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  • Venerdì 26 aprile 2019

Una ricchissima ereditiera che non lo era

Storia di Anna Sorokin, che truffò per mesi banche, hotel, ristoranti e amici per entrare nell'alta società newyorkese, riuscendoci

(AP Photo/Richard Drew)
(AP Photo/Richard Drew)

Anna Sorokin, una donna accusata di essersi finta una ricca ereditiera raggirando banche, ristoranti, hotel e diverse persone dell’alta società di Manhattan, è stata giudicata colpevole di truffa aggravata e furto da un tribunale di New York. Sorokin avrebbe compiuto truffe per circa 270mila dollari, sostenendo di essere una ricca ereditiera tedesca con un patrimonio di 67 milioni di dollari in Europa. In questo modo è riuscita a ottenere ingenti prestiti dalle banche e a condurre una vita ben al di sopra delle sue possibilità, utilizzando assegni a vuoto e documenti contraffatti. Della storia di Sorokin e del processo che l’ha vista protagonista si sta parlando molto negli Stati Uniti, e al momento sono già in produzione due serie tv su di lei, una scritta da Shonda Rhimes per Netflix e una da Lena Dunham per HBO.

Sorokin è nata in Russia nel 1991 e si è trasferita in Germania nel 2007: suo padre non era un ricco imprenditore, come lei voleva far credere, ma un camionista. Nel 2011 lasciò la Germania per andare a studiare moda a Londra, al Central St. Martin’s College, ma non terminò gli studi e si trasferì prima a Berlino e poi a Parigi, dove trovò un lavoro da stagista alla rivista Purple. In questo periodo Sorokin iniziò a frequentare gli ambienti della moda e della cultura parigina, e prese a farsi chiamare Anna Delvey. Il suo nome iniziò a circolare tra quelli che contavano nell’alta società francese e il suo account Instagram all’epoca contava già 40mila followers. La sua scalata al successo, fatta di bugie, inganni e truffe, era già cominciata ma raggiunse il suo apice solamente nel novembre del 2016, quando si trasferì a New York.

Per tre mesi visse all’11 Howard, un hotel di lusso a SoHo, dove alloggiò in una stanza da 400 dollari a notte. Neff Davis, la concierge dell’hotel, ha raccontato a The Cut che Sorokin (o Delvey, come si faceva chiamare al tempo) stupì tutto il personale per il suo stile di vita estremamente dispendioso: lasciava sempre 100 dollari di mancia, comprava vestiti molto costosi in continuazione e organizzava cene in ristoranti esclusivi a cui partecipavano personaggi famosi, atleti, capi di aziende importanti. «Il suo posto fisso per la cena era diventato Le Coucou [un lussuoso ristorante newyorkese, ndt]», ha raccontato Rachel Williams, photo editor di Vanity Fair, che era diventata sua amica.

«Era cliente fissa di Christian Zamora, dove andava a farsi fare extension alle ciglia da 400 dollari e ritocchi da 140. Per il colore andava al Marie Robinson Salon, per un taglio di capelli da Sally Hershberger. Aveva noleggiato un aereo privato per partecipare alla riunione degli azionisti di Berkshire Hathaway a Omaha. Ogni cosa che faceva era all’eccesso», ha spiegato Williams elencando i posti esclusivi e costosi che frequentava Sorokin.

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A New York Sorokin progettava di prendere in affitto la Church Mission House, uno storico palazzo di Park Avenue, a Manhattan, per farne un club con gallerie d’arte e ristoranti. L’investimento, disse lei all’epoca, sarebbe stato garantito da un prestito della società immobiliare del suo amico Gabriel Calatrava, figlio del famoso architetto Santiago. Nelle sue intenzioni il club sarebbe stato un “centro dinamico di arti visuali”, con esposizioni di artisti famosi come Urs Fischer, Damien Hirst, Jeff Koons e Tracey Emin. Agli investitori che coinvolse nel progetto disse di aver raggiunto un accordo con l’artista Christo per “impacchettare” l’esterno dell’edificio in occasione dell’inaugurazione, come nelle sue più famose installazioni. Disse anche di aver parlato con André Balazs, noto imprenditore del settore alberghiero, per aggiungere delle stanze d’hotel su due piani del palazzo e con Richie Notar, co-proprietario della catena di ristoranti Nobu, per aprire tre ristoranti, un bar e una bakery.

I fondi di cui Sorokin avrebbe avuto bisogno sarebbero stati in tutto circa 25 milioni di dollari, ma dopo alcuni tentativi falliti di trovarli tramite investitori privati decise di cambiare i suoi piani e provare a raccoglierli da sola. Grazie ai suoi amici nel mondo della finanza riuscì a mettersi in contatto con Joel Cohen, famoso per essere stato il procuratore nel caso del broker Jordan Belfort – quello del film The Wolf of Wall Street – e che ora lavora per lo studio legale Gibson Dunn, specializzato in pratiche immobiliari.

Lo studio assicurò alle banche che Sorokin aveva abbastanza liquidità per chiedere 25 milioni di dollari in prestito e le disse di rivolgersi alla City National Bank e al Fortress Investment Group. Nel novembre del 2016 Andy Lance, un socio dello studio Gibson Dunn che lavorò alla pratica di Sorokin, in una lettera inviata alla City National Bank motivò la richiesta di prestito dicendo che la sua cliente aveva un ingente patrimonio in Europa, e che sarebbe stato garantito da una lettera di credito da parte della banca svizzera UBS. La banca non ritenne che ci fossero abbastanza garanzie e le negò il prestito.

