Forse quest’anno non mangeremo pandori Melegatti

La società che ha brevettato il pandoro ha bisogno di un nuovo socio, o rischia di chiudere

(ANSA)
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In questi giorni i due stabilimenti Melegatti, la società di Verona che a fine Ottocento brevettò il pandoro, sono chiusi. Gli operai non vengono pagati da agosto e i fornitori hanno maturato talmente tanti arretrati che hanno smesso di consegnare le materie prime. Nel 2016 il fatturato della società, scrive Repubblica, è stato di 70 milioni di euro, ma i debiti hanno raggiunto i 40. L’investimento su un nuovo stabilimento per produrre brioche tutto l’anno non è andato bene, mentre i litigi tra le due famiglie che controllano la società, i Ronca e i Turco, non hanno aiutato a migliorare la situazione. Il risultato è che al momento i consulenti di Melegatti stanno cercando un possibile compratore: vendere la società a un concorrente più grande come Ferrero è ormai considerato l’unico modo per evitare il fallimento.

La situazione di Melegatti si è aggravata in particolare nell’ultimo anno, in seguito all’investimento milionario per la costruzione di un nuovo stabilimento. La società produce storicamente a San Giovanni Lupatoto, in provincia di Verona, dove lavorano 70 dipendenti e 200 lavoratori stagionali che si occupano soprattutto dei pandori in periodo natalizio, il momento in cui la società fa circa il 70 per cento del suo fatturato annuale. In uno degli ultimi piani industriali, i manager della società hanno deciso di aumentare i ricavi dalle vendite non ricorrenti e per questo a febbraio hanno aperto un secondo stabilimento a San Martino Buon Albergo, sempre vicino Verona, dove produrre brioche da vendere tutto l’anno.

Per farlo hanno preso in prestito 15 milioni di euro dalle banche, con cui finanziare l’investimento, tra cui l’acquisto di macchinari ad alta tecnologia. Oggi però tutte le attrezzature sono state rimpacchettate nel nylon, ha raccontato a Repubblica un sindacalista che lavora a Melegatti. Appena aperta, la nuova fabbrica è stata usata a pieno regime e alcuni dipendenti raccontano di aver lavorato con turni da 63 ore settimanali. I soldi però sono finiti in pochi mesi. Alla fine dell’estate le banche hanno iniziato a essere sempre più severe, a chiedere il rientro dei prestiti, a limitare i fidi e a tagliare la liquidità. La società non ha più potuto pagare né dipendenti né fornitori ed è stata costretta a sospendere le attività.

Non è chiaro cosa esattamente sia andato storto negli ultimi mesi, ma che Melegatti sia in difficoltà è noto da tempo. La società ha sofferto molto la concorrenza di Bauli, un altro produttore dolciario fondato da un ex dipendente Melegatti. Bauli è stata la prima società a capire che per sopravvivere bisognava diversificare la produzione, spostarla dai prodotti natalizi a qualcosa che si potesse vendere tutto l’anno. Melegatti invece è arrivata tardi su questo fronte. Con la crescita della grande distribuzione negli ultimi decenni, inoltre, i margini di guadagno per i produttori di pandoro si sono fatti sempre più stretti, limitando ancor di più il loro spazio di manovra. «I pandori costano meno del pane. Guadagnare così è difficilissimo», ha raccontato a Repubblica Paola Salvi, segretaria della Flai-Cgil, il sindacato che rappresenta i lavoratori dell’agroalimentare, tra cui molti di quelli che lavorano per Melegatti.

«Le cose hanno preso una brutta piega dal 2005», ha raccontato un’altra dipendente. Quell’anno morì il presidente Salvatore Ronca e iniziò una battaglia durata tre anni tra le due principali famiglie che detenevano quote della società, i Ronca e i Turco. Una parte era favorevole a cederla, mentre l’altra voleva continuare le attività. Alla fine nel 2008 divenne presidente la vedova di Ronca, Emanuela Perazzoli, che insieme alla sorella Giogliola Ronca raccolse il 68 per cento delle quote dell’azienda. Gli anni di scontri però avevano portato a una perdita secca di bilancio che la nuova gestione cercò di ripianare. Anche se le cose migliorarono negli anni successivi, la società non è mai riuscita a ripartire del tutto, stretta tra un costo delle materie prime che continuava ad alzarsi e i prezzi pagati dai distributori sempre più bassi. L’unica speranza ora sembra essere l’arrivo di un grande socio, in grado di acquistare l’intera azienda e rivitalizzarne il marchio.