Via del Forte Trionfale, 89 - Il 16 marzo 1978 Aldo Moro esce di casa alle 8 e 55. La sua scorta è formata da due automobili: una Fiat 131 con a bordo l'onorevole, il suo caposcorta (Maresciallo Oreste Leonardi) e l'autista (l'appuntato dei carabinieri Domenico Ricci) e una Alfetta, con all'interno i tre poliziotti Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Sono tranquilli e non in condizione di particolare allerta.
Via Mario Fani – Pochi minuti dopo le 9.00, seguendo il percorso consueto, le due auto si immettono in via Mario Fani provenendo da via Trionfale. Li aspettano dieci membri delle Brigate Rosse. La prima a entrare in azione è Rita Algranati, che attraverso un segnale concordato (ha in mano un mazzo di fiori) comunica agli altri membri del commando che le due auto hanno imboccato la via. A questo punto una Fiat 128 con targa diplomatica (rubata) guidata da Mario Moretti e parcheggiata a lato della carreggiata, si immette nella corsia proprio davanti all'automobile di Moro, in modo da condizionarne l'andatura, imporle un arresto nel punto concordato e impedirne la fuga al momento dell'assalto. Quando il convoglio giunge allo STOP tra via Fani e via Stresa, la Fiat 128 arresta la sua corsa costringendo le due macchine della scorta a fermarsi proprio in prossimità di alcune siepi, dietro le quali almeno quattro uomini vestiti da piloti d'aereo attendono armati di mitra (poco più avanti si trova la fermata di un autobus privato che conduce alcuni piloti a Fiumicino, questo travestimento ha permesso ai brigatisti di passare inosservati pur dovendo aspettare fermi per diverso tempo).
Contemporaneamente si attivano due blocchi del traffico, uno superiore, attivato al passaggio dell'Alfetta di scorta e composto da due brigatisti armati (Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri) e uno inferiore (Barbara Balzerani), in mezzo all'incrocio, entrambi per tenere lontani passanti e automobili estranee all'azione.
In pochi secondi i quattro brigatisti/avieri, identificati in Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Franco Bonisoli e Valerio Morucci, sparano circa un centinaio di colpi in direzione dei cinque uomini della scorta. Quattro agenti non fanno in tempo neanche ad abozzare una reazione, tanto è il fattore sorpresa; soltanto uno (anche a causa del malfunzionamento di alcuni dei mitra in dotazione alle BR) ha modo di uscire dall'auto (dal lato destro) ma viene colpito a morte prima di poter scappare.
A sparatoria finita Aldo Moro, illeso e sotto shock, viene fatto scendere dall'automobile e fatto salire sul sedile posteriore di una Fiat 132, condotta da Bruno Seghetti in retromarcia da via Stresa fino all'incrocio. Questa e altre due macchine (altre due Fiat 128) con a bordo tutte e nove le persone coinvolte si dileguano in salita per via Stresa. Non è esclusa la presenza di una moto Honda sulla scena dell'assalto, ma non esistono prove di una sua partecipazione diretta all'azione.
Via Casale de Bustis è chiusa al traffico e termina con una catena (oggi con una sbarra di metallo), ma ciascuna delle tre automobili del convoglio è dotata di tronchesi. Un passeggero della Fiat 132, che a quel punto fa da battistrada, scende in strada per tagliare la catena; passate le vetture sarà compito di Barbara Balzarani rimetterla al suo posto per non attirare l'attenzione. La colonna di macchine è ora nel quartiere residenziale della Balduina.
Via Massimi / via Bitossi – la Balduina è la zona preposta al cambio delle autovetture. Le tre Fiat sono state viste fuggire da via Fani e sono perciò identificabili. Arrivati in via Massimi, Valerio Morucci scende dalla Fiat 128 blu e si mette al volante di un furgone bianco Fiat 850, precedentemente parcheggiato in via Bitossi, mentre Bruno Seghetti lascia il volante della Fiat 132 (dove c'è Aldo Moro, nascosto sotto un plaid) a Mario Moretti e si mette alla guida di una Dyane azzurra lasciata proprio in via Massimi.
Piazza Madonna del Cenacolo – Il corteo di ormai cinque autovetture si arresta su un lato della piazza. Dal sedile posteriore della Fiat 132 Moro viene fatto salire sul furgone e fatto entrare in una capiente cassa di legno. Da qui i membri delle Brigate Rosse si dividono: il furgone con a bordo Moretti e Gallinari e la Dyane con Seghetti e Morucci si dirigono in discesa per via della Balduina, mentre gli altri componenti del commando, dopo aver abbandonato le tre Fiat poco lontano, si disperdono (i membri della colonna romana verso le loro basi, quelli venuti da fuori verso la stazione Termini).
