15 famosi plagi musicali, o presunti tali

Lana Del Rey e i Radiohead sono solo gli ultimi di una lista che tira dentro i Led Zeppelin, i Coldplay, gli Oasis e soprattutto Tom Petty

La cantante americana Lana Del Rey dice che i Radiohead le hanno fatto causa per plagio, per le somiglianze (notevoli) tra la sua canzone “Get Free” e la loro “Creep”. Un rappresentante dei Radiohead ha negato che sia in corso una causa, e non si capisce bene chi dica la verità: ma si è parlato comunque molto di questa storia e di chi abbia ragione. Il concetto stesso di plagio musicale va maneggiato con cura: ci sono casi in cui è evidente che un artista ha copiato una canzone da un altro, nei quali è giusto che l’autore originale sia compensato, ma spesso, nella storia della musica, le accuse di plagio si sono spinte molto oltre, interessando canzoni che assomigliavano solo vagamente ad altre, o che avevano in comune soltanto brevi sequenze di note.

Quello che va sempre tenuto presente è che le note sono solo sette (in realtà sono dodici: valgono anche i diesis e i bemolle): è vero che possono essere combinate tra loro in modi infiniti ma la musica occidentale, e ancora di più la musica contemporanea, e ancora di più la musica pop e rock, ha costruito canoni e standard che sono ormai congeniti in chiunque. È possibile, e anzi è frequente, che due artisti compongano melodie simili in maniera totalmente indipendente: perché il loro gusto e la loro sensibilità musicale hanno qualcosa in comune che li ha portati a scrivere e a trovare bella una cosa simile. Tutto questo senza contare che ci sono sfumature diverse del concetto di plagio, e che una canzone può deliberatamente ispirarsi a un’altra, prendendone anche degli elementi, ed essere comunque bella e apprezzabile senza che quella originale ne subisca dei danni. Non c’è solo il bianco e nero, e c’è il rischio concreto che la rigidità nel sanzionare i plagi vada a intaccare la creatività degli artisti.

Un’altra cosa da avere bene chiara è che il plagio è una cosa diversa dal campionamento, cioè quella pratica diffusa nella musica elettronica e nell’hip hop che consiste nel prendere pezzi di canzoni, modificarli, assemblarli e aggiungerci altri elementi (una nuova linea vocale, per esempio) per farne una canzone nuova. Anche qui ci sono eccezioni e zone grigie, ma in generale per campionare una canzone di un artista bisogna chiedergli il permesso. Poi ci sono ancora le cover: nella questione di Lana Del Rey e dei Radiohead, qualcuno ha citato “Ad ogni costo” di Vasco Rossi, che è una versione italiana di “Creep” per la quale Rossi si mise d’accordo legalmente con la band britannica.

A volte le accuse di plagio nella storia sono state ignorate, altre volte hanno avuto come risultato un accordo privato tra le due parti per una compensazione economica. Spesso, in aggiunta, viene concessa all’autore della canzone originale una percentuale sui ricavati legati ai diritti d’autore della canzone accusata di plagio. A volte il nome dell’autore originale viene inserito anche tra gli autori dell’altra. E poi ci sono casi in cui le due parti non trovano un accordo, o chi è accusato di plagio respinge le accuse: in quel caso inizia un processo.

Abbiamo raccolto 15 casi di plagi musicali, concreti o presunti tali, raccontando la storia delle accuse e delle eventuali conseguenze legali. Si scopre che Tom Petty era una persona molto, molto cordiale, e che a volte i processi furono assurdi: come quello per il quale Michael Jackson dovette presentarsi alla pretura di piazzale Clodio, a Roma, per difendersi dalle accuse di Albano Carrisi.

