La storia vera di “The Mule”

Il nuovo film di e con Clint Eastwood racconta la storia di un americano di 87 anni che trasportava droga per El Chapo

(AP Photo/Ed White)
(AP Photo/Ed White)

È uscito oggi in Italia il film The Mule, di e con Clint Eastwood, che a 88 anni continua a dirigere e recitare. The Mule parla di un uomo di quasi novant’anni che si mette a fare il corriere della droga per il cartello messicano di Sinaloa, ed è ispirato a una storia vera che nel 2014 Sam Dolnick raccontò sul New York Times Magazine. Nel film il personaggio di Eastwood si chiama Earl Stone, ma il vero nome dell’uomo su cui si basa la storia è Leo Sharp.

Sharp nacque nel 1924 a Michigan City, che nonostante il nome si trova nello stato dell’Indiana; ma passò l’adolescenza a Detroit, che invece è proprio in Michigan. Non si sa praticamente nulla dei suoi primi vent’anni di vita: solo che a un certo punto, durante la Seconda guerra mondiale, finì a combattere per gli Stati Uniti in Italia e che per il suo servizio fu premiato con una medaglia. Dopo la guerra Sharp si sposò, si separò (non è ben chiaro quando e perché) e fece in tempo a diventare bisnonno. In un’occasione raccontò di essere stato per un po’ di tempo proprietario di una piccola compagnia aerea che poi fece bancarotta, ma non ce ne sono molte tracce.

Ci sono invece diverse tracce e informazioni dell’attività che Sharp svolse per la maggior parte della sua vita lavorativa: il floricoltore. Negli anni divenne infatti noto, nel giro degli appassionati della materia, per le decine di varietà di emerocallidi che sviluppò. Gli emerocallidi sono fiori simili ai gigli: Sharp si fece conoscere nella comunità internazionale dei floricoltori per i suoi fiori «piccoli e dalle tonalità vibranti». Il suo fiore più famoso è l’Ojo Poco, creato nel 1994, ma nella sua carriera ne ha registrate più di 180 varietà, apprezzate soprattutto per i loro colori che ricordano quelli delle pesche e per un aspetto che secondo alcuni faceva pensare alla porcellana.

Per diversi decenni Sharp visse in una casa in Indiana, sul lago Michigan, vicino a dove era nato, creando e crescendo i suoi fiori. Dolnick ha scritto che «gli appassionati andavano a visitare in pellegrinaggio» la sua casa e il suo giardino, e una newsletter del 2009 dedicata ai fiori disse di lui che «il mondo dei gigli gli apparteneva». Sharp partecipava anche a conferenze, fiere e incontri a tema in giro per gli Stati Uniti, sempre in abito elegante: a volte tutto bianco, altre tutto nero. Ad accompagnarlo c’era spesso un entourage di persone tra le quali diversi floricoltori messicani, alcuni dei quali lavoravano con lui nella fattoria.

Per i primi 75 anni della sua vita, cioè fino alla fine degli anni Novanta, Sharp probabilmente non usò né trafficò cocaina. Guadagnava grazie ai suoi fiori e grazie a un catalogo annuale delle varietà da lui create, che per certi appassionati era un acquisto immancabile. Poi però arrivò internet, che insieme a tantissimi altri mondi sconvolse anche quello dei cataloghi di emerocallidi. Sharp non volle o non seppe adattarcisi e i suoi guadagni si ridussero anno dopo anno; i cataloghi diventarono sempre meno spessi e alla fine, racconta il New York Times Magazine, «iniziarono a essere stampati in bianco e nero»: che non è l’ideale, per un catalogo sui colori dei fiori.

Non si sa con esattezza quando Sharp divenne un corriere per il cartello messicano di Sinaloa, cioè il più grande al mondo e quello allora guidato da Joaquín Guzmán, El Chapo. Si pensa che iniziò intorno al 2000, e che a proporgli il lavoro fu uno dei floricoltori messicani che lo accompagnavano nei suoi viaggi; si pensa che quei floricoltori conoscessero persone, che conoscevano persone, che conoscevano qualcuno del cartello. Il suo lavorò iniziò come quasi sempre per un corriere: spostando denaro da un posto all’altro. Poi, una volta guadagnata un po’ di fiducia da parte del committente, al posto del denaro arrivò la cocaina.

