Com’è “The Last of Us 2”

Esce oggi l'atteso seguito di uno dei videogiochi più importanti dell'ultimo decennio, ambientato durante una pandemia zombi

di Matteo Bordone

Se fosse vivo Richard Wagner sarebbe interessante fargli provare The Last of Us 2, che esce oggi, dopo che siamo stati chiusi in casa durante una delle stagioni videoludiche – che supplizio – più aride degli ultimi anni. Perché l’idea di opera d’arte totale che Wagner perseguiva (un’opera che comprendesse musica, teatro, danza, poesia, arti figurative etc) dà le vertigini, rischia sempre di risultare sovraccarica, scollata, stucchevole. Non è per tutti, diciamo. Certo, se sei Wagner te lo puoi anche permettere. Ma l’autore del gioco, Neil Druckmann, ha deciso di andare proprio in questa direzione per il secondo capitolo della saga; o meglio, in tutte le direzioni.

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Il mondo di The Last of Us è devastato da una pandemia: un fungo che nel mondo reale attacca gli insetti, un particolare tipo di Cordyceps, muta e infetta l’uomo. Il risultato è un’apocalisse simile a quelle degli zombi, che colpisce gli affetti, le famiglie, i paesi, le città, le nazioni e le società, secondo un copione che conosciamo bene anche da prima di questa terrificante versione blanda che stiamo vivendo nel 2020. Ma se Richard Matheson ha scritto Io sono leggenda nel 1954, è possibile che una storia di zombi ai funghi possa avere così tanto da dire 66 anni dopo?

Il primo capitolo del gioco uscito nel 2013 raccontava di Joel ed Ellie, un uomo e una ragazzina che si sceglievano a vicenda nel mondo spietato e assassino in cui si erano trovati d’improvviso. Era un gioco sull’amore in senso esistenziale, come strumento per rispondere alla vita, come unico appiglio, come capsula protettiva in un ambiente diventato solo sopravvivenza, paura e morte. Il mondo era cambiato da poco, le persone erano ancora sconvolte, cercavano di farsi forza e proteggersi a vicenda, mentre intorno a loro c’era un inferno indistinto. Ma alle cose, anche alle più terribili, dopo un po’ ci si abitua. E in genere si trova anche il modo di rendere l’inferno un posto quasi sopportabile.

The Last of Us 2 è ambientato qualche anno dopo. Adesso Ellie è una ragazza quasi ventenne, omosessuale, che vive in uno degli accampamenti che le persone sane hanno costruito per difendersi dagli infetti e dagli altri sani, organizzati in gruppi e clan tribali sorti spontaneamente. È dura, ma si vive. E non si è più soli contro il mondo. È tornata a esistere, insomma, in un qualche modo emergenziale ma più o meno stabile, una forma di società. E da questo contesto scaturisce – niente spoiler, state tranquilli – l’odio che è protagonista di questo gioco. Nei panni di Ellie, carica di odio e sete di vendetta, attraversiamo insieme alla nostra ragazza un mondo reietto, abbandonato, dove le città sono rovine coperte di vegetazione e occupate dagli animali. Non sono solo gli infetti ad attentare alle nostre vite, ma anche molti sani diversi da noi.

Naughty Dog, lo studio che ha realizzato The Last of Us 2 in esclusiva per PlayStation, è responsabile anche della saga di Uncharted: una serie di titoli spettacolari che ricordano l’universo di Indiana Jones, tra antichi tesori e archeologi spregiudicati. Il modo in cui Ellie perlustra il mondo, la parte fisica, ginnica, i paesaggi, tutto questo lato ricorda Uncharted nella fluidità e nel dettaglio.

Ma The Last of Us 2 non è paragonabile né a quello né ad altri giochi simili: questo titolo – diciamolo chiaramente – è un capolavoro che al momento è iscritto a un campionato tutto suo. I videogiochi non sono un solo sport, e ce ne sono di stupefacenti nelle forme e nei generi più diversi. Ma chi si dedica a grandi giochi narrativi di ampio respiro che prevedono la recitazione digitalizzata di attori non ha mai fatto niente di così grande e compiuto.

Accanto all’esplorazione, nel fitto delle foreste, sui corsi d’acqua, tra gli edifici abbandonati, c’è una moltitudine di generi e toni, sfumature e sottotesti che fanno di The Last of Us 2 qualcosa di inedito. Nell’arco delle trenta ore abbondanti necessarie per completare il gioco, si passa dall’azione pura alla riflessione filosofica, da momenti di terrore che ricordano un survival horror a passaggi di totale immersione nella natura e nell’introspezione psicologica. Il tutto senza mai percepire questa vertigine wagneriana come una serie di moduli separati che non si parlano. Anzi.

I personaggi, a cominciare da Ellie, sono profondi in partenza, e descrivono evoluzioni per niente scontate, sia in sé che nel rapporto con chi gioca. Ellie in questo capitolo è violenta, è pronta a tutto, e non si può fare a meno di amarla anche mentre fa cose terribili per noi e per lei. È Tony Soprano, insomma, Walter White di Breaking Bad: un personaggio complesso, capace di fare molto male, con cui empatizziamo anche mentre riconosciamo ogni suo errore.

C’è una differenza, però. Anzi due. Per prima cosa Ellie è una ragazzina lesbica con un fucile in mano, ed è la protagonista del più grosso blockbuster videoludico dell’anno (probabilmente di più). E poi questo è un videogioco: dissociarsi moralmente da un personaggio controverso quando fa del male è già emozionante quando si tratta di azioni che si osservano in un film o una serie, ma quando sei fisicamente tu a premere il tasto che taglia la gola, le cose diventano ancora più coinvolgenti.

The Last of Us 2 tiene insieme anche la varietà identitaria di sessi, generi e orientamenti. Lo fa senza dare la sensazione di rispondere solo a una domanda di attualità e inclusione. Lo fa certo perché è giusto, ma anche perché avere personaggi con identità nel complesso molto diversificate li rende meno canonici, più imprevedibili; sicuramente più adatti a interpretare un mondo nuovo dove strutture sociali e rapporti personali vanno ripensati.

L’equilibrio tra le parti di racconto e quelle di gioco ha raggiunto un livello tale per cui, in un’esperienza che dà emozioni da ottovolante, da sparatoria, da romanzo di formazione, da tragedia greca, da commedia romantica, da horror, da documentario e non so cos’altro, ciascuna di queste parti è giocata, oltre che vista nelle sequenze cinematiche. Dopo avere finito il gioco, essendo passati attraverso questo numero di spaventi, occhi lucidi, pianti e riflessioni, si ricordano non solo i personaggi e le loro storie, ma anche ore di gioco che trasudano qualità nel senso specifico di questo linguaggio (la progettazione dei livelli, gli ambienti, le dinamiche di gioco, le animazioni).

Capita spesso che alla fine di una generazione di console – in autunno arriva la PS5 – esca un gioco che spreme le ultime energie creative della piattaforma, dandole un picco di lustro, prima che si passi ad altro. Questa volta è toccata a The Last of Us 2. Ci sarebbe da dire molto – MOLTO – di più, ma non adesso. Adesso Ellie, il Cordyceps e il loro mondo affettuoso e spietato meritano il vostro tempo. Avvertenza. Si piange. Molto.

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