• Mondo
  • Lunedì 5 agosto 2019

A Hong Kong le proteste non finiscono più

I manifestanti hanno bloccato il traffico e organizzato uno sciopero generale, la leader Carrie Lam è riapparsa dopo tre settimane di silenzio, si teme la reazione della Cina

Hong Kong, 4 agosto 2019
(Elson Li/HK01 via AP)
Hong Kong, 4 agosto 2019 (Elson Li/HK01 via AP)

A Hong Kong vanno avanti da cinque giorni alcune nuove grosse manifestazioni anti-governative, e si è arrivati al nono weekend consecutivo di proteste. Originariamente le proteste erano state innescate dal sostegno del governo locale a una legge che avrebbe facilitato l’estradizione in Cina, ma sono proseguite anche dopo che la legge era stata ritirata: per manifestare contro l’eccessiva ingerenza del governo cinese nella regione semi-autonoma e per chiedere maggiore autonomia. Molti ora vogliono anche le dimissioni della leader Carrie Lam, considerata filo-cinese e accusata di aver represso le proteste, e il ritiro delle accuse di insurrezione contro i manifestanti: lo scorso mercoledì 44 di loro sono comparsi in tribunale per risponderne, e se condannati rischiano fino a 10 anni di carcere.

Sabato e domenica ci sono stati scontri con la polizia – che si è servita anche di gas lacrimogeni – mentre lunedì i manifestanti hanno bloccato i mezzi di trasporto durante l’ora di punta, fermando il traffico stradale, ferroviario e della metropolitana; circa 200 voli sono stati cancellati perché il personale dell’aeroporto si è unito alle proteste. In particolare oggi c’è stato uno dei rari scioperi generali della regione – è il primo degli ultimi 50 anni – a cui hannon partecipato, stando ai sindacati, più di 14 mila persone di 20 settori diversi; sempre secondo gli organizzatori, tra i partecipanti c’erano anche molti impiegati statali.

Oltre allo sciopero si sono tenuti cortei simultanei in sette aree amministrative di Hong Kong e si sono verificati scontri tra manifestanti e poliziotti in cinque posti della città: gli agenti hanno disperso i manifestanti – che avevano bloccato le strade, circondato le centrali della polizia e protestato vicino agli uffici del governo – servendosi di proiettili di gomma, gas lacrimogeni e spray urticante; 82 persone sono state arrestate. C’è stato anche un episodio violento, quando un’auto ha cercato di forzare una barricata costruita dai manifestanti. Un testimone ha raccontato al Guardian che gli attivisti hanno obbligato il conducente a scendere e che l’hanno picchiato finché è riuscito e rientrare e scappare, travolgendo e ferendo una persona.

Dopo tre settimane di silenzio è intervenuta anche la leader Carrie Lam, che in conferenza stampa ha condannato le proteste senza offrire alcuno spiraglio di dialogo: «gli estesi disordini in nome di alcune richieste hanno seriamente danneggiato la legge e l’ordine di Hong Kong e stanno portando la nostra città sull’orlo di una situazione molto pericolosa». Ha aggiunto che il movimento sta mettendo a repentaglio la prosperità e la stabilità di Hong Kong e minacciando l’equilibrio che era stato trovato con il governo centrale, che prevedeva “un paese e due sistemi”, garantendo una serie di autonomie politiche e giudiziarie alla regione. Molti iniziano a chiedersi che cosa farà ora la Cina. Domenica i giornali governativi hanno pubblicato molti articoli di condanna verso le proteste, tra cui un editoriale su Xinhua, l’agenzia di stato, che sosteneva che «il governo centrale non resterà con le mani in mano e non permetterà a questa situazione di continuare». La Cina potrebbe intervenire anche militarmente: una guarnigione dell’esercito è infatti di stanza a Hong Kong.