• Mondo
  • Sabato 16 maggio 2020

Non si esce dall’aeroporto di Hong Kong senza un test per il coronavirus

Una giornalista ha raccontato le efficienti procedure e la lunga attesa obbligatorie per chi arriva nella regione autonoma cinese

(Profilo Twitter di Lauren Chor)
(Profilo Twitter di Lauren Chor)

Dall’inizio della pandemia di COVID-19, a Hong Kong ci sono stati solo 1.053 casi di infezione accertati e solo quattro persone sono morte a causa del coronavirus. La diffusione del virus nella città, che ha 7,4 milioni di abitanti, è ridottissima, tanto che la maggior parte dei contagiati registrati nell’ultimo mese erano stati infettati altrove. Nonostante a partire dal 4 maggio alcune restrizioni per contenere ulteriori contagi siano state allentate (dopo che erano state nuovamente irrigidite per un aumento dei casi) al momento può entrare a Hong Kong dall’estero solo chi è residente in città e per farlo è necessario sottoporsi a un test per il SARS-CoV-2, e aspettarne il risultato, prima di uscire dall’aeroporto. La giornalista e fotografa Lauren Chor ha raccontato sul Guardian com’è stato sottoporsi a tutta la procedura.

Negli ultimi due mesi e mezzo Chor era stata in Europa per lavoro e quando ha deciso di rientrare a Hong Kong si trovava a Parigi. La prima parte del suo viaggio è stata un volo tra l’aeroporto Charles De Gaulle e Heathrow, a Londra, perché di voli diretti tra Parigi e Hong Kong al momento non ce ne sono. Chor ha trovato tutti i ristoranti e i negozi degli aeroporti chiusi, ha attraversato i controlli di sicurezza da sola e non ha sentito annunci rivolti a passeggeri in ritardo. Guardando i tabelloni sulle partenze si è resa conto che quasi tutte le persone che avrebbe visto al terminal sarebbero state sul suo stesso volo.

«Sono abituata a viaggiare da sola, ma non mi aspettavo la sensazione di isolamento che ho provato spostandomi da una scena distopica alla successiva. Volare su una lunga distanza non è mai stato così strano», ha spiegato Chor. Sul Boeing 777 della British Airways che l’ha portata da Londra a Hong Kong c’erano 100 passeggeri, circa un terzo di quelli che un aereo del genere può trasportare. Dell’equipaggio, solo la persona che ha accolto i passeggeri a bordo e indicato loro dove sedersi aveva guanti e mascherina; alcuni dei passeggeri però indossavano tute protettive che coprivano tutto il corpo, visiere per il viso, occhiali protettive e guanti. La maggior parte invece, Chor compresa, indossava solo una mascherina per coprire naso e bocca. Nonostante la stranezza della situazione, le persone a bordo non sembravano nervose: «Nessuno aveva fretta di arrivare a destinazione», ha pensato Chor.

– Leggi anche: Come faremo a evitare contagi sugli aerei?

Dopo 12 ore di volo, i passeggeri sono scesi mantenendo le distanze e sono stati trattati dal personale aeroportuale come potenziali infetti. Il loro percorso dall’aereo all’uscita dell’aeroporto è stato diviso in una serie di passaggi successivi, durati complessivamente più di otto ore.

Come prima cosa, a ogni passeggero sono stati dati dei moduli da compilare ed è stato ordinato loro di scaricare sul proprio smartphone l’app per monitorare la posizione delle persone in quarantena. Poi un addetto ha registrato i numeri di telefono di ciascuno e controllato che funzionassero davvero. Un altro addetto ha dato a Chor un braccialetto per il monitoraggio degli spostamenti che funziona insieme all’app, e un’ulteriore persona lo ha attivato. Un membro del personale medico ha firmato il suo ordine di quarantena e le ha dato un termometro, dicendole di misurarsi la temperatura due volte al giorno.

La parte successiva del percorso è stata più simile a quella a cui siamo abituati: Chor ha recuperato il suo bagaglio ed è passata oltre i controlli doganali. Ma dopo non è potuta andare direttamente a casa: insieme alle altre persone che erano con lei sul volo da Londra è salita su un pullman che le ha portate a un vicino centro conferenze trasformato in una struttura per fare test per il coronavirus. Dopo aver fatto una fila mantenendo le distanze, a ognuna delle persone è stato dato un pacchetto contenente il materiale necessario per il test e un numero da portare al collo con un cordino.

Ogni persona ha dovuto raccogliere da sé la propria saliva: le istruzioni su come fare sono state spiegate a tutti personalmente prima da un membro del personale sanitario, e poi da un video proiettato su tre schermi in una grande sala, dove le persone dovevano sedere su sedie distanziate.

In un’altra sala erano presenti cabine individuali, simili a quelle dove si vota alle elezioni, per permettere a tutti di raccogliere la propria saliva con un certo grado di privacy. Dopo aver consegnato la propria provetta di saliva, Chor è stata portata in un’altra sala ancora, dove ogni persona in attesa di conoscere i risultati del proprio test era fatta sedere a un tavolo con una sedia.

Lì Chor ha aspettato più di sette ore. A un certo punto le sono stati portati un panino e una bottiglietta d’acqua; più tardi dei biscotti al cioccolato, dei crackers e altra acqua. Alla fine una voce ha annunciato che i passeggeri del volo da Londra sarebbero stati lasciati andare. Chor ha aspettato di essere chiamata col numero che le era stato assegnato: a quel punto le è stato detto che il suo test era negativo e le è stato consegnato un secondo kit per farsi il test, a 12 giorni di distanza. Se il primo test fosse stato positivo, Chor sarebbe stata portata in ospedale; dato che invece è risultata negativa è potuta andare a casa sua, dove però deve stare in quarantena per due settimane.