• Sport
  • Domenica 19 aprile 2020

La strategia del Salisburgo

La squadra di calcio austriaca di Red Bull scova giocatori come nessuno, nonostante disponga di un quinto delle risorse dei grandi club: come fa?

Takumi Minamino e i compagni del Red Bull Salisburgo (Dean Mouhtaropoulos/Getty Images)
Takumi Minamino e i compagni del Red Bull Salisburgo (Dean Mouhtaropoulos/Getty Images)

«Vendere giocatori è un male solo quando non puoi rimpiazzarli in modo adeguato». È uno dei motti impopolari di Christopher Vivell, capo degli osservatori del Salisburgo, la prima squadra di calcio di proprietà della Red Bull e la migliore in Austria dal dopoguerra a oggi. La società viene spesso criticata per la frequenza con cui vende i suoi calciatori, ma secondo Vivell «il flusso di giocatori che alimenta il Salisburgo ha funzionato alla perfezione negli ultimi anni», ed è difficile dargli torto.

Il successo trovato dal Salisburgo – in una dimensione che si colloca tra la seconda e terza fascia del calcio europeo – nasce innanzitutto dalla grande solidità economica garantita dalla multinazionale austriaca delle bevande energetiche, che ha sede a Fuschl am See, località poco fuori Salisburgo.

I metodi usati da Red Bull nel calcio, e più in generale nello sport, sono ormai noti. In tutti gli ambiti in cui è presente, l’azienda vuole competere con i migliori ma alla sua maniera. In Formula 1 la sua scuderia preferisce avere piloti giovani e aggressivi, senza paura di non concludere le gare, rispetto a piloti più esperti e prudenti che si accontentano di piazzamenti anonimi. Nel calcio vuole squadre giovani, propositive e dall’atteggiamento offensivo anche contro avversari superiori.

Dominik Szoboszlai, fra le migliori promesse europee (Andreas Schaad/Bongarts/Getty Images)

La squadra del Salisburgo è la miglior rappresentazione della filosofia aziendale. È una sorta di “serbatoio” che garantisce risultati riuscendo allo stesso tempo a divertire e ad alimentare non solo il Lipsia, la squadra di punta del progetto calcistico Red Bull, ma anche decine di altre grandi squadre europee. Nell’ultimo decennio il Salisburgo è diventato grossomodo una versione moderna della vecchia Udinese, il club italiano che per anni ha scovato e preparato alcuni dei migliori talenti in circolazione. Secondo un recente studio del CIES, dopo Ajax e Benfica (realtà più grandi e con più tradizione) è la squadra che ha dato il maggior numero di giocatori ai cinque maggiori campionati europei.

Il centravanti norvegese Erling Haaland, venduto lo scorso gennaio al Borussia Dortmund in un affare da quasi 100 milioni di euro, è soltanto l’ultimo giocatore ceduto dal Salisburgo: una squadra che non ha paura di vendere. È così che negli ultimi anni il Salisburgo ha venduto decine di calciatori in tutto il continente. Sadio Mané, Naby Keita e Takumi Minamino si sono ritrovati al Liverpool; Valentino Lazaro è passato da Berlino e Milano e ora è al Newcastle; Duje Caleta-Car è al Marsiglia e nel giro della nazionale croata vice-campione del mondo, mentre il brasiliano Igor è stata una discreta rivelazione in Serie A con la Spal e ora è alla Fiorentina. In Austria, intanto, la squadra continua a vincere tutto quello che può e spesso si affaccia ai più alti livelli del calcio europeo.

Jerome Onguene e Mohamed Salah (Clive Brunskill/Getty Images)

La dirigenza del Salisburgo mantiene questo flusso di giocatori pur avendo un reparto scouting grande un quinto rispetto a quello di una grande squadra europea. La carenza di risorse richiede quindi un’ottimizzazione di quelle disponibili. In media un osservatore del Salisburgo guarda 240 partite in un anno, due ogni giorno lavorativo. Visiona 9 giocatori al giorno e ogni settimana ne aggiunge 2 alla lista di quelli da tenere sotto osservazione.

Il club ha spiegato che il suo lavoro giovanile parte dal territorio nazionale. Tutte le squadre dell’accademia vengono formate da una base di giocatori austriaci selezionati senza limitazioni da ogni angolo del paese. Il bacino di ricerca austriaco, tuttavia, è inevitabilmente limitato: «È come se a un certo punto ci trovassimo bloccati dietro un camion: a quel punto dobbiamo cambiare corsia per sorpassarlo». Per alzare il livello il club passa alla ricerca su base europea, dove i giocatori possono essere ingaggiati dopo aver compiuto 16 anni.

Il danese Rasmus Kristensen (Clive Brunskill/Getty Images)

Le aspettative nei confronti dei giocatori scovati in giro per l’Europa sono più alte. Devono essere in grado di migliorare da soli la squadra andando a coprire i ruoli lasciati “scoperti” dai giocatori austriaci: «sono la ciliegina sulla torta». Dai 18 anni in poi possono essere ingaggiati giocatori provenienti da tutto il mondo. Quest’ultimi vengono aggregati alle tre squadre più importanti del club: la Primavera, le riserve e la prima squadra.

I giocatori stranieri devono soddisfare tre requisiti principali prima di ogni altra cosa, a prescindere dai ruoli: determinazione nello stile di gioco, abilità nelle transizioni veloci, mentalità positiva. Chi ha questi tre requisiti viene inserito in una shortlist per le selezioni finali: raramente vengono inseriti giocatori stranieri con più di 23 anni, dato che da quell’età in poi i profitti su eventuali cessioni diminuirebbero. Il loro ingaggio è infine motivato da un bisogno stabilito espressamente dal direttore sportivo, Christoph Freund, a seconda delle esigenze di squadre e allenatori. Attualmente il database degli osservatori conta quasi mezzo milione di giocatori.