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  • Domenica 23 febbraio 2020

Qualcuno ha davvero attraversato l’Antartide senza aiuti?

Da mesi sostiene di averlo fatto il discusso sportivo Colin O'Brady, ma sono in tanti a pensarla diversamente

Il 26 dicembre del 2018 lo statunitense Colin O’Brady portò a termine quella che a suo dire era stata la prima traversata in solitaria e non assistita dell’Antartide, un’impresa mai riuscita prima e celebrata con grande trasporto dai media statunitensi e internazionali. O’Brady, che era partito quasi due mesi prima con un paio di sci ai piedi e una slitta, aveva percorso 1.500 chilometri in condizioni estreme e senza farsi aiutare da nessuno: nelle settimane successive fu ospite dei principali talk show americani, e da allora ha sfruttato la sua fama per fare regolarmente conferenze motivazionali e raccontare la sua storia in un libro.

Una foto aerea delle coste dell’Antartide occidentale. (Mario Tama/Getty Images)

Un recente articolo di Aaron Teasdale sul National Geographic, però, ha messo fortemente in dubbio la portata dell’impresa di O’Brady, raccogliendo critiche e perplessità esposte nel corso degli ultimi mesi da tanti esperti di Antartide, esploratori e sportivi. Il dubbio non è tanto se O’Brady abbia fatto quello che dice di aver fatto, cosa assolutamente certa. Il punto è che O’Brady è stato il primo a definire quello che ha fatto una “traversata in solitaria e senza aiuti” dell’Antartide: e tanti esperti non sono d’accordo che la sua impresa, per quanto ammirevole, possa essere definita così. È una storia che racconta tante cose sul punto a cui è arrivata l’esplorazione sportiva moderna, e su quanto sia legata alle capacità promozionali dei suoi interpreti.

Cosa vuol dire attraversare l’Antartide?
L’Antartide è il quarto continente più esteso del pianeta nonché il più inospitale, avendo il 98 per cento della propria superficie ricoperto dalla calotta polare antartica, uno strato di ghiaccio spesso mediamente 1.600 metri. I primi esploratori ci misero piede nell’Ottocento – ci sono varie teorie su chi sia stato il primo e quando – ma fu soltanto nel corso del Novecento che si cominciò ad avventurarsi al suo interno. Dopo che la spedizione norvegese di Roald Amundsen raggiunse per la prima volta il Polo Sud magnetico nel 1911, seguita un mese dopo da quella britannica di Robert Falcon Scott, passarono quasi cinquant’anni prima che qualcuno ci tornasse.

I membri della spedizione di Scott scoprono una tenda della spedizione di Amundsen, nel 1911. (Central Press/Getty Images)

Sempre alla fine degli anni Cinquanta ci fu la prima traversata del continente, ovviamente a bordo di veicoli speciali, guidata tra gli altri da Edmund Hillary, che pochi anni prima era stato il primo uomo a salire sull’Everest insieme allo sherpa Tenzing Norgay. Oggi l’Antartide è abitato da qualche migliaia di persone nei mesi più frequentati, principalmente scienziati delle varie stazioni internazionali. Tra le poche persone che lo visitano per motivi diversi c’è chi partecipa alle molte spedizioni che ormai hanno scopi più sportivi che di esplorazione, come O’Brady.

O’Brady ha 34 anni e incominciò la sua carriera di atleta professionista nel triathlon, prima di dedicarsi all’alpinismo e alle traversate artiche, cercando sempre di stabilire primati e di raccogliere sponsor per le sue spedizioni. Quando progettò la sua traversata dell’Antartide, scelse un criterio piuttosto discutibile per individuare il percorso: considerò infatti solo la superficie calpestabile del continente, trascurando la calotta glaciale che da almeno 100mila anni si estende ben oltre le sue coste. In questo modo il percorso scelto da O’Brady risultò significativamente più breve di quello normalmente considerato per una vera traversata antartica.

Era un percorso certamente più breve di quello scelto da Borge Ousland, esploratore norvegese considerato il più importante nella moderna storia dei poli, che tra il 1996 e il 1997 percorse i 3.000 chilometri che uniscono le propaggini della piattaforma di ghiaccio Filchner-Ronne con quelle della barriera di Ross, completamente da solo e senza aiuti. Quasi, senza aiuti.

(National Geographic)

Ousland, infatti, trascinò con la sua sola forza muscolare la sua slitta per una distanza molto superiore a quella percorsa da O’Brady. Ma in qualche sporadica circostanza, nel corso della sua spedizione durata oltre due mesi, usò una piccola vela per aiutarsi con il vento. All’epoca nessuno mise in dubbio che quella di Ousland fosse stata una traversata solitaria e senza aiuti, e la sua impresa venne celebrata come tale dai media. Più o meno 15 anni fa, però, alcuni esperti decisero che il vento era da considerarsi una forma di assistenza, squalificando il primato di Ousland agli occhi di qualcuno.