Probabilmente Sharp fu scelto perché, nonostante l’età, era considerato affidabile; e soprattutto perché, proprio per la sua età, si pensava sarebbe stato insospettabile. Un buon requisito per essere un corriere della droga è infatti non sembrare un corriere della droga. Si ritiene che Sharp fu pagato come ogni altro corriere statunitense usato dal cartello di Sinaloa: circa mille dollari per ogni chilo trasportato. E si pensa che verso la metà dei primi anni Duemila avesse già trasportato circa mille chili di droga guidando attraverso gli Stati Uniti.

La maggior parte dei viaggi di Sharp finivano a Detroit – in Michigan, vicino a casa sua – e la polizia arrivò a sapere di lui proprio grazie a un’indagine sullo spaccio di cocaina in quella città. A occuparsi dell’indagine era l’agente Jeff Moore (che nel film si chiama Colin Bates ed è Bradley Cooper).

Il 17 settembre 2011 Moore scoprì per la prima volta che il cartello di Sinaloa usava, tra gli altri, un corriere che allora aveva 87 anni e il cui nome in codice era Tata, “nonno”. Moore ha raccontato che la prima volta che intercettarono una conversazione sentirono che, mentre concludevano uno scambio di cocaina per un valore di due milioni di dollari, Sharp e un altro uomo chiacchieravano del più e del meno. Sharp parlava della sua salute, disse che sarebbe vissuto fino a cent’anni e chiese all’altro uomo se per caso non volesse anche un po’ di cipolle. La polizia pensò che fosse un nome in codice usato dai narcotrafficanti per chissà quale droga, invece no: parlava solo e davvero di cipolle.

Dopo le necessarie verifiche, Sharp fu arrestato il 21 ottobre 2011, mentre guidava il suo pickup Lincoln sulla Interstate 94: un’autostrada che collega Chicago, Minneapolis e Detroit. Era partito otto giorni prima dalla Florida, dall’altra parte degli Stati Uniti.

Gli agenti della DEA, l’agenzia antidroga statunitense, pedinarono Sharp, presidiarono la strada senza farsi notare e lo fermarono con la scusa di un controllo di routine. Quei momenti sono stati ripresi in un video: si vede Sharp scendere lentamente dall’auto e ripetere un paio di volte che è vecchio. La polizia ha raccontato poi che la sua auto era sporca e disordinata, con «cartacce, panini mezzi mangiati e vecchi giornali». L’agente gli chiese se per caso avesse delle armi con sé e lui rispose: «Armi? A 87 anni? Per fare cosa? Mi faccia il favore, agente». Sharp raccontò anche di aver posseduto una piccola compagnia aerea ma che ora faceva altro: «Creo nuove ibridazioni di piante per rendere il mondo un posto migliore». Aggiunse che stava andando a visitare un amico, ma non seppe dire dove abitasse quell’amico. Chiese all’agente di lasciarlo andare, visto che stava facendo buio e non si sentiva tranquillo a guidare di notte; ma il poliziotto si fece aprire il baule e ci trovò 104 chilogrammi di cocaina, che per Sharp sarebbero valsi circa 100mila dollari.

Durante il successivo processo Sharp si dichiarò colpevole e nell’ottobre 2013 fu condannato a tre anni di carcere. Non collaborò in nessun modo rilevante alle indagini sul cartello di Sinaloa. Il suo avvocato provò a dimostrare che soffriva di demenza senile e che fece il corriere perché obbligato e minacciato, ma non ci riuscì; anche perché la DEA mostrò fotografie di Sharp in vacanza alle Hawaii insieme a uno dei capi del traffico di droga di Detroit.

L’avvocato disse anche che Sharp era un eroe di guerra, e non era quello il modo in cui si sarebbe dovuto trattare. L’accusa disse invece: «Quanti tossicodipendenti ci sono nelle strade di Detroit solo per colpa di Sharp?».

Durante il processo Sharp si fece notare perché spesso chiedeva al giudice di alzare la voce, perché non sentiva quel che gli veniva detto; chiese anche se era possibile non andare in carcere e pagare solo una multa, per potersi così trasferire alle Hawaii, dove disse che vivevano le sue figlie. Sharp uscì di prigione dopo un anno per una malattia che nel 2016 portò alla sua morte, a 92 anni. Dolnick, che non si è occupato in modo diretto della sceneggiatura del film di Eastwood, ha detto di non aver mai capito davvero perché Sharp scelse di diventare corriere della droga, e se ebbe mai dei rimorsi.