Il talento di Victor Fleming

Forse era grezzo, ma di certo era notevole: lui morì settant'anni fa dopo aver diretto "Via col vento" e "Il mago di Oz", per dirne due

Settant’anni fa, il 6 gennaio 1949, morì il regista Victor Fleming, nato nel 1889. Non tutti lo conoscono e non tanti, tra quelli che conoscono il cinema, lo apprezzano particolarmente. Non come uno dei registi migliori di sempre, almeno. Eppure ha diretto grandissimi attori e attrici – Ingrid Bergman, Spencer Tracy, Vivien Leigh, Olivia De Havilland, Jean Harlow e Clark Gable – ed è stato il regista di due dei più noti e apprezzati film della storia del cinema: Il mago di Oz  e Via col vento, entrambi usciti nel 1939. In tutti e due i casi arrivò a dirigere i film prendendo il posto di altri registi licenziati. È uno dei motivi per cui forse è poco apprezzato, ma non l’unico.

L’attrice Lili Damita e Victor Fleming, negli anni Trenta (Hulton Archive/Getty Images)

Gli altri motivi hanno a che fare con il fatto che lavorò in un’epoca in cui la regia era vista come qualcosa di tecnico più che artistico;  e con il fatto che morì relativamente presto, a 59 anni, senza lasciare appunti, trattati o libri in cui parlava di quel che aveva fatto, cosa che lo fece un po’ dimenticare dalla critica e dalle correnti cinematografiche che celebrarono il cinema d’autore. Ma il suo contributo in Via col vento e Il mago di Oz è stato notevole e il suo talento per la regia innegabile.

Alla regia, Fleming ci arrivò facendo un giro piuttosto largo. Nato in California – da un padre che morì quando lui aveva quattro anni – lasciò la scuola presto e iniziò a fare il meccanico e l’autista. Ma ebbe modo di appassionarsi anche alla fotografia, e durante la prima Guerra mondiale lavorò come fotografo al fronte. Finita la guerra, fu tra i fotografi che seguirono il presidente statunitense Woodrow Wilson alla conferenza di Versailles, in Francia. Al cinema ci arrivò grazie al regista Allan Dwan, conosciuto mentre faceva il meccanico. Gli fece da assistente e in seguito lavorò anche per David Wark Griffith, il regista di Nascita di una nazione, uno dei primi film che studia chi studia storia del cinema.

Fleming, alto più di un metro e ottanta e descritto come più bello di molti degli attori dei suoi film, diresse il suo primo film nel 1919, ebbe relazioni con alcune attrici e nel 1929 diresse L’uomo della Virginia, il film che lanciò la carriera di Clark Gable, che diresse diverse altre volte. Il regista Henry Hathaway, che aveva fatto l’assistente di regia per Fleming, disse: «In Clark Gable c’è più Victor Fleming che Clark Gable».

Fleming diresse film muti, d’azione e western, e nel 1932 iniziò a lavorare con la MGM, la grande casa di produzione con la quale fece la maggior parte dei suoi film. Allora c’era un sistema in base al quale registi e attori facevano contratti per diversi film con un singolo studio, che praticamente li spostava come preferiva da un film all’altro. Per la MGM diresse, tra gli altri, Lo schiaffo, Argento vivo, Tentazione bionda, L’isola del tesoro e Capitani coraggiosi: film di generi molto diversi.

Poi arrivò il 1939, l’anno dei suoi due film più famosi. Il mago di Oz, tratto da un romanzo del 1900, era stato inizialmente diretto da Richard Thorpe. Fu licenziato perché il film non stava venendo come voleva la MGM e per un po’ si avvicendarono altri registi, compreso George Cukor. Ma alla fine la maggior parte delle scene furono dirette da Fleming, chiamato per mettere a posto le cose. Fleming rese il film molto più originale e come scrisse qualche anno fa il New York Times, «se lo si guarda considerandolo un’opera d’arte e non un cimelio di famiglia, è intensamente moderno».

Nel frattempo, mentre ancora stava lavorando a Il mago di Oz, Fleming fu chiamato per rimettere a posto le cose anche a Via col vento, inizialmente diretto (anche questo) da George Cukor. Si dice che Clark Gable non gradisse tutte le attenzioni che Cukor riservava alle attrici Olivia De Havilland e Vivien Leigh, ma ci furono anche altri motivi più cinematografici. Quindi chiamarono Fleming, che fece girare ad altri alcune scene di Il mago di Oz ma che, pur di occuparsi del montaggio, lavorò di giorno a Via col vento e di notte al montaggio di Il mago di Oz. 

Fleming si fece notare in vari modi, sul set di Via col Vento. Disse a Leigh, giovane attrice britannica che interpretava Rossella O’Hara: «Signorina Leigh, può mettersi la sceneggiatura nelle sue britanniche chiappe reali». Fu, come ha scritto il Guardian, «uno dei pochi registi a convincere Gable che non era poco mascolino piangere in una scena». Come ha invece scritto il New Yorker, girò anche la scena in cui il personaggio di Gable è introdotto per la prima volta, mentre sorride in fondo a una scala: «Probabilmente l’entrata in scena più affascinante che un attore abbia mai avuto».

Qualcuno dice che Fleming abbia diretto il 60 per cento del film, qualcun altro il 45 (e che quindi va considerato una sorta di film collettivo). Però il film è riconosciuto come suo, e ci vinse anche un Oscar per la miglior regia. Via col Vento fu anche premiato come miglior film, in un anno in cui tra i candidati c’erano, oltre a Il mago di Oz, film come Ninotchka, Uomini e topi e Ombre rosse.

C’è un altro aneddoto sul film. L’attrice Olivia de Havilland, che al tempo era la compagna del regista (e non solo) Howard Hughes, gli espresse i suoi dubbi dopo che Cukor era stato sostituito con Fleming. Hughes le rispose: «Non temere, andrà tutto bene. George [Cukor] e Victor [Fleming] hanno lo stesso tipo di talento, solo che quello di Victor è passato attraverso un setaccio più grezzo».

Il mago di Oz uscì nell’agosto 1939, Via col vento nel dicembre dello stesso anno. Fleming non partecipò all’anteprima: non è chiaro se per dissensi con il produttore David O. Selznick o perché preferì partecipare al funerale di Douglas Fairbanks, suo amico e noto attore del cinema muto, con il quale aveva lavorato all’inizio della sua carriera.

Negli anni Quaranta, Fleming diresse anche altri film – i più noti sono Dr. Jekyll e mr. Hyde, Gente allegra e Giovanna d’Arco – e il 6 gennaio 1949 morì d’infarto. La critica successiva non lo celebrò quanto altri suoi colleghi. Ma, come ha scritto il Guardian, «era un regista versatile, capace di combinare dolcezza e durezza». David Denby ha scritto sul New Yorker che i suoi meriti principali stavano nel «sapere dove mettere i personaggi in un’inquadratura» e nel lasciare gli attori liberi di interpretare i personaggi, dopo avergli fatto capire cosa voleva da loro.

Michael Sragow – critico di cinema e autore del libro Victor Fleming: An American Movie Master, uscito nel 2009 – ha scritto che «era noto per la sua maestria tecnica» ma andrebbe ricordato soprattutto per la «purezza emozionale» dei suoi film. Ha anche scritto che «Fleming non si adattò e nemmeno ruppe il sistema delle case di produzione» che regolava il cinema in quegli anni: «semplicemente andò oltre».