Meno parcheggi per tutti

L’Economist propone di limitarli e farli pagare di più, per il bene delle nostre città

(STR/AFP/Getty Images)
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La ricerca di un parcheggio in città è tra le attività più stressanti per chi guida, è una delle principali cause del traffico cittadino e ha un impatto sulla vita di intere comunità: per questo motivo le amministrazioni locali dovrebbero rivedere radicalmente le loro politiche legate ai parcheggi, ha spiegato la settimana scorsa l’Economist in un lungo articolo accompagnato da un editoriale. Meno spazi per le auto e prezzi più alti dei parcheggi potrebbero ridurre i problemi di traffico nelle vie cittadine, favorire l’utilizzo e il miglioramento dei mezzi pubblici e offrire nuove opportunità di ricavo per le città, che devono spesso fare i conti con bilanci striminziti. Ma cambiare approcci e strategie non è semplice, soprattutto in alcuni paesi, e può essere controproducente dal punto di vista della raccolta del consenso, cosa che spinge molti amministratori a non fare riforme radicali nel timore di perdere le elezioni.

La politica che secondo l’Economist ha fatto più danni nelle città in giro per il mondo è quella del “parcheggio minimo”: per ogni nuovo edificio deve essere garantita la costruzione di un numero minimo di parcheggi, che garantisca la possibilità di lasciare la propria automobile alle persone che abiteranno o lavoreranno in quel nuovo spazio. Negli Stati Uniti è una politica molto seguita e negli anni ha portato a storture notevoli, incentivando un utilizzo sproporzionato delle automobili rispetto agli altri mezzi di trasporto.

A Cupertino, città poco distante da San Francisco e nel cuore della Silicon Valley, Apple ha quasi terminato la costruzione del suo gigantesco Apple Park, un edificio circolare che ricorda un disco volante con un grande parco intorno, dove si trasferiranno buona parte delle attività dell’azienda. Il nuovo campus è avveniristico e avrà sistemi di trasporto interni ecologici, ma Apple ha comunque dovuto rispettare le richieste sul “parcheggio minimo” di Cupertino, trovando spazi per costruire 11mila posti auto per i suoi circa 14mila dipendenti che lavoreranno nella zona. Il parcheggio più grande è sotterraneo, ma Apple ha dovuto aggiungere altri spazi per arrivare alla quota minima, e basta leggere la superficie occupata dal luogo di lavoro vero e proprio e dai parcheggi per rendersi conto del paradosso: 318mila metri quadrati di uffici e laboratori contro 325mila metri quadrati di posti auto.

Il sistema del numero minimo di parcheggi iniziò ad affermarsi negli Stati Uniti a partire dai primi anni Venti, quando c’erano poche automobili in circolazione, ma con la prospettiva di una rapida crescita in seguito all’introduzione di modelli più economici e per il mercato di massa come la Modello T di Ford. Nei decenni successivi, questa politica è diventata la basa di buona parte dei piani regolatori delle grandi città statunitensi, è stata studiata e modificata nelle università statunitensi e ha raggiunto altri posti del mondo, soprattutto in rapida via di sviluppo come la Cina, dove molte amministrazioni hanno deciso di applicarla.

Per i costruttori la regola del “parcheggio minimo” può essere un serio problema quanto un’opportunità. In alcuni contesti urbani, dove c’è un’alta densità di edifici, comporta costose modifiche ai progetti, per realizzare spazi sotterranei o multipiano in cui tenere le automobili. In altri casi, la loro aggiunta è invece vista positivamente, perché spesso chi cerca una nuova casa vuole avere il parcheggio più vicino possibile, e può condizionare la vendita di un immobile a prezzi più alti di quelli del mercato.

Un esperto di economia dei parcheggi, Donald Shoup, ha spiegato all’Economist che la costruzione obbligatoria di nuovi parcheggi quando si realizza un edificio fa aumentare notevolmente i costi. Shoup ha calcolato che a Los Angeles i costi per il costruttore di un centro commerciale aumentano del 67 per cento, se costruisce parcheggi in superficie, e del 93 per cento se invece è costretto a costruirli sotterranei per mancanza di spazi. Il “parcheggio minimo” è inoltre un problema per chi vuole convertire un edificio a un’altra destinazione d’uso per la quale i regolamenti cittadini richiedono più parcheggi: se l’edificio è in una zona centrale e già densamente costruita c’è il rischio concreto di non potere provvedere alla conversione, perché il costruttore non potrà rispettare la regola dei nuovi posti auto.

I parcheggi gratuiti, come quelli nei centri commerciali o per gli impiegati, non sono in realtà del tutto gratuiti: i costi per la loro manutenzione sono comunque scaricati su chi frequenta quei luoghi. Biglietti, prodotti e conti al ristorante sono un po’ più cari per compensare le spese di manutenzione dei parcheggi, con l’effetto che tutti li pagano, comprese le persone che hanno raggiunto quei posti con mezzi diversi e senza utilizzare un’automobile. Il sistema non è equo, scrive l’Economist: “Negli Stati Uniti, il 17 per cento dei neri e il 12 per cento degli ispanici che vivono nelle grandi città utilizzano i mezzi di trasporto pubblico per andare al lavoro, a fronte del 7 per cento dei bianchi (dati del 2013). I parcheggi gratuiti sono un sussidio per le persone più anziane che viene pagato in modo sproporzionato dai più giovani e sono un sussidio per i più abbienti che viene pagato dai più poveri”.