Da piazza di Villa Carpegna si diramano moltissime vie in tutte le direzioni; la scelta dei brigatisti (ponderata sempre con l'obiettivo di non incontrare semafori o traffico) è quella di svoltare in via di Torre Rossa e poi in via Aurelia Antica, entrambe circondate da ville e conventi.
Il parcheggio coperto della Standa di viale Newton
A questo punto le strade si dividono ancora: Valerio Morucci e Bruno Seghetti hanno il compito di portare lontano da questa zona di Roma i due mezzi utilizzati e successivamente fare la telefonata di rivendicazione. Moretti e Gallinari, insieme a Moro, si dirigono verso il luogo destinato alla prigionia e il cosiddetto «processo».
Aldo Moro trascorrerà gli ultimi cinquantacinque giorni della sua vita in un appartamento al piano rialzato di una palazzina in via Camillo Montalcini numero 8.
Lo stesso 16 marzo, poco dopo le 10 di mattina, già nelle prime ricognizioni di polizia viene ritrovata in via Licinio Calvo, a poche centinaia di metri da Piazza Madonna del Cenacolo, la Fiat 132 sulla quale Moro era stato sequestrato a via Fani. Nella stessa via, in momenti diversi, saranno ritrovate anche le due Fiat 128, una nella notte tra il 16 e il 17 marzo e una la mattina del 19 marzo. Secondo la versione brigatista le tre auto sono state lasciate tutte nello stesso momento, e sarebbe perciò da attribuire a una ricerca superficiale la loro mancata individuazione. Il ritrovamento a singhiozzo ha fatto nascere alcuni sospetti, in particolare sull'ipotetica presenza in zona di una base con posto auto, da dove sarebbero state fatte uscire a intervalli regolari le automobili.
Largo di Torre Argentina - 18 marzo
Il 18 marzo viene diffuso il primo comunicato delle Brigate Rosse sul sequestro. Viene lasciato dietro una cabina per foto tessere, in un sottopassaggio (oggi non più esistente) e recuperato da un giornalista de Il Messaggero avvisato da una telefonata anonima. Contiene una lunga rivendicazione e una polaroid che ritrae Aldo Moro vivo.
Via Provvidenza, Zappolino (BO) - 2 aprile
In un casale di campagna in località Zappolino (a circa 30 km da Bologna) un gruppo di giovani professori universitari, tra cui Romano Prodi, Mario Baldassarri e Alberto Clò (proprietario di casa), si ritrova una domenica pomeriggio in compagnia delle proprie famiglie. Secondo la versione dei presenti si decide, per gioco, di inscenare una seduta medianica e chiedere agli spiriti di alcuni democristiani del passato (Sturzo e La Pira) dove sia rinchiuso l'onorevole Moro. La risposta, scaturita dal movimento di un piattino, è composta dalle parole "Viterbo", "Bolsena" e "Gradoli" (quest'ultima ripetuta svariate volte), parole che sembrano indicare proprio il paese di Gradoli, affacciato sul lago di Bolsena, nel viterbese. Colpito dall'episodio, Romano Prodi, vicino ad ambienti democristiani, informa i collaboratori del ministro Cossiga: dopo pochi giorni la Polizia effettua una perquisizione, ma senza risultato.
Via Gradoli – 18 aprile
Contemporaneamente al ritrovamento del falso comunicato, a causa di una perdita d'acqua e del conseguente intervento dei vigili del fuoco, viene scoperta la più importante base romana delle Brigate Rosse. In via Gradoli, una traversa della via Cassia, vivono infatti Barbara Balzerani e soprattutto Mario Moretti, colui che quasi ogni mattina si reca in via Montalcini per interrogare Moro; al momento della scoperta i due non sono in casa. La palazzina era già stata superficialmente perquisita il 18 marzo, ma gli agenti di polizia non forzarono le porte d'ingresso degli appartamenti in cui nessuno dava segni di risposta. Il magistrato che indaga sul sequestro viene avvertito con molto ritardo ma nel frattempo, dopo l'arrivo dei pompieri, la notizia si diffonde rapidamente e insieme alle prime volanti della polizia arrivano curiosi, telecamere e giornalisti. Assume così tutt'altra prospettiva la seduta medianica di pochi giorni prima, da cui era uscito proprio il termine "Gradoli". Se l'infiltrazione d'acqua sia stata casuale o in qualche modo indotta per favorire la scoperta, è difficile saperlo, quello che è invece piuttosto chiaro è che qualche informazione su questa base fosse filtrata fuori dalle Brigate Rosse, seppur in maniera un po' rocambolesca. La fonte dell'informazione arrivata a Zappolino non è stata mai appurata.