“Blurred Lines” (Robin Thicke ft. T.I. e Pharrell Williams) e “Got To Give It Up” (Marvin Gaye)

Uno dei casi di plagio musicale più discussi degli ultimi anni ha coinvolto “Blurred Lines”, una canzone del 2013 di Robin Thicke (insieme a Pharrell Williams, uno dei più grandi talenti del pop contemporaneo) che ebbe un successo straordinario. La canzone fu criticata per molti motivi: perché aveva un video molto esplicito con modelle nude (video che peraltro lanciò la carriera della modella Emily Ratajkowski) e perché aveva un testo molto maschilista, che secondo molti era quasi un’apologia dello stupro.

Ma soprattutto, “Blurred Lines” fu criticata perché il giro di basso e l’accompagnamento ritmico all’inizio della canzone sono praticamente uguali a quelli di “Got To Give It Up”, una canzone del 1977 del grande cantante soul e funk Marvin Gaye. Anche le linee vocali si assomigliano molto, c’è lo stesso campanaccio ossessivo, delle voci in sottofondo, e in generale i “vibe” delle canzoni sono molto simili.

Dato che Gaye morì nel 1984, a fare causa a Thicke fu la sua famiglia. Fu un processo molto raccontato sui siti di spettacolo: tra le altre cose Thicke disse che al tempo aveva problemi di dipendenza e non partecipò molto alla composizione della canzone, e si scoprì che Williams non sa leggere uno spartito. La sentenza fu una delle più severe di sempre: Thicke e Williams dovettero pagare 5,3 milioni di dollari alla famiglia di Gaye, e devolverle il 50 per cento dei diritti sulla canzone.

“Stay With Me” (Sam Smith) e “I Won’t Back Down” (Tom Petty)

Una delle canzoni più popolari del 2014 fu “Stay With Me” del cantante inglese Sam Smith. Aveva un ritornello molto emozionante e orecchiabile, ma presto ci si accorse che era molto simile alla strofa di “I Won’t Back Down” del cantautore americano Tom Petty, scritta insieme a Jeff Lynne della Electric Light Orchestra. Smith disse che non l’aveva mai sentita e Petty fu molto conciliante, ammettendo che i plagi sono cose che possono capitare a tutti, solo che nella maggior parte dei casi vengono scoperti prima che il disco venga pubblicato. Raggiunsero facilmente un accordo, con Petty e Lynne che ottennero il 12,5 per cento dei diritti della canzone di Smith. Più recentemente, Smith è stato nuovamente accusato di plagio per la sua canzone “Midnight Train”, che secondo qualcuno assomiglia – di nuovo – a “Creep” dei Radiohead (ma molto meno di quella di Lana Del Rey).

“My Sweet Lord” (George Harrison) e “He’s So Fine” (The Chiffons)

Nel 1971 “My Sweet Lord” fu la prima canzone di un membro dei Beatles a finire al primo posto della classifica di Billboard, quando cominciarono le rispettive carriere da solisti. Ma assomigliava a “He’s So Fine”, canzone del 1961 delle Chiffons, un quartetto femminile afroamericano degli anni Sessanta. L’autore della canzone Ronnie Mack fece causa a Harrison, ma il processo cominciò soltanto anni dopo: nel frattempo le Chiffons registrarono una loro versione di “He’s So Fine”, per attirare l’attenzione sulla loro accusa. Harrison disse che si era ispirato a “Oh Happy Day”, canzone popolare priva di diritti, ma successivamente ammise che le due canzoni si somigliavano. Il giudice concluse che quello di Harrison era stato un “plagio inconscio”, ma il processo andò avanti fino al 1998: in mezzo l’ex manager di Harrison comprò l’editore delle Chiffons e rinegoziò la somma dovuta da Harrison a Mack, che scese a poco meno di 600mila dollari. La causa tra Mack e Harrison è considerata la prima ad avere introdotto il concetto di “plagio inconscio”, e fissò un precedente molto severo per i successivi processi per plagio.

