“The Startup”, la storia vera

Esce oggi un film che racconta la storia del presunto "Mark Zuckerberg italiano", ma di vero dentro c'è molto poco

The Startup è un film italiano che uscirà al cinema il 6 aprile. Racconta la storia di un ragazzo figlio di operai della periferia di Roma che dopo una serie di difficoltà riesce a riscattarsi inventando un social network di grande successo. Il film è parzialmente ispirato alla storia di Matteo Achilli, inventore del social network Egomnia, ed è stato paragonato da molti a The Social Network, l’apprezzato film del 2010 di David Fincher sulla fondazione di Facebook. Se però non avete mai sentito parlare di Egomnia e del suo fondatore Achilli, non stupitevi: Egomnia non è mai diventata una startup milionaria e, secondo molti, il suo fondatore è stato abile soprattutto nell’ottenere attenzioni dai media. In altre parole, nella storia del “Mark Zuckerberg italiano” c’è molta pubblicità e poca sostanza.

Matteo Achilli è nato a Roma nel 1992 e nel 2011, insieme ad alcuni colleghi iscritti come lui all’università Bocconi di Milano, creò un social network per aiutare i giovani a trovare lavoro. Secondo Egomnia, il sistema si basa su un algoritmo in grado di abbinare i profili di chi cerca e chi offre lavoro su base “meritocratica”. Non è chiaro come Egomnia sia differente da altri social network che cercano di fare la stessa cosa, per esempio Linkedin, ma nel corso del 2012 Achilli iniziò ad attirare l’attenzione della stampa. In un articolo del 4 ottobre il Corriere della Sera descrisse così il progetto:

«Il portale funziona come Facebook: l’utente si iscrive e crea un profilo elencando titoli di studio ed esperienze lavorative. Qui interviene l’innovazione alla base di Egomnia, l’algoritmo inventato da Matteo che già gli è valso il soprannome di «Mark Zuckerberg italiano» (affibbiatogli lo scorso maggio dal settimanale Panorama Economy). Il sito, in pratica, inserisce l’utente in un sistema di classifiche a seconda dell’area professionale indicata, delle sue competenze e delle sue abilità. In questo modo le aziende possono selezionare il candidato che meglio risponde al profilo cercato».

Il progetto di Achilli continuò ad attirare le attenzioni della stampa, ma sui blog specialistici cominciarono a comparire le prime critiche. Nelle interviste, Achilli parlava di numeri di utenti e accessi che non sembravano corrispondere alla realtà (il Corriere della Sera parlò di 50 mila utenti nell’ottobre 2012), mentre in molti espressero dubbi sull’algoritmo che Achilli diceva di utilizzare e sull’effettiva innovazione del suo progetto. In ogni caso Egomnia non sembrò decollare e l’interesse per il progetto iniziò a scemare. Non se ne sentì praticamente più parlare fino al 2014 quando due giornalisti di BBC pubblicarono un articolo dal titolo “Is this Italy’s Mark Zuckerberg?“, dedicato ad Achilli e al suo social network. Pochi giorni dopo anche Business Insider gli dedicò un lungo articolo.

Per Achilli ed Egomnia, gli articoli della stampa straniera furono una seconda occasione per catturare l’attenzione dei media italiani: i giornali e le televisioni italiane tornarono a interessarsi del suo progetto. Siamo adesso all’estate del 2014: secondo il sito di Egomnia, in quel periodo Achilli ricevette una «medaglia della Presidenza della Repubblica Italiana, firmata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano». Non è chiaro di che decorazioni si tratti e in ogni caso il nome di Achilli non è presente nell’elenco di coloro che hanno ricevuto onorificenze sul sito del Quirinale.

Nell’estate del 2014 anche la stampa specialistica iniziò a interessarsi al progetto di Achilli, ma con altri toni. In un articolo pubblicato su Wired l’8 agosto 2014, Guido Romeo scrive: «Per quanto riguarda la tecnologia, a oggi mentre scriviamo, si fatica a misurare il prodotto di Egomnia visto che la sua piattaforma non è accessibile. Un algoritmo scritto al liceo per fare il ranking di quattro parametri non sembra però una tecnologia di punta molto difendibile, come magari i sistemi alla base di Google o altre aziende». Inoltre, scrive Romeo, il settore scelto da Achilli è già affollato di competitori molto più grandi e radicati: «Il mercato del recruitment online è già in via di saturazione per l’affollamento di player tra cui giganti come Linkedin (161 milioni di dollari di fatturato e 1,9 di profitti), ma anche altri italiani come Jobrapido (lanciata nel 2007 a Milano con 200mila euro e oggi valutata più di 60 milioni di euro)».

Romeo non parte da una posizione eccessivamente critica nei confronti di Achilli, e alla fine gli augura di riuscire a trovare i capitali necessari a trasformare quella che al momento sembra soltanto una buona idea poco sviluppata, in una vera impresa. A quanto risulta dai dati disponibili, Achilli non ci è ancora riuscito. Secondo i bilancio depositati presso la Camera di commercio e pubblicati negli ultimi mesi da diversi blog, nel 2015 la società aveva un fatturato di circa 300 mila euro, debiti per circa 120 mila euro e utili per 5.500 euro. La società spende 12 mila euro per dipendenti, cioè il costo di un solo impiegato part-time. La pagina Facebook di Egomnia ha appena 18 mila piace (di cui un certo numero sarebbero bot acquistati) e buona parte delle recensioni sono piuttosto negative. Sono numeri che, sei anni dopo la fondazione, indicano chiaramente che Egomnia non ha avuto successo e non è stata all’altezza della copertura mediatica che ha ricevuto.

Resta la domanda del perché il regista Alessandro D’Alatri abbia deciso di fare un film su quella che in un certo senso è una non notizia: un fenomeno imprenditoriale di scarso successo come molti altri, ma che ha ricevuto sproporzionate attenzioni da parte dei media. Nel corso di un’intervista con il direttore di AGI, Riccardo Luna, D’Alatri ha risposto che non gli importava raccontare la vera storia nei suoi dettagli, né apparentemente seguire innanzitutto delle motivazioni artistiche, ma raccontare qualcosa che potesse ispirare altri ragazzi a fare gli imprenditori: «Sento che c’è un gruppo di giovani che non si sente rappresentato. Se questa storia serve ad aprire una saracinesca e ad aprire veramente il mondo delle startup, allora è un bene. Se il mio film riesce a dare un contributo, è una cosa molto positiva».