O’Brady ha estesamente presentato la sua traversata come la prima in assoluto di questo tipo, evitando di soffermarsi sulla minore distanza percorsa rispetto a Ousland e sulle discutibili modalità con cui il primato precedente era stato screditato. La sua narrazione è stata ampiamente assecondata dai media, ma in tanti l’hanno contestata: tra gli altri l’arrampicatore Alex Honnold, quello del documentario Free Solo, l’esploratore Mike Horn, l’alpinista e scrittore Jon Krakauer, l’alpinista Conrad Anker e lo stesso Ousland.

“Senza aiuti”
Ma c’è un altro grosso motivo per cui l’impresa di O’Brady è messa in discussione da chi conosce l’Antartide: l’americano infatti ha fatto gli ultimi 600 chilometri del suo percorso seguendo il South Pole Traverse (SPoT), una pista creata nel 2006 e da allora mantenuta con regolarità per essere usata per i soccorsi e il trasporto di viveri e medicine. È segnalata con dei pali ogni 400 metri e studiata in modo da evitare i crepacci, tra i principali rischi per chi attraversa l’Antartide.

Nel suo libro O’Brady liquida sommariamente l’aver sfruttato lo SPoT, così come lo aveva fatto raccontando gli aggiornamenti sulla sua impresa sui social network, quando in molti erano rimasti sorpresi dalla velocità con cui aveva percorso l’ultima parte della traversata. Rispondendo a una domanda al riguardo del New York Times, O’Brady aveva detto di non saper spiegare quel cambio di passo: «Non lo so, mi era preso qualcosa di particolare».

Ma molti esperti hanno sostenuto che usare lo SPoT sia stata una forma di assistenza ben superiore al vento di Ousland. Eric Philips, esploratore e guida polare, ha spiegato al National Geographic che lo SPoT «aumenta di più del doppio la velocità di chi lo percorre, ed elimina la necessità di orientarsi». Secondo Philips, una spedizione che utilizzi lo SPoT non può dirsi “non assistita”. Adventure Stats, lo stesso sito che nel 2007 aveva stabilito che il vento era da considerarsi un aiuto esterno, dice chiaramente che vale lo stesso per le piste create per i veicoli a motore.

La spedizione di Edmund Hillary del 1958, la prima ad attraversare l’Antartide. (AP Photo/Rennie Taylor)

«Se chiami aiuto qui, nessuno può venire a salvarti»
Dalla versione raccontata dal National Geographic emerge che l’ostilità dei puristi delle esplorazioni – artiche e non – nei confronti di O’Brady dipende almeno in parte anche dal suo approccio piuttosto spregiudicato all’autopromozione. Descrivendo la preparazione del suo percorso, per esempio, O’Brady ha raccontato che uno della Antarctica Logistics and Expeditions (ALE), l’agenzia che ha organizzato la spedizione, gli disse: «se chiami aiuto qui, nessuno può venire a salvarti». Parlando dell’impresa, poi, O’Brady ha spesso detto che tanti esperti avevano cercato di dissuaderlo definendo «impossibile» la traversata.

National Geographic ha parlato con ALE e con molti degli esperti citati da O’Brady nel suo libro, e tutti quanti hanno smentito le affermazioni che erano state attribuite loro. Lo SPoT, per dire, è un percorso frequentato con regolarità dalle spedizioni turistiche, dove i soccorsi generalmente arrivano nel giro di poche ore. Laval St. Germain, un ex pilota di aerei che ha sciato al Polo Sud, ha paragonato un soccorso in buone condizioni meteo su quel percorso a «chiamare un Uber».

L’articolo di National Geographic smentisce anche altri racconti di O’Brady, in un modo che lo mette in una brutta luce. Aveva per esempio raccontato che prima di tornare a casa in aereo, dopo l’impresa, aveva aspettato per solidarietà e altruismo un altro sportivo che aveva provato a fare la sua stessa traversata negli stessi giorni, il britannico Louis Rudd. ALE ha detto al National Geographic che in realtà i due avevano stabilito in precedenza che salvo complicazioni si sarebbero aspettati reciprocamente, chiunque fosse arrivato prima, per dividere il costosissimo volo di ritorno.