“Last Nite” (The Strokes) e “American Girl” (Tom Petty)

“Last Nite” è probabilmente ancora oggi la canzone più famosa della band newyorkese degli Strokes, e fu il secondo singolo del loro disco d’esordio This is It del 2001. L’intro di chitarra, e in generale la struttura, ricorda un po’ “American Girl” di Tom Petty, di nuovo: lui la prese come al solito con molta filosofia. Disse che non gli dispiaceva: «Buon per loro». Nel 2006 li invitò addirittura ad aprire alcune date di un suo tour con gli Heartbreakers.

“Ice Ice Baby” (Vanilla Ice) e “Under Pressure” (Queen e David Bowie)

Quello di “Ice Ice Baby” è tra i più spudorati casi di plagio musicale di sempre: il rapper Vanilla Ice copiò quasi esattamente il famosissimo giro di basso che introduce la famosissima canzone dei famosissimi Queen e David Bowie. Ci mise addirittura i due accordi di pianoforte che concludono ogni giro del riff di basso. È a tutti gli effetti un campionamento, e se Vanilla Ice avesse fatto le cose in regola come tutti i rapper, “Ice Ice Baby” sarebbe probabilmente diventata un classico degli anni Novanta. Ma quando lo misero di fronte all’evidenza, lui disse che le due melodie erano diverse perché lui ci aveva aggiunto una nota di basso (che in effetti c’è, ma non sposta la questione di una virgola). Poi disse che scherzava, ma i Queen e Bowie gli fecero causa lo stesso. Ovviamente vinsero, anche se non si sa quanto abbiano ottenuto.

Il caso di “Ice Ice Baby” è importante perché secondo molti i Queen e Bowie sono stati danneggiati da Vanilla Ice, indipendentemente dalla somma ricevuta: non autorizzarono l’uso della propria canzone, ma volenti o nolenti dovettero accettare che fosse contenuta in una hit di un altro artista.

“Shakemaker” (Oasis) e “I’d Like to Teach the World to Sing” (The New Seekers)

“Shakemaker” fu il secondo singolo degli Oasis, contenuto nel disco Definitely Maybe del 1994: l’introduzione di chitarra, e anche le prime parole (“I’d like to”) e il modo in cui sono cantate assomiglia molto a “I’d Like to Teach the World to Sing”, una canzone del gruppo pop anni Sessanta The New Seekers, che nacque come jingle per una pubblicità di Coca-Cola ed ebbe un gran successo. La band fece causa agli Oasis, e ottenne una compensazione di 500mila dollari.

“Bitter Sweet Symphony” (The Verve) e “The Last Time” (Rolling Stones, nella versione della Andrew Oldham Orchestra)

“Bitter Sweet Symphony” è stata una delle canzoni più famose degli anni Novanta, pubblicata nel 1997 dai Verve, che sono ricordati sostanzialmente solo per quello. Ma l’enorme successo della canzone fruttò loro ben poco: utilizzava infatti un campionamento della versione della Andrew Oldham Orchestra della canzone “The Last Time” dei Rolling Stones, che invece nella versione originale era molto diversa. I Verve avevano un accordo con i Rolling Stone per utilizzare un passaggio di cinque note della canzone arrangiata dall’orchestra, in cambio del 50 per cento dei diritti. Ma lo infransero utilizzandone un estratto più ampio, almeno secondo i Rolling Stones. Secondo Richard Ashcroft, il leader dei Verve, la causa fu sporta soltanto per via del grande successo di “Bitter Sweet Symphony”.

I Verve furono molto sfortunati, perché si videro portare via tutti i ricavati della loro canzone più famosa: dovettero devolverli tutti a Allen Klein, ex manager dei Rolling Stones che aveva fatto loro causa, e aggiungere Mick Jagger e Keith Richards nei credits della canzone. La canzone fu utilizzata in una pubblicità di Nike senza il loro consenso, e quando fu nominata a un Grammy i nomi che la accompagnarono furono quelli di Jagger e Richards. In tutto questo David Whitaker, cioè il compositore che arrangiò la versione per orchestra di “Last Time”, non fu aggiunto nei credits della canzone.

