La birra “doppio malto” non esiste

È solo una definizione introdotta da una vecchia legge italiana, non legata a un tipo di birra in particolare: e ci sono altri luoghi comuni da sfatare

(Dan Kitwood/Getty Images)
(Dan Kitwood/Getty Images)

La parte dell’economia italiana che gira intorno alla birra sta attraversando un periodo di grande successo ed espansione. Nel 2018 si è raggiunto il massimo storico di consumo di birra in Italia: in un anno sono stati consumati in media 33,6 litri a persona. A trainare questa crescita sono le birre e i birrifici artigianali, che nell’ultimo decennio sono quasi quadruplicati.

Nei consumatori sta quindi crescendo la conoscenza della birra e certi luoghi comuni sono meno diffusi di un tempo, ma ce ne sono parecchi che ancora resistono: il fatto che la birra sia una bevanda da consumare con piatti semplici come la pizza, per esempio, o che faccia ingrassare, o ancora che in qualche modo il colore della birra sia collegato al grado alcolico (più è scura, più è “forte”). Di seguito abbiamo messo insieme alcuni di questi luoghi comuni, partendo da una definizione che in Italia è molto diffusa ma che crea un po’ di confusione: la “doppio malto”.

«Mi dai una chiara doppio malto?»

Se entraste in un pub in Inghilterra e chiedeste una pinta “double malt”, probabilmente vi arriverebbe in risposta un’occhiata interrogativa. La definizione infatti è solamente italiana e non ha nessun legame con le materie prime utilizzate né con la lavorazione: non indica un tipo di birra particolare, ma è una definizione legislativa usata per classificare le birre e introdotta da una legge italiana del 1962, e che poi per qualche motivo è entrata nell’uso comune per definire – erroneamente – le birre più pregiate rispetto a quelle normali.

Secondo la legge italiana si può definire una birra “doppio malto” quando il suo grado saccarometrico (o grado Plato) è superiore a 15: il grado saccarometrico misura la quantità di zuccheri della birra prima che venga fermentata (quindi quando ancora è mosto). Non essendoci una stretta relazione tra la quantità di zuccheri del mosto e il grado alcolico della birra, non si può neanche legare la definizione “doppio malto” a birre molto alcoliche o con aromi particolari. L’aumento degli zuccheri non ha a che fare nemmeno col colore della birra, che invece è determinato soprattutto dal cereale di partenza: persino chi la sa lunga farebbe fatica a distinguere una birra normale da una “doppio malto”, a occhi chiusi.

Peraltro, “doppio malto” non è l’unica definizione di cui parla quella legge: c’è anche la birra “speciale” nel caso in cui il mosto da cui è ricavata abbia tra i 13 e i 15 gradi saccarometrici. Ma vi è mai capitato di ordinare una “birra speciale”?

Se la birra è scura allora è più “forte”

Spesso, sbagliando, associamo il colore della birra al fatto che sia più o meno “forte”, cioè più o meno alcolica. Questo luogo comune deriva dal fatto che tradizionalmente il tipo di birra più diffuso in Italia è la lager – cioè un tipo di bionda poco alcolica e dal sapore poco deciso – come la Peroni, la Moretti o l’Heineken. Il fatto che queste birre siano leggere, però, non ha niente a che vedere con il colore, che è un parametro che non dice molto delle caratteristiche della birra: il grado alcolico del prodotto finale dipende dalla quantità di zuccheri del mosto e dal tipo di lievito utilizzato, che è l’ingrediente della birra che trasforma gli zuccheri del cereale (di solito viene usato l’orzo) in alcol. Al limite, quello che ci può suggerire il colore sono i sapori: una birra molto scura come la stout o la porter ne avrà uno tostato, simile al caffè o alla liquirizia, mentre una birra ambrata come una pale ale può ricordare alla lontana il caramello. Ma è un discorso complesso e il sapore può variare molto anche tra birre dello stesso colore.

L’ex primo ministro ceco Vladimir Spidla, a destra, e l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder mentre sorseggiano una birra scura in un villaggio vicino a Praga, in Repubblica Ceca, nel 2003 (AP Photo/Petr David Josek)

La birra va servita ghiacciata

A meno che non frequentiate locali dove servono birra artigianale, siete stati abituati a bere birra a una temperatura gelida, direttamente dal frigorifero: questo perché le lager si bevono a una temperatura molto bassa, dato che hanno un sapore praticamente indistinguibile l’una dall’altra e vengono spesso consumate per accompagnare un pasto.

Il freddo però anestetizza il sapore, e rende quasi impossibile apprezzare una birra appena più ricercata della Nastro Azzurro. Come spiegavamo tempo fa la temperatura a cui va servita la birra varia a seconda delle sue caratteristiche: più è corposa e dal sapore multiforme, più viene esaltata a temperature sopra i 10 gradi, anche se mai superiori ai 16. Insomma, quasi tiepida. Viceversa, se la birra è meno impegnativa e più facile da bere, può essere servita a basse temperature, ma mai inferiori a 6 gradi. Pensateci, prima di mettere in frigo la birra artigianale da 75 centilitri che un amico vi porta per cena.