Il modello del “parcheggio minimo” negli ultimi anni si è esteso nelle grandi città in giro per il mondo, a partire dalla Cina, dove il numero di automobili in circolazione continua a crescere a ritmi sostenuti. A Pechino i parcheggi lungo le strade sono tenuti sotto controllo da una squadra di ausiliari del traffico, che hanno il compito di lasciare un tagliando a chi ha appena parcheggiato, riscuotendo poi la cifra dovuta quando l’automobilista è tornato a recuperare il suo veicolo. Il sistema non funziona molto, con numerosi casi di ausiliari che offrono uno sconto agli automobilisti per intascarsi direttamente il pagamento del parcheggio. A Pechino la regola dei minimi è rimasta sostanzialmente invariata da più di dieci anni: i costruttori devono provvedere a 0,3 posti auto per ogni nuovo appartamento realizzato in centro e 0,5 posti nelle aree più periferiche. Secondo gli analisti saranno presto aumentati in risposta al crescente numero di veicoli in circolazione. Il fatto che la regola dei minimi sia così popolare deriva, secondo molti, dal fatto che sia insegnata nelle università degli Stati Uniti, dove si formano urbanisti e tecnici stranieri che poi tornano nei loro paesi per lavorare applicando ciò che hanno imparato.

Nella maggior parte dei paesi europei la situazione è meno complicata, per lo meno per quanto riguarda l’organizzazione degli spazi. I centri storici delle città più grandi sono comunque raccolti e densamente costruiti, con palazzi che subiscono di rado cambi di destinazione d’uso e quindi con un numero stabile di appartamenti, uffici ed esercizi commerciali. I parcheggi lungo le strade sono quasi tutti a pagamento, ma con prezzi bassi, nonostante la percezione degli automobilisti poco disposti a spendere più di 2-3 euro all’ora per un parcheggio in centro.

A Londra la regola del numero minimo di parcheggi è stata abolita nel 2004. Una ricerca condotta dalla New York University ha rilevato che la media di posti auto per appartamento è passata da 1,1 a 0,6. Il dato evidenzia quanto questa politica avesse portato a un aumento dell’offerta non giustificato dalla domanda. Lo Shard, il grande grattacielo di Londra inaugurato 4 anni fa, ha 95 piani, ma offre appena 48 posti auto.

Londra nebbiaLo Shard visto dal London Bridge (DANIEL SORABJI/AFP/Getty Images)

Le città europee hanno in media sistemi più ordinati di gestione dei parcheggi, ma applicano ancora tariffe che vengono molto incontro agli automobilisti. Tra le città più care per un posto in centro c’è Amsterdam, che chiede 5 euro all’ora, ma ci sono naturalmente possibilità più vantaggiose se si utilizzano i parcheggi di scambio poco distanti dal centro. Nel 2015 Amsterdam ha ricavato 190 milioni di euro dai suoi parcheggi, ma potrebbe ottenere molto di più. Il problema, comune a molte altre città, è dato dall’offerta a prezzi più vantaggiosi delle aree di parcheggio sotto casa per i residenti. I permessi costano tra i 30 e i 535 euro all’anno a seconda delle aree in cui si vive e di altre variabili, come il reddito. I posti sono però limitati e di conseguenza ci sono lunghe liste d’attesa, perché il numero di richiedenti supera abbondantemente quello dei permessi: in alcuni quartieri la lista di attesa è di 232 mesi. Chi decide di tenere l’automobile in parcheggi pubblici più periferici, perché tanto non la usa tutti i giorni, può invece ottenere qualche sgravio sulle tasse comunali.

In Italia alcune amministrazioni hanno iniziato a valutare marcati aumenti dei permessi per i parcheggi sotto casa. A Torino, per esempio, ha fatto molto discutere l’annuncio della sindaca Chiara Appendino (Movimento 5 Stelle) sulla revisione del sistema dei permessi annuali: invece di far pagare a ogni richiedente 45 euro, come avvenuto finora, i prezzi saranno stabiliti in base al reddito annuo. Fino a 24mila euro la cifra resterà invariata, ma passerà a 90 euro fino a un reddito di 50mila euro e a 180 euro per tutti gli altri. Il provvedimento va nella direzione consigliata da molti esperti per cambiare le politiche sui parcheggi, ma non ha ancora previsto soluzioni per accompagnare la novità e dare alternative a chi non vuole pagare cifre più alte, rinunciando al posto sotto casa.

Meno parcheggi disponibili in centro, o a prezzi più alti, portano a una riduzione del traffico e dell’inquinamento, considerato che in molte città la maggior parte del tempo trascorso in auto è proprio per trovare un posto dove lasciarla. I maggiori ricavi derivanti dalle tariffe più alte consentirebbero inoltre alle città di potere investire denaro per migliorare la viabilità, la manutenzione delle strade e avere trasporti pubblici più efficienti, che non devono fare i conti con alti livelli di traffico. Le innovazioni tecnologiche nel settore dell’auto potrebbero favorire ancora di più il decongestionamento delle città dai parcheggi.

Come ha già fatto in parte il car sharing, le automobili che si guidano da sole renderanno sempre più superflua la necessità di possedere un’auto. Se usate da più persone, come una sorta di taxi senza autista e più economico, le automobili che si guidano da sole possono rimanere sempre attive e in circolazione, superando di gran lunga la media del 95 per cento del tempo passato in un parcheggio. Uber ha avviato la sperimentazione di sistemi di questo tipo negli Stati Uniti, ma per ora con autisti pronti a intervenire alla guida se qualcosa dovesse andare storto. Elon Musk, il CEO di Tesla, ha prospettato un futuro in cui i proprietari delle automobili elettriche che produce la sua azienda potranno offrire passaggi automatici quando non le utilizzano, ricavando qualche soldo. Il problema è che molte amministrazioni, per non parlare degli stati, sono in ritardo nella produzione di permessi e leggi per consentire la guida automatica, rallentando una delle opportunità più promettenti per risolvere il problema dei parcheggi.