La crisi di Carige

È la banca italiana messa peggio e ora il resto del sistema finanziario sta cercando di salvarla senza far intervenire lo Stato

(ANSA/LUCA ZENNARO)
(ANSA/LUCA ZENNARO)

Oggi si svolgeranno le riunioni di due consigli d’amministrazione che decideranno il futuro della Cassa di risparmio di Genova e Imperia (Carige), la banca genovese in crisi da anni e che ha bisogno di centinaia di milioni di euro per sopravvivere. Il primo a riunirsi sarà il cda della banca stessa, che dovrà decidere cosa fare per rafforzare il capitale dell’istituto. Secondo i giornali, il cda alla fine deciderà di chiedere al mercato un prestito tra i 300 e i 400 milioni tramite l’emissione di una nuova obbligazione.

Il problema è che nell’attuale situazione di mercato non sono in molti a essere disposti a prestare soldi alle banche italiane, in difficoltà da anni a causa della crisi economica che ha aumentato il numero di crediti diventati inesigibili e, più recentemente, danneggiate dall’aumento degli spread. Carige è considerata una di quelle più esposte. Le principali agenzie di rating la giudicano “a rischio fallimento” (l’ultimo downgrade è arrivato a ottobre da parte di Fitch), il che rende ancora più complicato trovare investitori disposti a prestarle denaro, mentre gli analisti la considerano “sulle soglie del default”. Carige ha circa 4.500 dipendenti e nel 2017 ha perso 388 milioni di euro su 516 di fatturato.

Per queste ragioni, contemporaneamente al cda di Carige si riunirà quello dello Schema Volontario, il fondo di emergenza privato partecipato da tutte le banche italiane. Il compito degli amministratori del fondo sarà decidere se fornire una garanzia all’obbligazione che Carige con ogni probabilità deciderà di emettere. Secondo il Sole 24 Ore, lo Schema Volontario potrebbe fornire garanzie per 300 milioni di euro, denaro che su iniziativa dei due principali partecipanti allo Schema, Intesa Sanpaolo e Unicredit, sarà fornito da tutte le banche partecipanti al fondo, in proporzione alla loro quota del fondo.

Sempre secondo il Sole 24 Ore, l’intervento dello Schema sarà condizionato alla partecipazione degli azionisti della banca stessa, che dovrebbero garantire altri 100 milioni di euro. Circa 50 milioni di euro dovrebbero essere garantiti dalla famiglia Malacalza, che possiede il 28 per cento delle azioni, ma proprio negli ultimi giorni sembra esserci stato un intoppo. Alcuni degli azionisti minori della banca starebbero esitando a impegnarsi di nuovo, e questo avrebbe spinto anche i Malacalza a mettere in dubbio il loro contributo all’operazione. Secondo i giornali di oggi, domenica sera c’era ancora molta incertezza sulle possibili decisioni degli azionisti.

Per la giornata di oggi, i manager di Carige hanno chiesto la sospensione delle contrattazioni sulle azioni della banca «in attesa di illustrare al mercato le misure di rafforzamento patrimoniale che saranno deliberate dal Consiglio di Amministrazione di oggi» e «al solo fine di evitare movimenti speculativi anche alla luce delle indiscrezioni». Significa che alla borsa di Milano nessuno può comprare o vendere azioni Carige.

Le conseguenze di un mancato accordo sono imprevedibili. Il prestito obbligazionario, infatti, dovrebbe essere soltanto un ponte verso un nuovo aumento di capitale da 400 milioni che si dovrebbe svolgere a gennaio (in una situazione che si spera sia migliore per questo tipo di operazioni). Con il denaro raccolto, la banca dovrebbe restituire gran parte del prestito e migliorare i suoi requisiti di capitale. Sarebbe il quinto aumento di capitale in quattro anni: la banca ha effettuato aumenti di capitale per un totale di 2,1 miliardi di euro, ma oggi le sue azioni valgono in totale appena 450 milioni di euro.

Anche per queste ragioni, è dallo scorso luglio che la BCE chiede a Carige di rafforzare il suo patrimonio che rischia di finire sotto i livelli minimi richiesti dai regolamenti europei. L’aumento dello spread, che ha ridotto il valore dei 3,7 miliardi di titoli di stato che la banca ha in portafoglio ha reso la situazione ancora più difficile. L’altra grande banca messa male è MPS, salvata parecchie volte in passato, ma sempre tornata in gravi difficoltà. I grandi istituti invece sono considerati sicuri, in particolare Unicredit e Intesa San Paolo, quest’ultima ritenuta una delle banche più sicure d’Europa.

Nonostante la grave situazione, il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha assicurato che né Carige né MPS sono “a rischio dissesto”, mentre il presidente della Liguria Giovanni Toti ha detto che in passato Carige era stata più volte data per spacciata, ma che è sempre riuscita a sopravvivere. Nelle settimane precedenti il governo aveva comunque fatto sapere di essere disposto a intervenire per aiutare banche in difficoltà, anche se rimane molta incertezza sull’esatta natura di questo potenziale intervento.