Qualcuno ha fatto un pasticcio con la legge sul reddito di cittadinanza

Lo ha scoperto Repubblica: il testo esclude i figli maggiorenni dalla "scala di equivalenza" per stabilire il valore del sussidio, probabilmente per errore

Repubblica ha scoperto che il testo di conversione in legge del decreto sul reddito di cittadinanza contiene un errore che – a oggi – rende la norma approvata diversa da come era stata pensata. Probabilmente a causa di un errore di scrittura, un emendamento votato da Camera e Senato ha di fatto escluso i componenti maggiorenni di una famiglia – a parte il richiedente del reddito di cittadinanza – dalla tabella dei moltiplicatori usati per stabilire l’entità del sussidio. Che si tratti di un errore è in parte confermato dal fatto che il testo definitivo approvato dal Parlamento è sostanzialmente diverso da quello approvato dal governo, a cui invece fa riferimento anche il modulo dell’INPS per chiedere il sussidio.

L’errore riguarda la cosiddetta “scala di equivalenza” del reddito di cittadinanza: il sistema usato per stabilire l’importo esatto del sussidio per ogni nucleo familiare che ne farà richiesta. Il reddito di cittadinanza parte infatti da un valore base che può poi crescere se all’interno del nucleo familiare del richiedente sono presenti altre persone, come figli a carico o persone con disabilità. Il parametro della scala di equivalenza parte da 1 e può arrivare fino a un massimo di 2,1: il valore base del reddito di cittadinanza di moltiplica quindi per 1 quando è destinato a una persona sola, ma può crescere con l’aumento progressivo del moltiplicatore.

Come spiega Repubblica, il testo approvato dal Consiglio dei ministri prevedeva che «il parametro della scala di equivalenza è pari ad 1 per il primo componente del nucleo familiare ed è incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente di età maggiore di anni 18 e 0,2 per ogni ulteriore componente minorenne, fino ad un massimo di 2,1». La frase “è incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente di età maggiore di anni 18” è stata però eliminata in uno dei passaggi di voto al Parlamento con cui il decreto è stato in parte emendato, quando le parole “per ogni ulteriore componente” sono state sostituite dalla frase “Per ogni ulteriore componente di minore età, fino ad un massimo di 2,1, ovvero fino ad un massimo di 2,2 nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti in condizioni di disabilità grave o di non autosufficienza, come definite ai fini dell’Isee”.

Il testo così emendato, dice Repubblica, è stato poi ricomposto al momento della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale:

Quando la Gazzetta ufficiale ha messo insieme i due pezzi — il testo originale e le modifiche votate da Camera e Senato — il risultato è disastroso: «Il parametro della scala di equivalenza è pari a 1 per il primo componente del nucleo familiare ed è incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente di minore età, fino ad un massimo di 2,1, ovvero fino a un massimo di 2,2», etc. Ecco quindi che un’intera frase è saltata. I minori pesano di più. I maggiorenni sono esclusi dal reddito, ad eccezione del richiedente. Un pasticcio.

La modifica al testo potrebbe naturalmente essere stata voluta, ma se fosse così sarebbe cambiato molto lo spirito della legge approvata dal governo. Inoltre, il modulo per la richiesta del Reddito di cittadinanza pubblicato dall’INPS dopo la sua conversione in legge da parte del Parlamento fa riferimento alla scala di equivalenze come presentata nel testo del decreto legge, includendo quindi i figli maggiorenni. Sempre Repubblica spiega che ci sono due modi con cui il governo potrebbe risolvere la situazione ed evitare ritardi nell’erogazione del sussidio. «Le ipotesi sono due. Nell’immediato: un’interpretazione autentica della norma che permetta all’INPS di andare avanti e in contemporanea la modifica della legge nel primo provvedimento utile (ad esempio decreto crescita). Oppure un messaggio dei presidenti di Camera e Senato che consenta alla Gazzetta ufficiale di operare una clamorosa errata corrige».