Le immagini di Giulio Regeni registrate prima della sua scomparsa saranno consegnate oggi a un pubblico ministero italiano

(ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)
(ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)

Il pubblico ministero Sergio Colaiocco, titolare delle indagini sulla morte di Giulio Regeni, è al Cairo e riceverà oggi dalla Procura generale egiziana quello che è stato recuperato delle immagini registrate la sera del 25 gennaio 2016 dalle telecamere di sorveglianza della fermata della metropolitana del quartiere Dokki di Giza, dove Regeni fu visto prima di scomparire. Il server è rimasto per due anni in un archivio della Procura generale del Cairo.

Scrive Repubblica che l’analisi sarà complicata:

«Il materiale recuperato conta circa 10mila “frame”, fermi immagine, e centinaia di sequenze video mai più lunghe di una decina di secondi (complessivamente un gigabyte e mezzo di dati informatici) che, grazie a un sofisticato software in dotazione alla società russa incaricata dal governo egiziano, sono state recuperate e quindi ricomposte dalla memoria “indicizzata” del server che ciclicamente immagazzina i video di sorveglianza dell’intera rete della metropolitana. Da una memoria cioè che non aveva conservato quelle immagini nella modalità con cui erano state registrate la sera del 25 gennaio 2016, ma che, per ragioni di immagazzinamento fisico dei dati, le aveva decomposte in singoli byte».

Giulio Regeni era un dottorando dell’Università di Cambridge che si trovava al Cairo per fare delle ricerche sui sindacati indipendenti dei venditori di strada, un tema politico molto delicato in Egitto. Regeni scomparve la sera del 25 gennaio del 2016 e prima che venisse ritrovato il suo corpo passarono nove giorni. I primi esami svolti in Egitto da un esperto forense mostrarono segni di tortura e fecero parlare di una “morte lenta”. Ma il vice-capo delle indagini a Giza ritrattò tutto e disse che probabilmente Regeni era morto in un incidente stradale. Questa ricostruzione fu smontata anche grazie all’autopsia eseguita in Italia. Fin dall’inizio delle indagini, gli italiani hanno dovuto scontrarsi con la reticenza degli egiziani nel collaborare: l’autopsia non fu un caso isolato.