Via dei Salumi
Si stabilisce un contatto tra alcuni rappresentanti del Partito Socialista (in particolare Claudio Signorile) e alcuni esponenti di Potere Operaio (Lanfranco Pace e Franco Piperno), considerati in grado di intercedere su alcuni membri delle Brigate Rosse. Pace e Piperno si incontrano più volte con Valerio Morucci e Adriana Faranda, figure di spicco della colonna romana delle BR (sono i responsabili della trasmissione dei comunicati e delle lettere di Moro), e tra i pochi contrari all'uccisione dell'ostaggio, che fanno da tramite con Mario Moretti e il comitato esecutivo brigatista. Uno di questi incontri ha probabilmente luogo in via dei Salumi, a Trastevere, in un ristorante. Ad ogni modo non si va oltre i primi contatti esplorativi sia per ragioni pratiche che per questioni politiche (le BR si rivolgono alla Democrazia Cristiana e al governo, non al Partito Socialista), e una trattativa vera e propria non avrà mai luogo.
Stazione Termini - 30 aprile
Contrariamente a quanto spesso si sente dire, Moretti sa benissimo che una conclusione tragica della vicenda non sarebbe un vantaggio per le Brigate Rosse. Infatti, nonostante il comitato esecutivo e la maggioranza dei militanti delle BR siano per l'uccisione di Moro, si prende la responsabilità di temporeggiare ancora e, pur consapevole di venire intercettato dalla polizia, il 30 aprile telefona a casa Moro. Da una cabina telefonica davanti alla stazione Termini chiede alla moglie dell'onorevole (scambiandola per la figlia) di rivolgersi a Benigno Zaccagnini (segretario della DC) facendo capire che le Brigate Rosse potrebbero accontentarsi di una dichiarazione di apertura politica da parte del partito. Anche questa mossa, però, non sortisce gli effetti sperati.
Piazza Barberini - 4 maggio
Il comitato esecutivo brigatista decide che lo Stato sta solo prendendo tempo in attesa di individuare la prigione e decide per l'uccisione di Aldo Moro. A piazza Barberini Mario Moretti lo comunica ai dirigenti della colonna romana Barbara Balzerani, Bruno Seghetti, Valerio Morucci e Adriana Faranda. La contrarietà degli ultimi due è forte ma isolata, la maggioranza dei militanti delle BR si è espressa per eseguire la sentenza di condanna a morte. Morucci e Faranda sono contrari sia per ragioni politiche (considerano il rilascio del prigioniero, o il mantenimento dell'attesa, più utile alla lotta armata) sia per ragioni umanitarie. Ma Moretti e gli altri, pur non considerando l'uccisione di Moro come una vittoria, e pur consapevoli che la risposta dello Stato sarà molto più dura che in passato, ritengono che temporeggiare non abbia più senso. Viene fatto ritrovare il comunicato numero 9, il più duro, che accusa la Democrazia Cristiana di essere responsabile dell'epilogo della vicenda, avendo rifiutato lo scambio di prigionieri. «Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato».
Via Michelangelo Caetani - Roma
La mattina del 9 Maggio Aldo Moro viene fatto vestire con l'abito che indossava il giorno del sequestro, viene chiuso in una cesta di vimini e portato nel garage dell'appartamento. Lì è stata portata una Renault 4 rossa rubata mesi prima. Moro viene fatto sedere nel portabagagli e ucciso con ogni probabilità da Mario Moretti con l'aiuto di Germano Maccari, che lo accompagna e gli passa una mitraglietta quando una prima pistola si inceppa. I due poi coprono il corpo di Aldo Moro con una coperta e si dirigono verso il centro di Roma, dove ne è previsto il rilascio. Dopo diversi chilometri di percorso, passando per via della Magliana, piazzale della Radio e Ponte Testaccio, la Renault rossa si incontra in piazza di Monte Savello con un'altra automobile con funzioni di copertura. Le due macchine si dirigono verso via Caetani, dove la Renault viene parcheggiata e abbandonata. Qualche ora dopo Valerio Morucci telefona al professor Franco Tritto, amico e collega di Moro, per comunicargli l'ubicazione del corpo.