Una diga vicino a Islamabad, Pakistan, in una foto del 2013 ( FAROOQ NAEEM/AFP/Getty Images)

Il Pakistan vuole costruire due dighe in crowdfunding

Il governo sta facendo di tutto per raccogliere i 12,4 miliardi di dollari necessari chiedendo donazioni a tutti, ma a questo ritmo è possibile che non ci riesca nemmeno in 90 anni

Quest’estate il governo del Pakistan ha lanciato un’imponente campagna di crowdfunding per finanziare il completamento di due grandi dighe per la produzione di energia idroelettrica. È il sistema usato da siti come Kickstarter, che raccolgono soldi da tanti privati per permettere la realizzazione di un progetto. Entrambe le dighe si trovano nel Pakistan del nord: la prima, Mohmand, è in costruzione sul fiume Swāt dal 2012 con finanziamenti dei governi pakistano e francese; della seconda, la più potente Diamer-Bhasha, sul fiume Indo, esiste solo il progetto.

L’iniziativa è senza precedenti, e sembra praticamente impossibile, scrive Al Jazeera, che l’obiettivo venga raggiunto: servirebbero 12,4 miliardi di dollari (circa 10,5 miliardi di euro), e da luglio a oggi ne sono stati raccolti solo 29,1 milioni (24,7 milioni di euro). Anche senza considerare che i costi di dighe così grosse mediamente lievitano del 63 per cento in fase di costruzione, a questo ritmo il crowdfunding dovrebbe durare 87 anni.

Eppure la campagna sta venendo massicciamente promossa dal nuovo governo presieduto da Imran Khan con tutti i mezzi a propria disposizione: i canali televisivi sono pieni di pubblicità a sostegno dell’iniziativa; la possibilità di raccogliere donazioni è stata estesa agli sportelli bancari e agli operatori telefonici, via SMS; l’esercito, che in Pakistan ha un grande peso politico, a inizio settembre ha donato 8,1 milioni di dollari e si sta impegnando a fare appelli alla popolazione.

Il maggiore promotore del crowdfunding è Saqib Nisar, l’uomo a capo della giustizia del Pakistan, che la scorsa settimana ha detto che parlare male dell’iniziativa verrà considerato “alto tradimento” dal governo. È opinione di molti analisti che Nisar stia usando il proprio potere sul sistema giudiziario come merce di scambio per invogliare grandi banche e aziende a fare donazioni: in diversi casi i contenziosi che i donatori avevano con la giustizia sono caduti, dopo la donazione, ed è un fatto che molti dei più grossi donatori sono o erano in attesa di giudizio da parte della Corte Suprema. In altri casi le sanzioni comminate in tribunale si sono trasformate in donazioni per il crowdfunding.

Solitamente i crowdfunding per le infrastrutture statali funzionano quando vengono lanciati in fase di progettazione, non a costruzione avviata, e se si tratta di piccole cifre, spiegano gli analisti; in genere, poi, si chiarisce fin da subito quale pezzo del progetto la donazione andrà a coprire. Il governo del Pakistan non ha invece esplicitato come verranno spese le donazioni, e non è riuscito a offrire nessuna garanzia che riesca a restituire l’investimento ai cittadini nel caso in cui delle dighe non si faccia niente.

Sembra che chi ha donato finora lo abbia fatto per aiutare il proprio paese e per sentirsi parte del successo della realizzazione di un’opera di cui c’è effettivamente bisogno. I critici dell’iniziativa sostengono tuttavia che non si siano considerate opzioni molto più fattibili, come emettere obbligazioni, impiegare nelle dighe soldi ora spesi in altri modi e rivolgersi alle organizzazioni di aiuti internazionali. Il caso più simile a quello del Pakistan è la costruzione di una diga sul Nilo in Etiopia: nel 2011 fu avviata una campagna di raccolta fondi collettiva (molto più piccola) che raggiunse l’obiettivo prefissato, ma la maggior parte dei soldi arrivavano da finanziamenti cinesi e dalla vendita di obbligazioni.

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