Se i vostri interlocutori non vi ascoltano, forse è colpa vostra

Lo ha detto un'esperta di comunicazione al Wall Street Journal, secondo cui bastano sette buone abitudini per migliorare le vostre chiacchierate

(Dal film "Harry ti presento Sally")
(Dal film "Harry ti presento Sally")

Quante volte vi è capitato di parlare con qualcuno e di rendervi conto, a metà conversazione, che il vostro interlocutore aveva smesso di ascoltarvi? “Ma mi stai ascoltando?” gli avrete probabilmente detto con tono di rimprovero, mentre era ancora assorto nei suoi pensieri; oppure lo avete pensato e basta. È una cosa che capita sempre più spesso, specie perché la tecnologia ci permette di fare più cose contemporaneamente e ci immerge in un flusso di informazioni e notifiche che ci distraggono dal momento presente e dal prestare attenzione alle conversazioni. La prima cosa che verrebbe in mente di fare è prendersela con l’ascoltatore, consigliandogli di mantenere la concentrazione su chi gli sta parlando, evitando distrazioni come guardare il proprio smartphone. E se invece la colpa fosse della persona che parla, e non dell’ascoltatore?

È quello che si è chiesta una giornalista del Wall Street Journal, Elizabeth Bernstein, che ne ha parlato con un’esperta di comunicazione e terapista di coppia, Traci Ruble. Secondo Ruble, che ha creato a San Francisco Sidewalk Talk, un progetto sociale in cui alcuni volontari si mettono a disposizione degli sconosciuti in strada per parlare di qualsiasi cosa, di solito le persone che parlano durante una conversazione sono troppo attive e concentrate su se stesse: «Chi parla molto non controlla mai se viene anche ascoltato, mentre nel frattempo l’interlocutore inizia a pensare cose come: “Noti mai che io sono qui e che tu stai semplicemente riversando ansiosamente su di me tutti i tuoi pensieri”».

Sta a chi parla il compito di darsi da fare per rendere migliori le conversazioni, ed evitare che i propri interlocutori si distraggano. Per far questo, secondo Ruble, si devono instaurare delle “conversazioni connesse”, in cui chi parla deve: essere consapevole della persona a cui parla e apprezzare il contributo di questa al dialogo, pensare a cosa si prova ad ascoltare e non rimanere chiusi nel proprio mondo, provare gratitudine per la persona che ascolta e interrogarsi sul benessere di quella persona, domandandosi se lo si stia annoiando o sopraffacendo in qualche modo.

Per riuscire ad avere una “conversazione connessa”, Ruble ha dato sette consigli. Innanzitutto non lanciatevi a capofitto in una conversazione, e fate capire prima quale sarà il tono della chiacchierata. «Magari ci sono persone che hanno tempo per una storia felice ma non per consolarti perché il tuo gatto è stato investito», dice Ruble. In secondo luogo mettete in chiaro di cosa avete bisogno, e fate capire fin da subito se volete consigli o qualcuno che vi ascolti e basta: in questo modo il vostro interlocutore saprà cosa volete dalla conversazione e ciò lo aiuterà a non distrarsi.

Non prendetela sul personale se il vostro interlocutore si distrae e chiedetegli se c’è qualcosa che non va, e qualsiasi sia la sua risposta accettatela. Altre cose importanti sono rallentare il ritmo delle vostre parole, respirando e mantenendo un contatto visivo con la persona con cui state parlando, e non divagare, cercando di mantenere il focus della conversazione su un solo argomento. Infine, se il vostro interlocutore ha smesso di ascoltarvi, chiedetegli se preferisce parlare in un altro momento, magari in un altro posto dove ci siano meno distrazioni. Soprattutto, allenatevi ad apprezzare la persona che vi ascolta: una “conversazione connessa” necessita il rispetto dell’altra persona, mentre se pensate solo a quello che avete da dire senza preoccuparvi di cosa provi l’altra persona, il rischio che quest’ultima divaghi e inizi a pensare ad altro è molto elevato.