La storia del presunto plagio nella tesi di dottorato di Marianna Madia

Il Fatto dice che ci sono passaggi identici a quelli di altre pubblicazioni: Madia dice che il suo lavoro è corretto e che le fonti sono citate in bibliografia

Marianna Madia, novembre 2016 (Fabio Cimaglia / LaPresse)
Marianna Madia, novembre 2016 (Fabio Cimaglia / LaPresse)

Martedì 28 marzo il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo in cui sostiene che la ministra della Semplificazione e Pubblica Istruzione, Marianna Madia, avrebbe copiato parte della propria tesi di dottorato intitolata “Essays on the Effects of Flexibility on Labour Market Outcome” da altri lavori, senza citare le fonti nel testo. Madia ha ottenuto il dottorato nel 2008 – anno della sua elezione in parlamento – presso la scuola IMT Alti Studi Lucca, scuola pubblica organizzata come centro di ricerca e scuola di dottorato. La storia del plagio si trova oggi sulla prima pagina del Fatto ed è stata ripresa da diversi altri quotidiani nazionali. La ministra ha negato le accuse e Pietro Pietrini, direttore dell’IMT, le ha definite infondate.

La tesi di Marianna Madia si trova sul sito dell’IMT. Il Fatto l’ha analizzata dicendo che «in 35 di 94 pagine della tesi (al netto di bibliografia, figure e tabelle) ci sono passaggi pressoché identici a quelli presenti in altre pubblicazioni. La fonte di quei passaggi non risulta citata laddove il ministro li riporta nella sua tesi. Col risultato che spesso non è possibile distinguere le parole originali della Madia da quelle di altri autori». Al Fatto risultano essere circa 4 mila le parole senza una chiara attribuzione, passaggi che erano già apparsi in pubblicazioni scientifiche, in rapporti della Commissione europea, del Fondo monetario internazionale e di centri di ricerca. A questo risultato, precisa il Corriere della Sera, il Fatto è arrivato utilizzando due software antiplagio.

Nel testo della tesi ci sarebbero pezzi di testo identici a quelli di altri autori senza virgolette né attribuzione della fonte. In altri casi i lavori da cui Madia avrebbe attinto sono citati, ma si fa riferimento «a un altro lavoro del medesimo autore, che però non è citato dove i passaggi sono riportati». E ancora: «Alcune pagine appaiono come collage di più articoli di diversi autori, senza fonte né virgolette, inframmezzate da frasi scritte dall’autrice della tesi. Oppure, in una serie di frasi riprese verbatim (senza fonti né virgolette) vengono cambiate solo alcune parole: “question” nella fonte originale diventa “issue” nella tesi, “step” diventa “stage“, “those” diventa “these”». Le pubblicazioni da cui sono ripresi i passaggi senza attribuzione tra parentesi e senza virgolette, precisa il Fatto, sono elencati nella bibliografia della tesi, ma non sono citate nel punto esatto in cui vi si attinge. E questa mancanza di correttezza, è la conclusione, si definisce plagio: è giudicata molto severamente nel mondo accademico e in Italia è punita dalla legge 475 del 1925.

L’articolo si conclude con la presentazione di alcuni casi simili scoperti di recente in altri paesi: nel 2011 Karl-Theodor zu Guttenberg, ex ministro della Difesa tedesco, si dimise e rinunciò al dottorato dopo un’inchiesta sulla sua tesi fatta da Süddeutsche Zeitung (l’ex ministro, però, non citò affatto le fonti e non solo nel testo, ma nemmeno nella bibliografia o nelle note). Qualche settimana fa in Francia L’Express ha poi scoperto dei passaggi copiati da autori celebri, ma non citati neanche in bibliografia, nell’ultimo libro del fisico e filosofo Etienne Klein sul cui caso il ministero della Ricerca francese ha aperto un’inchiesta.

Il giorno della pubblicazione dell’inchiesta sul Fatto Quotidiano Marianna Madia ha risposto scrivendo un messaggio su Twitter:

Poco dopo ha ribadito il concetto anche su Facebook aggiungendo che «le fonti e gli autori sono stati citati». Sul Corriere della Sera di oggi ci sono anche le dichiarazioni di Pietro Pietrini, direttore dell’IMT: «Le accuse sono infondate e nulla tolgono alla grande qualità di un lavoro finito su due riviste internazionali, in particolare sul Cambridge journal of Economics. Con il senno di poi forse Madia un’ingenuità l’ha commessa. In una piccola parte dei casi le fonti non sono indicate nel testo ma nella bibliografia. Una prassi comune all’epoca, quando in Italia non c’erano software antiplagio e nemmeno questa ossessione per le citazioni. Oggi ci saremmo accorti dell’ingenuità, avremmo suggerito di spostare le citazioni. Ma è un dettaglio». A seguito dell’articolo del Fatto non sarà dunque aperta nessuna inchiesta interna: «Le inchieste si aprono quando uno trucca i dati non perché mancano 4 parentesi. Figuriamoci, le abbiamo chiesto (a Marianna Madia, ndr) di diventare presidente onorario dell’associazione dei nostri ex allievi. Com’è che si dice? Calunniate, calunniate: qualcosa resterà».