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  • Giovedì 4 giugno 2020

L’Iran ha riaperto troppo presto?

I nuovi contagi giornalieri stanno toccando i picchi massimi raggiunti a marzo, mentre il governo sembra più interessato all'economia che all'epidemia

(EPA/ABEDIN TAHERKENAREH)
(EPA/ABEDIN TAHERKENAREH)

Nell’ultima settimana il governo dell’Iran ha autorizzato il ritorno al lavoro di tutti gli impiegati statali, la riapertura delle palestre, gli incontri quotidiani in moschea e rimosso le restrizioni ancora in vigore per le attività commerciali. In precedenza aveva permesso la riapertura dei bazar locali, dei centri commerciali e dei ristoranti, nel tentativo di far ripartire l’economia, in enorme difficoltà già prima dell’inizio dell’epidemia da coronavirus. L’Iran, a differenza di altri paesi che stanno sperimentando riaperture graduali, ha iniziato a registrare da circa un mese un aumento progressivo di nuovi casi, toccando negli ultimi giorni i picchi di circa 3mila nuovi contagiati al giorno raggiunti a fine marzo, durante la fase più acuta dell’epidemia nel paese.

Martedì, per esempio, l’Iran ha comunicato 3.117 nuove positività, poche decine in meno rispetto al numero massimo di nuovi casi registrato nel paese dall’inizio dell’epidemia, cioè 3.186 del 30 marzo. I casi positivi totali registrati finora in Iran sono 157.562, i morti 7.942, anche se i numeri ufficiali devono essere presi con estrema prudenza.

L’Iran, infatti, è stato accusato fin dall’inizio di nascondere la crisi per non dover prendere misure dannose per l’economia, comunicando la notizia dei primi morti ancora prima di avere confermato i primi casi di positività nel paese. In un lungo reportage sulla situazione del regime iraniano, Dexter Filkins, giornalista del New Yorker, ha raccontato come alcuni ospedali del paese cominciarono a trattare pazienti con la COVID-19 già a partire da fine dicembre, ma la notizia non venne fuori fino a febbraio, perché il personale sanitario ricevette l’ordine di tenere tutto nascosto. Due giornalisti di Teheran hanno detto a Filkins che il loro direttore li obbligò a non scrivere niente sull’epidemia fino al 21 febbraio, giorno delle elezioni parlamentari: il regime iraniano temeva che una bassa affluenza alle elezioni avrebbe potuto favorire le forze meno conservatrici.

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La principale preoccupazione del regime, però, sembra sia stata sempre l’economia nazionale, che già nel 2019 era entrata in una profonda crisi.

La crisi era iniziata – o meglio, si era aggravata – a causa della reintroduzione delle sanzioni sull’economia iraniana decisa nel 2018 dal presidente statunitense Donald Trump. Le sanzioni erano state imposte di nuovo a seguito del ritiro degli Stati Uniti dall’importante accordo sul nucleare iraniano voluto da Barack Obama, che prevedeva la rimozione di alcune sanzioni in cambio della rinuncia parziale dell’Iran a costruire un’arma nucleare. Le sanzioni hanno reso più difficile per l’Iran esportare il proprio petrolio, una delle fonti di guadagno più importanti per la sua economia, e hanno isolato il paese dal sistema bancario internazionale. La valuta iraniana, ha scritto il Wall Street Journal, ha perso due terzi del suo valore, mentre secondo il Fondo Monetario Internazionale nel 2020 il PIL iraniano si contrarrà del 6 per cento.

La grave situazione economica dell’Iran aveva spinto il presidente iraniano, Hassan Rouhani, ad autorizzare le prime riaperture di negozi e imprese già ad aprile, cioè quando i numeri ufficiali avevano mostrato un calo progressivo di nuovi contagi per due settimane consecutive. Da allora il governo non ha più reintrodotto alcuna restrizione.

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Le riaperture sembrano essere state anche motivo di tensioni all’interno del governo. Lunedì il ministro della Salute, Saeed Namaki, ha detto: «Non solo l’epidemia da coronavirus non è finita, ma potrebbe anche raggiungere un picco pericoloso in ogni momento»; e ha aggiunto che «purtroppo alcuni funzionari pensano che il coronavirus sia sparito e stanno continuamente facendo pressione su di me per riaprire questo e quello». Namaki ha anche denunciato il fatto che molti iraniani abbiano smesso di seguire le regole sanitarie necessarie per rallentare il contagio.

Secondo un recente sondaggio realizzato dal ministero della Salute, ha detto il viceministro della Salute, Iraj Harirchi, solo il 40 per cento della popolazione crede oggi che sia importante mantenere ancora il distanziamento fisico, una percentuale molto inferiore rispetto al 90 per cento registrato tra febbraio e marzo.

Negli ultimi giorni il ministero della Salute ha ripetuto nuovamente l’importanza di rispettare le regole, soprattutto per il timore che il coronavirus possa tornare a infettare molto velocemente nuove persone nei luoghi religiosi e nelle moschee, che a febbraio si erano rivelati i principali vettori della trasmissione del virus in Iran.