Come Condé Nast sta provando a uscire dalla crisi

Il gruppo editoriale che pubblica Vogue e il New Yorker venderà altre riviste e punterà sui video, sull'online e su Anna Wintour

Anna Wintour
(AP Photo/Zacharie Scheurer)
Anna Wintour (AP Photo/Zacharie Scheurer)

Condé Nast è una delle più grandi case editrici al mondo e pubblica storiche riviste come Vogue, Vanity Fair e il New Yorker. È ancora un punto di riferimento ma non è rimasta immune dalla crisi dei giornali: soltanto nel 2017 ha perso più di 120 milioni di dollari. Tra le misure che ha adottato per reagire alla crisi c’è stato il licenziamento, l’anno scorso, di più di 80 persone, la chiusura della rivista Details e delle versioni cartacee di Self e Teen Vogue; la fusione di dipartimenti di fotografia e ricerca di testate diverse. Inoltre nel tempo gli stipendi sono stati ridotti, così come gli invidiati privilegi economici a cui si erano abituati i direttori e i giornalisti più prestigiosi: autisti, prestiti senza interessi per comprare casa a Manhattan, seconde case, budget per dormire e cenare in hotel e ristoranti di lusso. Le riviste si potevano permettere i fotografi più cari che scattavano i loro servizi in località lussuose o lontane, così come i giornalisti potevano lavorare alle loro storie per il periodo necessario, inseguendole anche in luoghi sperduti.

L’incertezza in Condé Nast è aumentata anche a causa delle voci sulle imminenti dimissioni di Anna Wintour, che ha 68 anni ed è, dal 1988, la leggendaria direttrice di Vogue America e la direttrice artistica di Condé Nast dal 2013. Circolano dallo scorso maggio e si sono rafforzate qualche giorno fa, dopo le dimissioni di due storiche giornaliste della rivista: la fashion director Tonne Goodman e Phyllis Posnick, l’executive fashion editor; inoltre dal 2016 Grace Coddington, la direttrice artistica e braccio destro di Wintour, è uscita dalla redazione e collabora come freelance. Secondo le indiscrezioni, Wintour se ne sarebbe andata dopo l’uscita del numero di settembre, il più importante dell’anno, quello con le maggiori inserzioni pubblicitarie. Per mettervi fine è intervenuto anche Robert A. Sauerberg Jr., direttore esecutivo di Condé Nast dal 2016: martedì ha scritto su Twitter che Wintour «ha accettato di lavorare con me a tempo indeterminato nel suo ruolo di direttrice di Vogue e direttrice artistica di Condé Nast».

Storie su Anna Wintour, direttrice di Vogue

Il New York Times ha parlato con un po’ di dirigenti ed ex dirigenti dell’azienda che, a condizione di restare anonimi, hanno raccontato che le misure prese per arginare la crisi non sono bastate, e che ci sono altri tagli in vista e nuove strategie. Verranno probabilmente comunicate ai vertici delle redazioni l’8 agosto, durante un incontro convocato da Sauerberg, che annuncerà anche i risultati di una consulenza manageriale richiesta al Boston Consulting Group. Condé Nast ha già fatto sapere che venderà tre dei suoi 14 giornali (Brides, Golf Digest e W) e che a breve lascerà sei dei 23 piani del 1 World Trade Center, l’edificio a Lower Manhattan che è la sua sede dal 2015. L’azienda infine punterà soprattutto sulle versioni online delle riviste, che sono in crescita.

Non è facile capire quanto della crisi sia dovuto al quadro generale e quanto a scelte sbagliate o non abbastanza al passo coi tempi. Le perdite del 2017 sono dovute soprattutto alla contrazione della pubblicità cartacea, che non frutta più quanto un tempo e che non è stata compensata dagli investimenti degli inserzionisti nel digitale. A inizio estate Sauerberg aveva scritto in una mail interna che «la sezione che comprende il video e l’online è cresciuta così tanto che per la prima volta nella storia dell’azienda i ricavi hanno superato quelli delle riviste cartacee». Condé Nast sta puntando in questa direzione, trasformandosi da editore di riviste patinate con inserti pubblicitari costosi a produttore di video che si reggono sulla pubblicità: ogni mese ne produce più di 400, trasmessi su YouTube, Facebook e Snapchat, oltre che sui suoi siti.

Lo spostamento verso il mondo online si è visto anche nella scelta di affidare la direzione di Glamour a Samantha Barry, che non aveva esperienza nella carta ma aveva gestito i social network della CNN. Per la sua prima copertina Barry ha scelto la comica Melissa McCarthy accompagnata dall’hasthag #themoneyissue: se n’è parlato molto e in Condé Nast pare abbia lasciato freddi i giornalisti più anziani ma che sia piaciuta a quelli più giovani. Ovviamente ci sono stati anche tentativi falliti, come Style.com, un negozio online di moda di lusso, chiuso dopo nove mesi di ricerche e un investimento da 100 milioni di dollari, circa 86 milioni di euro. Per muoversi con maggior sicurezza, Condé Nast ha comprato CitizenNet, una piattaforma online che raccoglie e analizza dati per realizzare pubblicità targettizzate. Nel 2015 AdvancePublications, a cui Condé Nast è affiliata, ha comprato 1010data Inc., una start-up che colleziona e analizza dati per aumentare i ricavi dalla pubblicità e gli abbonamenti.

Condé Nast, fondata nel 1909 dall’imprenditore Condé Montrose Nast, è di proprietà della famiglia Newhouse dal 1959, quando l’editore Samuel I. Newhouse la comprò per 5 milioni di dollari. Nel 1975 suo figlio primogenito, Samuel I. Newhouse Jr. detto Si, prese la guida dell’azienda, e in 40 anni – è morto nell’ottobre 2017 – ha ridato splendore a Vanity Fair, comprato il New Yorker e nominato direttori importanti come Anna Wintour per Vogue, Graydon Carteer e Tina Brown per Vanity Fair. Condé Nast fa parte di Advance Publications, il gruppo editoriale fondato da Samuel I. Newhouse; ora è di proprietà del fratello di Si, Donald Newhouse (89 anni) e del figlio di questi, Steven Newhouse (61 anni); Jonathan Newhouse, 65 anni e cugino di Si, è il presidente di Condé Nast International, che pubblica tra gli altri la versione italiana di Vogue. Le fortune della famiglia non hanno risentito della crisi anche grazie alle vendite, nel 2016, della società di telecomunicazioni Charter Communications, che ha fruttato 10,4 miliardi di dollari, quasi 9 miliardi di euro.

La storia di Condé Montrose Nast