“Will You Be There” (Michael Jackson) e “I cigni di Balaka” (Al Bano)

La storia più sorprendente tra quelle di questa lista coinvolge il più famoso cantante pop della storia dell’umanità e Albano Carrisi, che accusò Michael Jackson di aver copiato la sua “I cigni di Balaka”, contenuta nel disco del 1987 Libertà!. Carrisi fece causa a Jackson nel 1992, e iniziò un processo che nel 1997 fece arrivare Jackson in una stanza della pretura di piazzale Clodio a Roma. Nel surreale resoconto della seduta che ne fece Repubblica si dice che a un certo punto Jackson si rivolse ad Al Bano chiamandolo “maestro”, e che il pretore gli chiese conto tra le altre cose del perché tutte e due le canzoni parlassero di un fiume: Jackson rise spiegando che non sapeva l’italiano. L’articolo riporta anche una dichiarazione dell’avvocato di Al Bano che si disse convinto che Jackson avrebbe smesso di ridere al momento di risarcire i danni.

Alla fine il pretore diede ragione a Carrisi, e Jackson fu costretto a pagare quattro milioni di lire, dei cinque miliardi chiesti inizialmente. Ma la storia non finì qui: nel 1999 il Tribunale di Milano stabilì che sia Jackson sia Carrisi si erano ispirati entrambi alle vecchie canzoni blues. Repubblica scrisse che Carrisi era «pronto a sancire la pace, magari con un duetto».

“Surfin’ USA” (Beach Boys) e “Sweet Little Sixteen” (Chuck Berry)

Agli albori del rock ‘n roll, ai tempi di Little Richards e Chuck Berry, le canzoni si assomigliavano spesso: erano costruite su semplici e identiche progressioni di tre accordi, suonati con ritmiche boogie molto simili. Il caso di “Surfin’ USA” – del 1963, tra le canzoni più famose di sempre dei Beach Boys – e “Sweet Little Sixteen” di Chuck Berry fu tra i primi a stabilire un plagio nella storia del rock. Brian Wilson, leader dei Beach Boys, era un fan di Berry, a cui si ispirò sia per la musica che per i testi di molte sue canzoni. Nei loro primi concerti facevano spesso anche delle sue cover. Wilson disse che “Surfin’ USA” era un tributo a Berry, ma lui la pensava diversamente: temendo una causa, il manager dei Beach Boys (che era anche il padre di Wilson) accettò di dare tutti i diritti della canzone all’editore di Berry, anche se il suo nome comparve nei credits soltanto nel 1968.

“Viva la Vida” (Coldplay) e “If I Could Fly” (Joe Satriani)

“Viva la Vida” fu la canzone che probabilmente segnò il passaggio dei Coldplay da band rock a fenomeno di massa del pop contemporaneo. Ma il suo successo fece arrabbiare Joe Satriani, un famoso virtuoso della chitarra che fu l’apripista della “shred guitar”, quel genere tanto caro agli adolescenti che stanno imparando lo strumento  quanto insopportabile per chiunque altro, e che consiste in lunghi e tecnicissimi pezzi strumentali di chitarra elettrica. Satriani disse infatti che il ritornello di “Viva la Vida” era copiato da un passaggio della sua canzone “If I Could Fly”: fece causa e alla fine trovò un accordo con i Coldplay, che comunque dissero che era solo una coincidenza.

La cosa buffa è che qualche mese dopo il cantante Yusuf Islam, precedentemente noto come Cat Stevens, disse che tutte e due le canzoni assomigliavano a “Forever Suite”, una sua lunghissima canzone del 1973. Disse però che non era arrabbiato e pensava che fosse una coincidenza, e propose un tè per chiarire la questione. In realtà le note in questione sono soltanto cinque, nemmeno troppo uguali, e non fu preso molto seriamente.

