Perché le videochiamate sono sfinenti

Sia dal punto di vista mentale che emotivo, concordano gli esperti, ma ci sono anche dei modi per smorzare il problema

(David Ramos/Getty Images)
(David Ramos/Getty Images)

Le videochiamate sono diventate un momento normale e abituale della vita, durante questi mesi: prima erano limitate a qualche chiamata di lavoro o ai saluti tra amici e parenti lontani, ora invece sono usate anche per fare cene, aperitivi e persino appuntamenti. E come molti hanno notato – e come racconta il sito di studi e analisi The Conversation – anche le videochiamate hanno i loro problemi: pur aiutando a mantenere i rapporti sociali, li fanno sembrare a volte freddi e irreali, lasciando chi le fa “stanco e svuotato”.

Gli esperti spiegano che quando interagiamo con le persone attraverso lo schermo, anziché dal vivo, il nostro cervello deve lavorare molto di più per capire cosa stia succedendo e afferrare i messaggi, non potendo contare su altri elementi fisici, come l’odore della stanza, il linguaggio del corpo e la visione periferica. Alcuni studi hanno scoperto che i candidati dei colloqui di lavoro fatti in videochiamata tendono ad andare peggio che in quelli fatti di persona. Un’altra ricerca, condotta su medici che seguivano un seminario via video, ha mostrato che si concentrano di più sul farsi un’impressione del docente rispetto a quelli che lo seguivano dal vivo, che erano più interessati alla validità delle sue argomentazioni.

Un’altra ricerca ha scoperto che quando i giudici prendono decisioni in videochiamata sulle richieste di asilo dei rifugiati, mostrano meno fiducia ed empatia; i richiedenti asilo inoltre tendevano a mentire di più, ma i giudici si accorgevano meno dei particolari del racconto che non tornavano. La comunicazione peggiora se la linea è disturbata, anche se per pochissimo tempo: secondo un esperimento, quando la qualità della videochiamata peggiora le persone tendono a mentire e sono più diffidenti.

Secondo altri studi raccolti da The Conversation, le videochiamate sono sfinenti anche dal punto di vista emotivo. Gli psicologi che fanno terapia online condividono la preoccupazione di “perdere il contatto” con i loro pazienti. Negli esami orali in videochiamata, gli studenti predisposti all’ansia lo diventano ancora di più e tendono quindi ad andare peggio. L’ansia aumenta se lo schermo mostra anche un’immagine della loro faccia. In generale, infatti, vedere la propria faccia sullo schermo può portare a concentrarci di più sull’effetto che si fa e a minare la fiducia nelle nostre capacità.

Le videochiamate possono anche far scattare un forte desiderio di riconoscimento. Un’analisi ha scoperto che gli impiegati che lavorano da remoto e che non si sentono importanti nella loro azienda esagerano nel provare a farsi notare. Condividono in modo eccessivo materiali e aneddoti con i colleghi, e svolgono mansioni in più per attirare l’attenzione dei capi.

Ci sono un po’ di cose che si possono fare per aggirare l’affaticamento da Zoom, una delle principali piattaforme per le videochiamate. The Conversation spiega che non fare altre cose contemporaneamente alla videochiamata può aiutare a rimanere concentrati; consiglia di prendersi qualche pausa tra una chiamata e l’altra e di allontanarsi dallo schermo, per riflettere e rimettere insieme le idee. Anche nascondere la propria immagine mentre si parla aiuta a preoccuparsi meno di come si appare e concentrarsi su quello che dicono gli altri.

Per finire si possono trovare altri modi di comunicare, anche se sembrano più asettici e remoti, come i messaggi testuali, le email e le telefonate: uno studio per esempio ha scoperto che chi spiega qualcosa al telefono lo fa in modo più chiaro. Inoltre, mandare un biglietto di ringraziamento scritto a mano rende particolarmente felice chi lo riceve, e secondo un altro studio è terapeutico anche per chi lo scrive. A volte, infine, il modo migliore per risolvere un problema è farlo in silenzio: un esperimento ha scoperto che un gruppo ha terminato un indovinello più rapidamente senza parlare rispetto a un altro che poteva parlare.