Tre pazienti con paralisi camminano di nuovo grazie a un impianto spinale

È il risultato molto promettente di una ricerca realizzata in Svizzera, ma siamo ancora a molti anni di distanza da una completa soluzione del problema

École polytechnique fédérale de Lausanne (EPFL)
École polytechnique fédérale de Lausanne (EPFL)

Tre pazienti con paralisi alle gambe hanno ripreso a camminare, seppure goffamente e per pochi passi alla volta, grazie a un nuovo sistema di stimolazione realizzato presso la Scuola politecnica federale di Losanna, in Svizzera. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista scientifica Nature, si inseriscono nella serie di progressi raggiunti negli ultimi anni sul recupero delle paralisi dovute alle lesioni spinali. Anche se è una buona notizia, saranno comunque necessari anni prima di avere sistemi e terapie nelle cliniche, per trattare i milioni di persone nel mondo con paralisi e difficoltà motorie dovute alle loro lesioni spinali.

Tra i pazienti trattati a Losanna c’è David Mzee, un uomo di 33 anni, rimasto paralizzato nel 2010 a causa della frattura del collo dovuta a una brutta caduta da un trampolino. L’incidente causò seri danni al sistema nervoso di Mzee, interrompendo quasi completamente il passaggio degli impulsi elettrici verso i muscoli. Dopo avere fatto un po’ di ricerche per conto proprio, grazie a un amico medico Mzee venne a conoscenza delle sperimentazioni in corso a Losanna su alcuni animali con lesioni spinali per ripristinare la loro mobilità. Quando i ricercatori annunciarono un progetto di ricerca direttamente sugli esseri umani si offrì volontario, insieme ad altre due persone.

Il trattamento inizia con un intervento invasivo: un’operazione chirurgica per impiantare elettrodi sulla parte superficiale della spina dorsale, all’altezza dell’area lombare. Un altro dispositivo, una sorta di pacemaker, viene invece impiantato nell’addome e ha la capacità di inviare impulsi elettrici agli elettrodi sulla schiena, che a loro volta trasmettono segnali verso le terminazioni nervose delle gambe. Il pacemaker simula nel modo più realistico possibile gli impulsi che in condizioni normali il sistema nervoso riesce a inviare ai muscoli, con comandi specifici per muovere una caviglia, alzare un piede o flettere un ginocchio.

Dopo innumerevoli stimolazioni e ore di fisioterapia, i tre pazienti hanno progressivamente recuperato la capacità di muovere le gambe e di controllarne i movimenti, seppure in modo ancora rudimentale e con la mancanza di movimenti più fini. Ma ciò che i ricercatori hanno notato, coerentemente con il lavoro di altri colleghi svolto in passato, è che il cervello stesso risponde agli stimoli riorganizzando in parte le proprie attività per riprendere controllo dei muscoli. Grazie a questa riorganizzazione, già osservata in altri animali durante gli esperimenti, i tre pazienti hanno recuperato la capacità di controllare autonomamente parte della muscolatura delle gambe, anche con pacemaker inattivo.

Mzee riesce a compiere autonomamente alcuni passi, aiutato da un girello, e ha continuato a fare progressi, seppure lentamente e sottoponendosi a lunghe sessioni di fisioterapia ogni giorno. A casa sta cercando di costruirsi una sorta di sostegno da appendere al soffitto, in modo da esercitarsi in autonomia. Nel suo caso, la paralisi non gli consente di mantenere il busto eretto nella giusta posizione e questo influisce sulla sua postura, complicando la deambulazione.

École polytechnique fédérale de Lausanne (EPFL)

Il gruppo di ricercatori di Losanna ha una profonda conoscenza delle lesioni spinali e dei sistemi per superarle. In passato aveva condotto uno studio sui principi della stimolazione continua, che prevede il costante invio di tenui segnali elettrici al sistema nervoso per stimolarne la riorganizzazione e la crescita. Questa soluzione ha dato esiti positivi sulle cavie di laboratorio, ma non sembra essere efficace per gli esseri umani, forse per la maggiore complessità del nostro sistema nervoso: è come se generasse un disturbo di fondo nelle trasmissioni dei segnali, confondendo il cervello.

I risultati ottenuti a Losanna sono stati accolti con grande interesse dai neurologi e più in generale dalla comunità scientifica, ma molti hanno invitato a non farsi prendere da entusiasmi eccessivi. I pazienti sottoposti ai test avevano lesioni spinali parziali e il fatto che fossero solamente tre indica quanto ridotto fosse lo studio, per il numero di esperienze osservate. I risultati sono comunque incoraggianti e confermano quanti margini di miglioramento ci possano ancora essere nelle tecniche per recuperare la capacità di muovere i muscoli, dopo gravi lesioni.

Ricerche come quella di Losanna finiscono spesso sulle riviste scientifiche, suscitando nuove grandi aspettative da parte delle persone affette da paralisi e dei loro cari. I progressi sono sempre più tangibili, ma sono ancora embrionali e saranno necessari anni prima che nuove soluzioni possano essere applicate su larga scala. Come si dice spesso in medicina, ogni persona è un mondo a sé, e ognuno reagisce in modo diverso: per alcuni, come Mzee, le stimolazioni elettriche consentono grandi risultati, mentre per altri a parità di trattamento non si rilevano miglioramenti tangibili.

Le terapie devono quindi essere personalizzate e richiedono una notevole dedizione, sia da parte dei pazienti sia del personale medico. I costi per questo genere di attività sono ancora molto alti e difficilmente potranno ridursi in breve tempo. La ricerca comunque prosegue e su più terreni: oltre a quello delle stimolazioni elettriche, si indagano da tempo soluzioni per stimolare chimicamente il funzionamento delle terminazioni nervose, senza contare altri sistemi ancora che hanno come obiettivo creare “ponti” artificiali, per superare le lesioni spinali e ripristinare le comunicazioni nervose. Soluzioni di questo tipo potrebbero un giorno essere più economiche e alla portata dei sistemi sanitari nazionali, con benefici per migliaia di persone come Mzee.