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  • Sabato 28 luglio 2018

Il progetto grandioso di Aliko Dangote

Si chiama Aliko Dangote, è nigeriano ed è l'africano più ricco del mondo

Aliko Dangote, presidente e CEO del Dangoet Group oltre che più ricco uomo dell'Africa, il 5 agosto 2014 (JEWEL SAMAD/AFP/Getty Images)
Aliko Dangote, presidente e CEO del Dangoet Group oltre che più ricco uomo dell'Africa, il 5 agosto 2014 (JEWEL SAMAD/AFP/Getty Images)

L’uomo più ricco dell’Africa sta lavorando a un progetto da più di 10 miliardi di euro per costruire non solo un’enorme raffineria di petrolio, ma anche tutte le infrastrutture necessarie a costruirla, che oggi non esistono: un porto, una strada, uno stabilimento per la produzione di gas industriali e una centrale elettrica. Quest’uomo è nigeriano, si chiama Aliko Dangote e ha 61 anni; è il centesimo uomo più ricco del mondo e lo è diventato producendo cemento. La raffineria che sta costruendo dovrebbe essere pronta nel 2019 e sarà la più grande di tutta l’Africa. Dangote ne ha parlato qualche settimana fa con il giornalista del Financial Times David Pilling, che lo ha definito la versione africana di John Davison Rockefeller, Andrew Carnegie e Andrew Mellon – cioè dei più grandi imprenditori americani della seconda metà dell’Ottocento – messi insieme.

Per capire la portata del progetto di raffineria di Dangote bisogna sapere che nonostante sia il settimo paese al mondo per esportazioni di petrolio, la Nigeria ha solo quattro raffinerie: da anni esporta quasi tutto il greggio che produce, per poi reimportare benzina e altri prodotti della raffinazione del petrolio, dalla plastica ai fertilizzanti. Per complesse ragioni storiche e politiche, prima che economiche, in Nigeria infatti un gran numero di intermediari lucra sulle importazioni, impedendo lo sviluppo industriale nazionale. In particolare le importazioni di carburante sono sostenute da sussidi statali: per decenni lo stato ha fatto sì che la benzina fosse venduta ai consumatori a prezzi inferiori rispetto a quelli internazionali, rimborsando la differenza agli importatori. In questo modo i governi hanno cercato consenso politico, anche perché in Nigeria gran parte della popolazione usa il gasolio per alimentare generatori elettrici e rimediare alle carenze della rete elettrica nazionale. Con i sussidi però i governi hanno speso moltissimi fondi pubblici e bloccato gli investimenti nell’industria di raffinazione.

Nel 2012 l’allora presidente Goodluck Jonathan aveva cercato di eliminare i sussidi per le importazioni di petrolio, come peraltro richiesto sia dal Fondo Monetario Internazionale che dalla Banca Mondiale, ma non ci era riuscito a causa di grossissime proteste. Nel 2015 l’attuale presidente Muhammadu Buhari ha provato nuovamente a ridurre i sussidi, approfittando del fatto che il prezzo del petrolio nel mondo fosse diminuito. Dopodiché il governo di Buhari ha avviato una politica di rilancio del settore petrolifero, decidendo di privatizzare la gestione delle quattro raffinerie nigeriane esistenti e affidando ad Aliko Dangote il progetto per costruirne una quinta. Dangote ha già speso l’equivalente di più di 5 miliardi di euro nel progetto.

Aliko Dangote, a destra, insieme al presidente nigeriano Mohammadu Buhari e al fondatore di Microsoft Bill Gates, ad Abuja, in Nigeria, il 20 gennaio 2016, dopo aver firmato un impegno per lo sradicamento della poliomielite (PHILIP OJISUA/AFP/Getty Images)

La raffineria che Dangote sta costruendo si trova a Lekki, a est di Lagos, la capitale commerciale della Nigeria. Lekki è una città ancora in costruzione: il progetto per la sua realizzazione è stato approvato nel 2006. Tra le altre cose prevedeva l’istituzione di una «free trade zone», cioè un’area in cui le imprese possono godere di condizioni agevolate per investire in produzione e altre attività: la raffineria di Dangote ne farà parte. Occuperà una superficie di 2.500 ettari (cioè 25 chilometri quadrati) di terreno paludoso.