Una foto aerea dell’Antartide occidentale. (Mario Tama/Getty Images)

L’articolo racconta poi i molti modi in cui, secondo vari testimoni, O’Brady trattò male e bullizzò i compagni di una spedizione che fece in Groenlandia, a cui partecipò per prepararsi alla sua traversata in Antartide. O’Brady contestò l’autorità della guida e fece fortissime pressioni sui compagni di spedizione perché accelerassero il passo per stare nei tempi che si era prefissato, finché gli altri gli si rivoltarono contro. Un giorno postò su Instagram una foto in cui trainava quattro slitte, dicendo che lo stava facendo da giorni: in realtà lo fece solo per scattarsi la foto, hanno detto i compagni.

Nel suo libro poi O’Brady racconta drammaticamente di una notte in cui finì in un crepaccio: «le pareti erano blu ed era più profondo di quanto potessi vedere. Sprofondai nell’oscurità del ghiaccio e sarei quasi certamente morto se non avessi reagito prontamente». Un membro della spedizione ha raccontato al National Geographic che O’Brady aveva ignorato i consigli della guida sul posto dove piantare la tenda, e che nella notte attirò l’attenzione dei compagni con le sue urla: la guida andò a controllare, e tornò poco dopo dicendo che il crepaccio era poco profondo e non pericoloso.

Si può ancora parlare di esplorazioni?
«Gli esploratori e gli avventurieri hanno tentato di farlo per più di 100 anni. C’è chi è morto provandoci. Nessuno era stato capace di farlo, prima d’ora. Io ho risolto il rompicapo» ha detto recentemente O’Brady in un podcast parlando della sua traversata. Gli esperti e i puristi pensano che quello che abbia fatto sia diverso, e che la sua storia descriva un problema con le esplorazioni moderne.

È sempre più difficile trovare posti del mondo in cui l’uomo non sia mai stato, così come esplorazioni e imprese di effetto come una traversata dell’Antartide che nessuno abbia mai fatto prima. È per questo che parte degli sportivi ed esploratori ancora interessati a stabilire primati di qualche tipo cercano nuovi modi di ripetere vecchie imprese, spacciandole come radicali novità in modo da attirare sponsor e attenzioni mediatiche.

O’Brady ha fatto qualcosa di simile, descrivendo come estrema e mai fatta prima una traversata che, a conti fatti, è stata meno importante ed eroica di quella realizzata quasi 25 anni fa da Ousland. «La ragione per cui non l’aveva fatto nessuno prima di lui è che nessuno aveva pensato valesse la pena provarci, per quanto riguarda stabilire nuovi record» ha detto al National Geographic l’esploratore americano Eric Larsen, una delle persone consultate da O’Brady per organizzare la sua spedizione.

Ma l’operazione di O’Brady non è senza conseguenze: gli ha permesso di ottenere un contratto per un libro molto promosso, di fare conferenze il cui cachet supera i 50mila dollari, e di apparire con regolarità in televisione e in radio.

O’Brady ha risposto all’articolo del National Geographic con una lunga lettera pubblicata sul suo sito, in cui ha definito la versione di Teasdel «molto inaccurata» e dicendo di essere stato contattato soltanto brevemente per replicare. Il National Geographic ha risposto sostenendo che O’Brady sia invece stato sentito molte volte, ma che a un certo punto ha smesso di rispondere.

Come ha sintetizzato Charles Bethea sul New Yorker, qualcuno potrebbe pensare che O’Brady abbia semplicemente «trovato un modo furbo per vincere quello che ultimamente è diventato una specie di gioco». ALE, del resto, ha certificato la traversata di O’Brady come «solitaria e senza aiuti»: ma come dice Teasdale, è facile vederci un conflitto di interessi, visto che l’ha organizzata. Eric Philips, la guida polare, ha detto che dopo l’ambiguità seguita alla traversata di O’Brady vuole stabilire un nuovo sistema che definisca più precisamente i criteri con cui vengono valutate le imprese antartiche di questo tipo. E secondo questi criteri, quella di O’Brady non è avvenuta «senza aiuti esterni».

Ma al di là delle definizioni tecniche, la storia di O’Brady è un esempio molto efficace di quanto siano diventate complicate le avventure estreme al giorno d’oggi, e quanto siano diventate prima di tutto sfide logistiche, più che vere esplorazioni. Non si tratta tanto di fare qualcosa per primi, ma di ripetere imprese precedenti cambiando qualcosa, a costo di «spaccare il capello», spiega Tearsdale. E per vivere di queste attività, assicurandosi sponsorizzazioni, inviti in televisione e contratti editoriali è necessario presentare i traguardi raggiunti come qualcosa di vero e unico, anche quando a guardar bene lo è soltanto fino a un certo punto.