contribuendo a creare uno dei focolai peggiori del mondo. Ad oggi, quella mancata decisione è considerata uno degli errori più gravi delle autorità nel contenimento dell’epidemia, e da mesi governo e Regione Lombardia si rimbalzano le responsabilità.

Oltre a quella del 7 marzo, i verbali pubblicati riguardano le riunioni del 28 febbraio, del primo marzo, del 30 marzo e del 9 aprile. Mancano comunque i verbali citati in altri DPCM: per esempio, in quello del 4 marzo, che chiuse le scuole di tutta Italia e sospese le manifestazioni, si citano le riunioni del 2, 3 e 4 marzo, i cui resoconti non sono stati diffusi. Non è chiaro perché non siano stati pubblicati.