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  • Giovedì 9 agosto 2018

Il volo su Vienna di D’Annunzio

La mattina del 9 agosto 1918 sette biplani SVA sorvolarono la capitale austriaca distribuendo migliaia di volantini propagandistici, guidati dal più famoso poeta italiano dell'epoca

La mattina del 9 agosto 1918, sei biplani monoposto SVA e un biposto dello stesso tipo, con a bordo otto aviatori italiani, entrarono nello spazio aereo di Vienna, la capitale dell’impero austro-ungarico. Ancora non si sapeva, ma stava per finire il più esteso e tragico conflitto della storia dell’umanità, che vedeva su due fronti opposti Italia e Impero asburgico. I viennesi che scesero per strada, preoccupati dal rumore degli aerei, videro con sorpresa cadere dal cielo migliaia di volantini. Sopra c’erano scritti due diversi messaggi propagandistici italiani, che invitavano gli austriaci a smettere di combattere per l’Impero e celebravano i colori del tricolore.

Uno dei due messaggi, quello originale e a cui ne era stato poi affiancato un secondo più immediato e d’effetto, l’aveva scritto il passeggero dell’unico biposto che quella mattina volò sopra Vienna. Era Gabriele D’Annunzio, il più celebre, ammirato, controverso e influente poeta italiano dell’epoca, nazionalista e in seguito sostenitore del fascismo, che riuscì in una delle sue celebri imprese di propaganda militare pochi mesi dopo la storica beffa di Buccari e poco prima dell’occupazione di Fiume.

Gabriele D’Annunzio e Natale Palli.

Nell’estate del 1918 l’Europa stava assistendo a un ennesimo cambiamento negli equilibri della Prima guerra mondiale. Se all’inizio dell’anno Regno Unito, Francia, Stati Uniti e Italia sembravano per la prima volta svantaggiate rispetto a Germania e Austria, per via delle sconfitte in Nord Italia e dell’uscita dalla guerra della Russia, a partire da giugno la situazione era cambiata. L’Italia aveva respinto per la seconda volta l’offensiva austriaca sul Piave, i tedeschi erano stati fermati sulla Marna, e l’Impero ottomano e la Bulgaria, gli alleati orientali di Austria e Germania, erano fortemente indeboliti e sul punto di arrendersi.

L’inerzia della guerra era quindi dalla parte dell’Intesa e, di conseguenza, dell’Italia. La popolazione austriaca era poi stanca – più di altre – della guerra, per le gravissime perdite subite, per l’accerchiamento percepito, e per il blocco navale degli Imperi centrali applicato dal Regno Unito. Tra le varie anime dell’Impero austro-ungarico, che univa diverse nazionalità, si sviluppò un diffuso malcontento verso il potere centrale, che provocò spinte indipendentiste. L’impressione in Italia, il paese che più degli altri era impegnato direttamente contro gli austriaci, era che mancasse poco all’inesorabile declino della potenza asburgica e alla conseguente resa.

D’Annunzio nell’estate del 1918 aveva 55 anni. Aveva già scritto tutte le sue opere più famose, che lo aveva reso estremamente ricco, popolare, potente e riconosciuto in Italia. Grazie al suo carisma, alla sua intraprendenza e al suo attivismo politico, D’Annunzio era diventato una figura intoccabile, circondata da un’aura di leggenda: il “Vate degli italiani”, per l’appunto. Fu uno dei volti principali della propaganda interventista, e durante la guerra passò da un corpo all’altro dell’esercito come ufficiale, osservando, scrivendo e organizzando una serie di operazioni militari strategicamente irrilevanti, ma spettacolari e in certi casi molto utili dal punto di vista dell’influenza morale. Nel 1915 aveva già lanciato dei volantini propagandistici su Trieste, mentre nel 1916 aveva perso un occhio dopo un incidente aereo. Nel febbraio del 1918, poi, partì da Ancona a bordo di un motoscafo MAS e fece un’incursione nella baia di Cattaro, nell’attuale Montenegro, fallendo nell’obiettivo di distruggere le navi austroungariche ma svelando la debolezza delle difese marittime dell’Impero.

