Cos’è successo con il “revenge porn”

Lega e Movimento 5 Stelle hanno bocciato alla Camera un emendamento di PD, Forza Italia e Leu che introduceva un reato apposito, e ne è nata una protesta

La protesta delle deputate dell'opposizione alla Camera. (ANSA)
La protesta delle deputate dell'opposizione alla Camera. (ANSA)

Giovedì la Camera dei Deputati ha respinto con 232 voti contrari e 218 favorevoli un emendamento al cosiddetto ddl “Codice rosso” che avrebbe introdotto il reato di revenge porn, cioè la pratica di diffondere immagini e video privati senza il consenso della persona interessata. L’emendamento era stato proposto dalle opposizioni, da Forza Italia al Partito Democratico a Liberi e Uguali, ma è stato bocciato dai voti contrari di Lega e Movimento 5 Stelle. Ne sono subito nate estese proteste, tanto che il leader del M5S Luigi Di Maio – al momento negli Stati Uniti – ha dovuto annunciare un cambio di linea dicendo che il suo partito può votare l’emendamento quando riprenderanno le discussioni in aula, la prossima settimana.

Il revenge porn è una pratica che esiste ormai da molti anni, e che finisce periodicamente sui giornali per gravi casi di cronaca: il più noto in Italia è quello che aveva riguardato Tiziana Cantone, 31enne napoletana che si era suicidata nel 2016 dopo che alcuni suoi video sessuali privati, diffusi senza il suo permesso, erano stati molto condivisi online. La legge bocciata ieri, che aveva come prima firmataria l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, puntava a riempire un vuoto normativo italiano introducendo un nuovo tipo di reato, e obbligando le piattaforme online alla rimozione dei video di questo tipo entro 48 ore.

Per 14 voti, però, l’emendamento è stato respinto. Era stato presentato durante le discussioni sul disegno di legge governativo conosciuto come “codice rosso”, che punta a rendere più rapide le indagini sui casi di violenza sulle donne, ma Lega e M5S hanno votato contro. Nel pomeriggio di giovedì le deputate di PD e Forza Italia hanno protestato alla Camera raggiungendo i banchi del governo; una delle parlamentari che si era più visibilmente impegnata per la legge sul revenge porn, Stefania Prestigiacomo di Forza Italia, ha pronunciato un duro discorso sostenendo che, a differenza di altri casi in cui in passato i diversi partiti avevano collaborato tra loro sul tema della violenza sulle donne, questa volta non è avvenuto «in nome dell’egoismo e in nome di una ostinazione incomprensibile».

Il M5S si era giustificato sostenendo che ci fosse bisogno di una legge più completa sul tema, e che un emendamento non fosse sufficiente. Perciò, contemporaneamente al voto, hanno presentato al Senato una proposta di legge sullo stesso tema, che introduce pene dai sei mesi a 3 anni per chi pubblica foto private senza il consenso dell’interessato, che diventano fino a 4 anni nel caso di ex partner e fino a 10 anni se la vittima si uccide. Questa posizione è stata appoggiata anche da Giulia Sarti, deputata del M5S che si era autosospesa a febbraio in seguito a uno scandalo sui cosiddetti rimborsi falsi, e che è stata personalmente vittima di revenge porn. Sarti ha detto che «in virtù di quel che ho passato (…) il caso in questione non può certo risolversi attraverso l’approvazione di un mero emendamento».

La discussione riprenderà martedì 2 aprile, e a quanto dice Di Maio l’emendamento sul revenge porn potrebbe essere approvato coi voti del M5S. Non è chiaro come voterà la Lega: ieri l’ex ministra Maria Elena Boschi, che sostiene l’emendamento, ha chiesto polemicamente su Twitter dove fosse Giulia Bongiorno della Lega, ministra delle Pari Opportunità e promotrice del ddl “codice rosso”, che però non ha chiarito la posizione del suo partito sull’emendamento sul revenge porn.