Le caratteristiche dell’area su cui sorgerà la raffineria sono una delle ragioni per cui il progetto è tanto grandioso: per costruirla saranno necessari 120mila pali, lunghi 25 metri in media, che ne stabilizzino la struttura al suolo. Dato che nessun porto nigeriano è abbastanza grande per ricevere gli impianti necessari alla costruzione di questi pali e la torre di frazionamento per distillare il greggio della raffineria, che sarà alta 30 piani, e nessuna strada nigeriana è abbastanza robusta per sopportarne il peso, Dangote ha dovuto costruire sia un porto che una strada. Solo per realizzare il molo del porto ha dovuto far estrarre 65 milioni di metri cubi di sabbia dal fondale oceanico.

Un’altra ragione per cui il progetto della raffineria non prevede solo la costruzione della raffineria è che in Nigeria non vengono prodotti abbastanza gas industriali necessari al funzionamento di una raffineria tanto grande. Per questa ragione Dangote sta costruendo uno stabilimento per produrli. Per alimentare questo stabilimento servirebbe una centrale elettrica apposita, e Dangote sta costruendo anche quella: ha bisogno di una quantità di energia pari a un decimo di quella che la Nigeria consuma attualmente. Ha anche fatto una joint venture con un’azienda cinese per produrre dei camion, perché neanche di quelli la Nigeria ne aveva abbastanza.

Se e quando la raffineria di Dangote sarà operativa, la Nigeria diventerà il maggiore paese esportatore di petrolio e derivati dell’Africa. Ogni giorno saranno lavorati 650mila barili di petrolio, un terzo di tutto quello che la Nigeria produce e quasi l’1 per cento della produzione mondiale: per questo sarà la più grande raffineria di petrolio del suo genere al mondo. Produrrà anche 3 milioni di tonnellate di fertilizzanti ogni anno, più di tutti quelli attualmente usati dagli agricoltori nigeriani.

Aliko Dangote insieme a sua figlia Halima al TIME 100 Gala del 29 aprile 2014, a New York (Ben Gabbe/Getty Images for TIME)

Prima di avviare il progetto della raffineria di Lekki Dangote non si era mai occupato di petrolio e derivati del petrolio, principalmente perché, ha raccontato a David Pilling, il settore ha una pessima reputazione (abusi, tangenti, eccetera). Al centro della sua attività industriale c’è il cemento: lo produce in 14 paesi diversi e ha migliaia di dipendenti. Cominciò nel 1999, quando l’allora presidente Olusegun Obasanjo, che era stato eletto da poco e aveva fatto campagna elettorale anche con il suo sostegno di uomo d’affari, lo chiamò per chiedergli perché la Nigeria importasse e non producesse cemento: Dangote gli disse che importare era più conveniente e lo sarebbe stato finché non fossero state ristrette le importazioni. In questo modo ottenne da Obasanjo delle condizioni migliori per investire nel settore.

Dangote è originario di Kano, la più grande città della Nigeria settentrionale, ed è musulmano. Prima di occuparsi di cemento studiò economia all’Università al Azhar del Cairo e fece l’operatore finanziario a Lagos. Pur conoscendo molti politici non lavorò mai nel campo delle importazioni come gli altri uomini d’affari simili a lui. Con il progetto della raffineria è probabile che si stia inimicando molte di queste persone. Pilling gli ha fatto una domanda in proposito e Dangote ha risposto: «Ce la metteranno tutta per difendere la loro posizione. La nostra società è molto molto dura. Solo i più duri sopravvivono qui».

Secondo molti nigeriani, scrive Pilling, Dangote è «il più duro di tutti». C’è chi lo apprezza per le sue imprese e per i suoi investimenti in Nigeria e chi invece lo vede come un monopolista senza scrupoli che ha approfittato del sostegno del governo e fa i prezzi che vuole per il cemento; alcuni lo accusano di non aver pagato le tasse che avrebbe dovuto usando gli incentivi disponibili per chi fa impresa in settori ancora non sviluppati. È naturale immaginare che prima o poi si occuperà di politica, anche se lui nega di avere ambizioni in questo campo. Al momento il progetto della raffineria lo tiene molto impegnato, per questo rinuncerà al suo posto in alcuni dei consigli di amministrazione di cui fa parte, compreso quello della divisione del Dangote Group con sede a Londra. Un’ambizione a cui non ha rinunciato però è quella di comprare l’Arsenal, la squadra di calcio inglese di cui è tifoso: finita la raffineria, dice che sarà uno dei suoi obiettivi.