Era dalla metà del 1917 che D’Annunzio progettava di volare su Vienna per distribuire volantini di propaganda. Era però un piano che presentava dei notevoli problemi pratici: un volo fino alla capitale austriaca richiedeva diverse ore tra andata e ritorno, e prevedeva di sorvolare le Alpi, due grossi ostacoli per gli aeroplani dell’epoca. C’era poi il fatto che D’Annunzio era piuttosto malridotto, e difficilmente avrebbe potuto comandare un aereo, con il rischio che finisse inoltre catturato dai nemici. Il Comando supremo, l’organo di comando delle forze armate, ordinò prima alcuni collaudi, che vennero svolti su degli aerei opportunamente modificati. D’Annunzio riuscì a conquistare i favori del generale Pietro Badoglio, che convinse il capo di Stato Maggiore dell’esercito che se fosse riuscito il volo su Vienna avrebbe portato concreti vantaggi dal punto di vista propagandistico nei confronti delle potenze straniere, come anticipo dell’attacco militare che da tempo si aspettava da parte degli italiani.

Il 2 agosto 1918 ci fu un primo tentativo, che però fu interrotto per le cattive condizioni meteo, che costrinsero a un atterraggio di emergenza diversi aerei. Dopo un altro tentativo fallito l’8 agosto, alle 5.30 del 9 agosto undici aerei partirono infine dall’aeroporto militare San Pelagio, vicino a Padova. Il biposto di D’Annunzio era pilotato da Natale Palli.

Subito dopo la partenza, tre aerei dovettero atterrare. Dopo che la formazione si diresse verso est e sorvolò il fronte sul Piave, il Veneto orientale, l’Isonzo, le Alpi Giulie e la Carinzia, e un quarto ebbe un’avaria più avanti e atterrò in Austria. Sette biplani invece proseguirono il volo verso Vienna, arrivando sopra la città intorno alle 9.20. Gli aerei scesero sotto gli 800 metri, e distribuirono centinaia di migliaia di volantini per le strade. 50mila avevano scritto un componimento di D’Annunzio piuttosto prolisso e involuto, e impossibile da tradurre in tedesco.

In questo mattino d’agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente incomincia l’anno della nostra piena potenza, l’ala tricolore vi apparisce all’improvviso come indizio del destino che si volge. Il destino si volge. Si volge verso di noi con una certezza di ferro. È passata per sempre l’ora di quella Germania che vi trascina, vi umilia e vi infetta. La vostra ora è passata. Come la nostra fede fu la più forte, ecco che la nostra volontà predomina e predominerà sino alla fine. I combattenti vittoriosi del Piave, i combattenti vittoriosi della Marna lo sentono, lo sanno, con una ebbrezza che moltiplica l’impeto. Ma, se l’impeto non bastasse, basterebbe il numero; e questo è detto per coloro che usano combattere dieci contro uno. L’Atlantico è una via che già si chiude; ed è una via eroica, come dimostrano i nuovissimi inseguitori che hanno colorato l’Ourcq di sangue tedesco.
Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremmo osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo.
Il rombo della giovane ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo mattutino. Tuttavia la lieta audacia sospende fra Santo Stefano e il Graben una sentenza non revocabile, o Viennesi.
Viva l’Italia!

Su altri 350mila volantini perciò fu stampato un testo più semplice e immediato di Ugo Ojetti, che fu tradotto in tedesco.

VIENNESI!
Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d’odio e d’illusioni.
VIENNESI!
Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l’uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s’è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell’Ucraina: si muore aspettandola.
POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati!
VIVA LA LIBERTÀ! VIVA L’ITALIA! VIVA L’INTESA!

I sette aerei fecero quindi ritorno in Italia seguendo una rotta diversa, per sfuggire alla contraerea, e alle 12.40 atterrarono di nuovo a San Pelagio, dopo un volo di sette ore e venti minuti e oltre 1000 chilometri percorsi, di cui oltre ottocento sopra il territorio nemico. Il volo su Vienna ebbe delle conseguenze morali, perché venne presentato in Italia come uno straordinario successo di perizia tecnica e di coraggio, con un’insistenza e una retorica che rafforzò il morale dell’esercito e della popolazione in un momento effettivamente decisivo della Prima guerra mondiale.

È invece più difficile valutare l’impatto avuto sugli abitanti di Vienna e sugli austriaci, anche se è possibile che almeno in parte diventarono ancora più sfiduciati nei confronti dell’autorità centrale e più insofferenti per il prolungarsi del conflitto. Il quotidiano Frankfurter Zeitung criticò l’impreparazione delle difese austriache, mentre il socialista Arbeiter Zeitung celebrò l’impresa e in particolare D’Annunzio, chiedendosi se ci fosse qualche poeta disposto a fare imprese simili in Austria.