Ci fu poi anche un professore di musica che disse che tutte e tre le canzoni assomigliavano a “Se tu m’ami”, una composizione del Settecento dell’italiano Giovanni Battista Pergolesi. È un paragone forzatissimo, perché le canzoni si assomigliano davvero poco: ma è molto istruttivo per capire i rischi del voler trovare plagi dove in realtà non ci sono, e quanto sia facile che due melodie simili siano composte in maniera totalmente indipendente.

Il passaggio è al minuto 0.49.

Qui invece il video comincia al momento giusto:

“Ghostbusters Theme” (Ray Parker Jr.) e “I Want a New Drug” (Huey Lewis and the News)

I produttori di Ghostbusters, la commedia di fantascienza del 1984, contattarono il cantante Huwey Lewis per scrivere la canzone del film, ma lui rifiutò perché stava già lavorando alla colonna sonora di Ritorno al futuro. Allora chiesero al musicista Ray Parker Jr. di scriverla lui, in un modo che ricordasse le canzoni di Lewis. Solo che li prese troppo alla lettera, e finì per pescare a piene mani dal riff alla base di “I Want a New Drug”, una canzone uscita quello stesso anno, e che aveva avuto pure un gran successo. Lewis fece causa a Parker, e i due trovarono un accordo che si impegnarono a non rivelare mai. Andò tutto bene finché Lewis ne parlò in televisione, nel 2001, e Parker gli fece causa.

“Dani California” (Red Hot Chili Peppers) e “Mary Jane’s Last Dance” (Tom Petty)

“Dani California” fu il primo singolo di Stadium Arcadium, che uscì 12 anni fa (esatto, DODICI): due conduttori radiofonici americani si accorsero che la prima parte era simile, nella melodia e nel ritmo, a “Mary Jane’s Last Dance” di Tom Petty. Anche in questo caso, lui non ne fece una grande questione: disse che non pensava di fare causa, che credeva non ci fossero cattive intenzioni e che comunque molte canzoni rock si assomigliano.

“Do Ya Think I’m Sexy?” (Rod Stewart) e “Taj Mahal” (Jorge Ben Jor)

Una delle canzoni più famose e di successo di Rod Stewart fu accusata dal cantante brasiliano Jorge Ben Jor di plagio: il famoso ritornello della canzone secondo lui era copiato dalla sua canzone “Taj Mahal”. I due si accordarono privatamente senza passare per il tribunale, e nella sua autobiografia Stewart ammise che fu “plagio inconscio”: aveva sentito la canzone al carnevale di Rio de Janeiro nel 1978.

“Stairway to heaven” (Led Zeppelin) e “Taurus” (Spirit)

Un altro caso di processo per plagio musicale molto raccontato negli ultimi anni è quello che ha coinvolto i Led Zeppelin e Mark Andes, bassista della band psichedelica degli anni Sessanta degli Spirit, il cui leader Randy California morì nel 1997. La canzone in questione è “Taurus”, uscita nel 1968 (due anni prima di “Stairway to Heaven”) e in particolare l’arpeggio iniziale. La causa iniziò soltanto nel 2014, andò avanti per tre anni e fu molto seguita dai giornali: alla fine fu deciso che non c’erano gli estremi per parlare di plagio, ma c’è stato un appello e la questione non è ancora finita.

“Fight Test” (Flaming Lips) e “Father and Son” (Cat Stevens) 

“Fight Test” fu il terzo singolo estratto da Yoshimi Battles the Pink Robots, uno dei dischi più famosi dei Flaming Lips, rispettata band di rock psichedelico americana. Cat Stevens però disse che assomigliava a “Father and Son”, la sua canzone più famosa, e raggiunse un accordo privato con la band per ottenere il 75 per cento dei diritti della canzone. Il leader dei Flaming Lips Wayne Coyne disse al Guardian di essere molto dispiaciuto, e che la band si era accorta delle somiglianze mentre registrava il disco, e che aveva già cambiato quelle parti. Disse che capiva Stevens, anche se pensava non avrebbe fatto molti soldi con i loro diritti.