La birra in lattina è scadente

Il pregiudizio nei confronti della lattina è dovuto al fatto che le peggiori birre vendute al discount sono spesso in lattina, perché costa meno del contenitore in vetro. In realtà la lattina conserva la birra molto bene: la pensano così molti birrifici artigianali che la scelgono come contenitore di alcuni loro prodotti, fra cui il Baladin – forse il più famoso birrificio artigianale in Italia – e il Brewdog, un birrificio scozzese le cui birre ultimamente si vendono anche nei supermercati italiani. Al contrario di quello che si pensa, infatti, l’alluminio delle lattine non intacca il sapore della birra e la protegge meglio dalla luce, che invece può rovinarla rapidamente (è il motivo per cui i vetri delle bottiglie di birra non sono trasparenti). Infine le lattine sono più facili da stoccare, più leggere e meno ingombranti.

La birra in lattina sta vincendo

«La schiuma non mi piace»

Tra i bevitori di birra ci sono quelli che evitano il formarsi della schiuma, un po’ come quelli che al bar ordinano un cappuccino senza schiuma. Ma mentre nel cappuccino la schiuma non ha grande utilità, nella birra è fondamentale: forma uno strato protettivo che ritarda l’ossidazione della birra, conservandone meglio il sapore, e soprattutto trattiene l’anidride carbonica del liquido, evitando che si liberi nel nostro stomaco dopo che l’abbiamo bevuta (dopo poco tempo, infatti, evapora). In un video di Business Insider, un esperto fa vedere cosa succede se versiamo la birra senza formare un po’ di schiuma: l’anidride carbonica resta intrappolata e quando noi la beviamo e poi mangiamo, per esempio, delle patatine, questa si libera nel nostro stomaco, causando una sensazione di gonfiore.

In un recente articolo del New York Times si racconta proprio la crescente attenzione delle birrerie e dei pub a servire le birre con la quantità necessaria di schiuma, spiegando che le bolle che salgono e che formano la schiuma “catturano” gli aromi che poi vengono rilasciati lentamente. Se invece una birra viene versata senza schiuma, gli aromi vengono rilasciati nell’aria molto più velocemente.

La birra fa ingrassare

La “pancia da birra” è un modo di dire piuttosto diffuso che ha provocato l’idea che la birra faccia ingrassare. Innanzitutto bisogna specificare che nessun alimento o bevanda fa ingrassare di per sé, ma – come si sente ripetere spesso – mettere su peso dipende soprattutto da quanto spesso vengono consumati cibi e bevande molto caloriche, e in che quantità. Detto questo, c’è un dato oggettivo da considerare: essendo spesso poco alcoliche, le birre sono anche poco caloriche. Un’Heineken piccola ha circa 138 calorie, meno di una barretta di Snickers e meno di 100 grammi di Cipster. Questo non significa che si può bere birra a profusione, ma è comunque un luogo comune pensare che faccia ingrassare di per sé.

Come spiega il sito del birrificio Baladin, comunque, bisogna fare attenzione al tipo di birra che stiamo consumando: una molto alcolica e più corposa avrà più calorie e quindi farà più ingrassare. Il Baladin consiglia quindi di non chiederci «quanto fa ingrassare la birra, bensì “quanto fa ingrassare quella birra”».

Pilsner, lager, ale?

Gli stili delle birre sono tantissimi ed è difficile catalogarli, perché a volte differiscono solamente per poche sfumature o per i processi di lavorazione. Per esempio, non tutti sanno che la pilsner è sostanzialmente un tipo di lager leggera e luppolata – a cui cioè nella fase finale di lavorazione è stato aggiunto del luppolo – inventata a Plzen, in Repubblica Ceca, nel 1842. Ma il tipo-pilsner identifica soltanto un metodo di lavorazione, diciamo una ricetta, ed è per questo che si possono trovare pilsner più scure o di aromi diversi.

Un altro metodo di fermentazione è quello delle birre ale, originarie e tipiche della Gran Bretagna dove ancora oggi sono maggiormente diffuse. La tradizione birraia britannica è talmente diversa da quella continentale che anche l’etimologia della parola è differente: mentre la parola birra proviene quasi sicuramente dal verbo latino bibere, “bere”, ale ha un’antica radice che potrebbe essere associata al sapore amaro.

A differenza delle lager, che sono fermentate a basse temperature, le ale vengono fermentate a una temperatura compresa tra i 15 e i 24 gradi, ma al pari delle lager possono variare molto tra loro: ci sono infatti tantissime sottocategorie che hanno a che fare con aromi e stili particolari. Se siete curiosi potete dare un’occhiata al catalogo del sito italiano MicroBirrifici oppure a quello del sito americano CraftBeer. Oppure, se volete solo essere in grado di ordinare una birra artigianale senza incappare in figuracce, potete leggere qui:

Come ordinare una birra artigianale

Gli abbinamenti

Il fatto che la birra possa essere bevuta principalmente con piatti poco elaborati come una pizza o un hamburger è un luogo comune, dovuto al fatto che ai cibi pregiati viene comunemente abbinato un vino. In realtà non è sempre così, e sommelier ed esperti sono in grado di abbinare i diversi tipi di birra anche al pesce o alle carni. In Italia può sembrare insolito, ma in altre zone d’Europa è ricorrente: in Irlanda, per esempio, è famoso l’abbinamento tra birra scura e ostriche. Secondo Marco Bolasco, giornalista enogastronomico, si può abbinare una birra a molti piatti di pesce della cucina mediterranea: con una spigola al sale o un fritto misto andrebbe bevuta una lager, con i molluschi una pale ale, con gli spaghetti ai frutti di mare una bock forte. In generale, dice Bolasco, più un piatto ha sapori forti e preparazioni complicate, più strutturata dovrà essere la birra. Con la giusta esperienza, quindi, potrete abbinare una birra a qualsiasi piatto.

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