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  • Domenica 15 aprile 2018

Cosa ci fa un milione di dromedari in Australia?

Sono i discendenti di quelli portati dai coloni inglesi 150 anni fa, e ci si trovano bene: forse troppo, visto che il loro numero raddoppia ogni circa 10 anni

Dromedari nei pressi di Sunshine Coast, Queensland, nell'est dell'Australia (Lisa Maree Williams/Getty Images)
Dromedari nei pressi di Sunshine Coast, Queensland, nell'est dell'Australia (Lisa Maree Williams/Getty Images)

Una delle cose per cui è famosa l’Australia nel mondo è la sua particolare fauna selvatica: un po’ perché nel paese vivono animali che non si trovano altrove in natura e che sono diventati dei simboli nazionali, come koala e canguri; un po’ perché è molto diffusa la convinzione (almeno in parte esagerata) che l’Australia sia un posto molto pericoloso per via dei suoi animali velenosi o aggressivi, potenzialmente letali: ragni, scorpioni, serpenti, squali, meduse e coccodrilli.

Tra animali iconici e pericolosi, a poche persone verrebbe in mente di includere nella fauna tipica locale i dromedari selvatici: e invece, pur non essendo originari del paese, in Australia ce n’è più di un milione di esemplari, secondo il sito FeralScan, finanziato dal governo australiano. Se non ne avevate mai sentito parlare è perché avvistarli non è così comune: vivono sparsi su una superficie di 3,3 milioni di chilometri quadrati, e sono molto concentrati solo nel centrale deserto di Simpson e nel Gran Deserto Sabbioso, a nord ovest, dove ci sono fino a due dromedari per chilometro quadrato.

Una fattoria di dromedari nel Queensland (Lisa Maree Williams/Getty Images)

Per capire come i dromedari siano finiti in Australia e come mai siano così tanti, il giornalista di viaggio Ben Lerwill – che ha ricostruito per BBC tutta la storia – ha suggerito di considerare quanto fosse complicata l’esplorazione dell’Australia per i primi coloni inglesi che vi si insediarono nella seconda metà del Settecento. L’Australia non è un paese grande: è un paese enorme. Si estende per 7,7 milioni di chilometri quadrati (l’India ha una superficie di 3,3 milioni di chilometri quadrati, meno della metà), buona parte dei quali desertici. Ancora nel Diciannovesimo secolo rimanevano ignote vaste porzioni di territorio: nel 1827 un ex ufficiale della Compagnia delle Indie Orientali inserì nel suo libro di consigli sulla sopravvivenza in Australia una mappa che indicava la presenza di una sorta di grande lago o mare interno nella parte centrale del paese, ovviamente inesistente.

Gli esploratori Robert Burke, William Wills e John King a Coopers Creek in un’illustrazione del 1860 della loro traversata dell’Australia: solo King tornò vivo (Hulton Archive/Getty Images)

Quando vennero scoperte miniere d’oro e nacquero i primi insediamenti coloniali non sulla costa, diventò una necessità trovare il modo migliore per coprire grandi distanze nel deserto trasportando grossi carichi. Qualcuno suggerì di importare dromedari come animali da soma già all’inizio dell’Ottocento; poi, dal 1870 e fino al 1920, lo si fece davvero, sistematicamente: vennero portati in Australia dalla penisola arabica, dall’India e dall’Afghanistan 20.000 tra cammelli e (soprattutto) dromedari e 2.000 cammellieri. Gli animali si adattarono molto bene al clima arido dei deserti australiani, ed ebbero un ruolo importante nello sviluppo economico del paese, trasportando prodotti commerciali come lana, tè, tabacco e acqua e facilitando la costruzione di infrastrutture come la rete telegrafica e le ferrovie.

Il declino dell'”economia dei dromedari” iniziò negli anni Trenta, quando i trasporti motorizzati resero molto più semplice il trasporto delle merci. Molti dromedari e cammelli furono lasciati liberi in natura, dove si moltiplicarono velocemente: secondo diversi studi condotti dal governo e da università australiane, ogni 8-10 anni la loro popolazione raddoppia.

FeralScan, che registra e mappa le segnalazioni di dromedari selvatici, dice che questi animali sono una «minaccia economica, ambientale e sociale» che causa danni stimati in 10 milioni di dollari all’anno. Oltre a danneggiare fattorie e infrastrutture costruite dall’uomo, i dromedari sono un grande problema per gli habitat di animali e vegetali: sono causa di estinzioni locali di alcune specie di piante, compromettono zone umide e corsi d’acqua – che durante la siccità diventano il rifugio per molte specie –, consumano il foraggio destinato alle attività di pastorizia e allevamento e portano malattie del bestiame. Il dromedario è solo uno tra i tanti animali non originari dell’Australia che nel tempo sono diventati un problema per l’ecosistema: ci sono anche cavalli, maiali, capre, cani, gatti, volpi e conigli selvatici, introdotti in natura dai coloni.

Mungitura di un dromedario nella fattoria QCamel, nel Queensland (Lisa Maree Williams / Getty Images)

Nel 2010 il governo australiano approvò un piano per il controllo del numero dei dromedari, l’Australian Feral Camel Management Project: prevedeva di sistemare collari geolocalizzati su alcuni esemplari e, una volta rintracciate le mandrie, abbatterle dall’alto, con gli elicotteri. Alla fine del 2013 si stimò che 160.000 animali erano stati abbattuti nell’operazione, che nel frattempo aveva attirato moltissime critiche dalle organizzazioni animaliste.

Da allora qualcuno si è inventato una soluzione alternativa per non ricorrere alla violenza: prendere il problema ambientale dei dromedari selvatici e riuscire a costruirci attorno un’attività remunerativa. Alcuni proprietari di ranch hanno pensato di radunare i dromedari e venderli in Medio Oriente per la loro carne o come animali “da equitazione” per le corse sportive. Lerwill ha fatto gli esempi di QCamel e Summer Land Camels, fattorie che si occupano di allevare dromedari, venderne il latte o usarlo per produrre latticini o creme, lozioni e altri cosmetici. L’Australian Feral Camel Management Project è stato ridimensionato dopo la pubblicazione di uno studio che sosteneva che la popolazione di dromedari fosse stata sovrastimata di tre volte; oggi il progetto è comunque ritenuto concluso.