Un mese dopo, Sorokin inviò gli stessi documenti al Fortress Investment Group, chiedendo un prestito tra i 25 e i 35 milioni di dollari. La banca accettò di farle credito, ma in cambio chiese un deposito di garanzia di 100mila dollari. Sorokin allora convinse un rappresentante della City National Bank a concederle un fido bancario per girare quella cifra al Fortress Investment Group. Dopo aver ricevuto i primi 45mila dollari, il Fortress Investment Group decise di inviare degli ispettori in Svizzera per controllare che Sorokin avesse davvero i beni di cui parlava. A quel punto Sorokin, iniziando a temere di essere scoperta decise di tenere per sé i restanti 55mila dollari e di versarli su un conto presso la City National Bank, utilizzandoli poi per spese personali.

Nel frattempo anche l’hotel in cui viveva aveva iniziato a insospettirsi. Quando Sorokin era arrivata per la prima volta all’11 Howard non aveva lasciato una carta di credito ma aveva promesso che avrebbe pagato tramite bonifico bancario. L’hotel aveva aperto da pochi mesi e una cliente che sembrava così facoltosa e che avrebbe alloggiato per un periodo così insolitamente lungo sembrava alla dirigenza un motivo buono per accettare. Le settimane però passavano e in tutto le spese di Sorokin erano arrivate a 30mila dollari (comprese le cene presso il ristorante Le Coucou, addebitate sul conto della stanza).

Dopo molte insistenze da parte della dirigenza dell’hotel, Sorokin inviò un bonifico di 30mila dollari a nome di Anna Delvey: i soldi erano una parte di quelli ottenuti con il fido della City National Bank. Nonostante avesse ricevuto il pagamento, però, in mancanza di una carta di credito valida per le future spese l’hotel fu costretto a cambiare il codice necessario per accedere alla sua stanza. Una volta lasciato l’11 Howard, per ripicca, Sorokin acquistò una serie di domini web con i nomi dei dirigenti dell’hotel, sostenendo che un giorno questi l’avrebbero pagata “un milione di dollari ciascuno” per averli.

Prima di riprendere tutte le sue cose in hotel, Sorokin organizzò un viaggio in Marocco insieme a Williams e a una videomaker che avrebbe dovuto realizzare un documentario sulla vacanza. Prenotò una casa da 7mila dollari a notte con maggiordomo privato a La Mamounia, un resort di lusso di Marrakech. Dopo alcuni giorni la dirigenza del resort disse a Sorokin che la carta di credito che aveva dato come garanzia non era valida e che era necessario che lei o una delle altre due ospiti ne fornissero una funzionante. Williams ha raccontato che alla fine dovette dare la sua carta, pagando di tasca sua circa 62mila dollari, più di tutto quello che guadagnava in un anno. Sorokin le promise che le avrebbe restituito tutto, ma un mese dopo il viaggio tutto quello che ricevette furono 5mila dollari.

Williams e la videomaker tornarono negli Stati Uniti mentre Sorokin andò sulle montagne dell’Alto Atlante a stare nel Kasbah Tamadot, un resort di lusso di proprietà dell’imprenditore britannico Richard Branson e poi nell’hotel Four Seasons di Casablanca. Anche qui ci furono problemi con la sua carta di credito e l’hotel minacciò di avvertire la polizia. Alla fine Sorokin chiamò in soccorso la sua personal trainer a New York che convinse la dirigenza del Four Season che il problema era dell’hotel e non della carta di credito e prenotò a Sorokin un volo di ritorno per New York. «Me lo puoi prendere in prima classe?» disse quest’ultima ringraziandola per il favore.

Tornata a New York andò ad alloggiare in altri due hotel, ma entrambi si accorsero in pochi giorni che la sua carta di credito non era valida e la cacciarono. Nel luglio del 2017 la sua storia di truffe finì per la prima volta sui giornali: Sorokin venne arrestata con tre accuse per furto e rilasciata su cauzione. Pochi giorni dopo incontrò di nuovo Williams e la sua personal trainer che le chiesero spiegazioni su tutto quello che aveva fatto. All’inizio tentennò e poi scoppiò in lacrime: «Avrò abbastanza soldi per ripagarvi, appena mi concederanno il prestito» disse loro.

Il 5 settembre sarebbe dovuta comparire davanti al giudice ma non lo fece: ottenne altri 8mila dollari grazie a due assegni a vuoto e li usò per andarsene a Malibu, in California, per stare in un centro di riabilitazione per dipendenzeVenne arrestata lì il 3 ottobre e poi trasferita nel carcere di Rikers Island, a New York, con sei accuse per truffa aggravata e tentata truffa aggravata, oltre alle tre accuse per furto.

Il processo a suo carico iniziò nel marzo del 2018, e attirò fin dall’inizio l’attenzione dei media anche a causa dell’eleganza di Sorokin alle udienze. La prima settimana indossò un tubino nero e una collana choker, per esempio: il New York Post scrisse che l’abito era della casa di moda italiana Miu Miu, mentre l’account Instagram che pubblica gli outfit di Sorokin durante le udienze scrisse che era di Michael Kors.

Secondo Time, Sorokin avrebbe ingaggiato una stylist, Anastasia Walker, per la scelta dei vestiti da indossare al processo e il suo avvocato difensore, Todd Spodek, ha spiegato a GQ di aver suggerito personalmente a Sorokin di assumere una stylist per il processo, per mostrare alla giuria come l’eleganza fosse parte integrante del suo modo di vivere. Ora Sorokin rischia fino a 15 anni di carcere e l’espulsione in Germania: la sentenza verrà pronunciata il prossimo 9 maggio.

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