Il caso Fontana si sta allargando

La sua versione sui camici che il cognato intendeva vendere alla Regione si è rivelata falsa, e ora i giornali si concentrano su un patrimonio spostato dalle Bahamas alla Svizzera

(Claudio Furlan - LaPresse)
(Claudio Furlan - LaPresse)

Il presidente della Lombardia Attilio Fontana è sempre più criticato e contestato per il suo coinvolgimento nella vicenda della fornitura di camici sanitari affidata all’azienda di abbigliamento di suo cognato, Andrea Dini, dopo che negli ultimi giorni sono emerse importanti novità: su cosa fece Fontana, sulle versioni che ha cambiato nel tempo e sul patrimonio che, si è scoperto, detiene su un conto svizzero.

– Leggi anche: L’indagine su Attilio Fontana, spiegata

Cosa sappiamo di quello che ha fatto Fontana
Il 16 aprile, nel pieno dell’emergenza coronavirus, la centrale acquisti della Lombardia Aria assegnò una fornitura da oltre 500mila euro per camici e altri dispositivi di protezione a Dama S.p.A., società che produce il marchio di abbigliamento Paul & Shark di proprietà di Andrea Dini e, per il 10 per cento, di Roberta Dini, moglie di Fontana. In quel momento, a quanto risulta, il possibile conflitto di interessi non viene rilevato da nessuno: Dini non lo segnalò, e Fontana a quanto dice non sapeva nulla del contratto.

Il 20 maggio, più di un mese dopo l’assegnazione della fornitura, Dini aveva tuttavia scritto una mail al direttore di Aria, Bongiovanni, spiegandogli di aver deciso di trasformare la vendita in una donazione. Quando la trasmissione Report aveva raccontato la vicenda, a inizio giugno, Dini aveva spiegato che nei giorni in cui era stato siglato il contratto era via, e appena tornato in azienda aveva deciso di trasformare la fornitura in una donazione.

Ma negli ultimi giorni è emerso che Fontana nei giorni immediatamente precedenti si era fatto accompagnare da un autista alla sede dell’Unione Fiduciaria, la società che amministra il suo patrimonio, per fare personalmente un bonifico da 250mila euro a Dama Spa. Secondo le ricostruzioni dei giornali, Fontana aveva saputo da qualche giorno che Report stava preparando un servizio sulla fornitura, e aveva così chiesto al cognato di rinunciarvi.

Lunedì mattina, però, Fontana ha parlato al Consiglio della Regione Lombardia smentendo questa versione, e sostenendo che Report si sia interessata alla vicenda soltanto il primo giugno. Lui però aveva saputo «il 12 maggio» della fornitura di Dama, e per evitare possibili problemi e accuse di conflitto di interesse aveva chiesto al cognato di rinunciare alla fornitura, trasformandola in una donazione, e aveva deciso di risarcirlo parzialmente di tasca propria con il bonifico. Ieri, in un’intervista alla Stampa, Fontana aveva sostenuto: «Quando è saltata fuori questa storia e ho visto che mio cognato faceva questa donazione, ho voluto partecipare anch’io. Fare anch’io una donazione. Mi sembrava il dovere di ogni lombardo».

Il bonifico però, strano per l’importo e per la causale, era stato segnalato da Unione Fiduciaria alle autorità, innescando le indagini. Il Corriere scrive anche che l’11 giugno, quando ormai erano cominciate le indagini, Fontana chiese a Unione Fiduciaria di bloccare la transazione.

La versione di Fontana è cambiata
Quando tutta la questione era stata raccontata da Report e dai giornali, Fontana aveva detto: «Non sapevo nulla della procedura attivata da Aria Spa e non sono mai intervenuto in alcun modo». Sono due affermazioni false, è emerso quando è stata ricostruita la storia del bonifico: Fontana sapeva della vicenda almeno da metà maggio, come ha ammesso lui stesso, e intervenne quando si attivò per risarcire Dini personalmente.

Lunedì, nella sua dichiarazione al Consiglio regionale, Fontana ha sostenuto che quando aveva detto che non ne sapeva nulla intendeva nel momento in cui la fornitura fu assegnata. Non ha invece giustificato le sue precedenti affermazioni, smentite dai fatti, secondo cui non era mai intervenuto in nessun modo.

Secondo il Corriere della Sera, addirittura, Fontana era in realtà già stato informato del fatto che l’azienda del cognato fosse diventata fornitrice della Regione quando fu firmato il contratto, dall’assessore all’Ambiente e Clima Raffaele Cattaneo. Jacopo Pensa, avvocato di Fontana, ha invece dato una versione diversa, sostenendo che «Fontana fino a quel momento era all’oscuro dell’onerosa fattura che Aria avrebbe dovuto pagare a Dama. Quando l’ha scoperta, ha chiesto al cognato di rinunciare, per evitare che la loro parentela venisse male interpretata».

Il patrimonio in Svizzera
Le indagini su questa storia hanno rivelato che Fontana dispone di un patrimonio di diversi milioni di euro su un conto in Svizzera: li ereditò nel 2015 – quando erano 5,3 milioni – dalla madre, a cui era intestato il conto. Il problema è che erano gestiti da due fondi con sede alle Bahamas, un noto paradiso fiscale, e furono riportati – non in Italia bensì in Svizzera – attraverso il cosiddetto “scudo fiscale”, cioè un condono che permette di regolarizzare capitali detenuti all’estero e non dichiarati, denunciandoli volontariamente. Fontana al momento non è accusato di niente di illegale, su questo patrimonio, ma il fatto che abbia fatto ricorso allo scudo fiscale gli ha attirato molte critiche.

Diversi giornali, poi, stanno insinuando dubbi su come abbia fatto la famiglia di Fontana ad accumulare un patrimonio di queste dimensioni e soprattutto perché lo controllasse passando per le Bahamas. È oggetto di discussioni anche l’opportunità di depositare l’eredità in una filiale svizzera della banca UBS. Fontana ha ribadito che «non c’è niente di illecito in quel conto», parlando di «capitali denunciati e scudati».