Mario Mori è stato assolto di nuovo

Il famoso ex generale dei carabinieri è stato assolto anche in appello dall'accusa di non aver arrestato Bernardo Provenzano, benché potesse

Mario Mori nel 2014.
(ANSA/GIORGIO BENVENUTI)
Mario Mori nel 2014. (ANSA/GIORGIO BENVENUTI)

La Corte d’Appello di Palermo ha confermato la sentenza di assoluzione emessa in primo grado nel 2013 nei confronti dell’ex generale dei carabinieri Mario Mori e del colonnello dei carabinieri Mauro Obinu nel processo che li ha coinvolti per favoreggiamento aggravato al boss mafioso Bernardo Provenzano. Mori e Obinu erano accusati dalla procura generale di Palermo di non aver arrestato il boss mafioso Bernardo Provenzano nel 1995, nonostante ne avessero la possibilità. Provenzano sarebbe poi stato arrestato solo undici anni dopo, nel 2006.

Il processo contro Mori e Obinu era cominciato dopo le dichiarazioni di un altro colonnello dei carabinieri, Michele Riccio, che aveva sostenuto che il Reparto Operativo Speciale (ROS), l’organo dei carabinieri che si occupa di criminalità organizzata e del quale Mori era comandante, aveva ricevuto l’informazione che Provenzano avrebbe partecipato a una riunione mafiosa nelle campagne di Mezzojuso, in provincia di Palermo, il 31 ottobre 1995. Secondo Riccio il ROS avrebbe avuto la possibilità di intervenire e arrestare Provenzano, ma Mori e Obinu (che era un suo sottoposto) non diedero l’autorizzazione all’arresto.

I magistrati che avevano rappresentato l’accusa nel processo di primo grado erano stati Nino Di Matteo e Antonio Ingroia, ma in quel caso il capo d’accusa era favoreggiamento alla mafia. Nel corso del processo di secondo grado, però, i procuratori dell’accusa Roberto Scarpinato e Luigi Patronaggio avevano deciso di modificare il capo di imputazione, eliminando l’accusa di favoreggiamento aggravato alla mafia. La decisione dei procuratori serviva a non collegare il processo di Mori e Obinu a quello sulla presunta trattativa Stato-mafia, in cui Mori è imputato e che è in corso alla Corte d’Assise di Palermo. Nel cosiddetto “processo Stato-mafia”, Mori è accusato di non aver arrestato volontariamente Provenzano perché era una delle condizioni del presunto patto con la mafia perché venissero interrotte le stragi dell’inizio degli anni Novanta. Nel processo di primo grado questa tesi era stata giudicata infondata dai giudici, perciò i procuratori Scarpinato e Patronaggio avevano deciso di cambiare l’accusa.

L’avvocato difensore di Mori, Basilio Milio, aveva commentato così questa modifica: «Se eliminiamo, come ha fatto la procura generale, la ragion di Stato, l’aggravante di mafia, l’aggravante teleologica, cosa rimane? Devo desumere che o non hanno favorito Provenzano ovvero, se vi è stato favoreggiamento, esso è stato dovuto ad una simpatia per Provenzano, peraltro come singola persona e non quale appartenente a Cosa Nostra?». La procura generale di Palermo aveva chiesto 4 anni e 6 mesi di reclusione per Mori e 3 anni e 6 mesi per Obinu. In primo grado Mori e Obinu erano stati assolti perché il fatto non costituiva reato; la Corte d’Appello, presieduta dal giudice Salvatore Di Vitale, ha confermato la sentenza. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni. Mori era già stato processato e assolto dall’accusa di favoreggiamento alla mafia quando era stato accusato, sempre dalla procura di Palermo, di aver volontariamente ritardato la perquisizione del nascondiglio del boss Totò Riina, dopo il suo arresto nel 1993.

Insieme alla sentenza di assoluzione, la Corte di Palermo ha inviato alla procura di Palermo i verbali del processo perché venga valutata la possibilità che alcuni dei testimoni sentiti abbiano dato false testimonianze. Tra questi c’è anche Sergio De Caprio, conosciuto come “capitano Ultimo”, colonnello dei carabinieri famoso per essere tra i principali responsabili dell’arresto di Totò Riina. A De Caprio e ad altri cinque carabinieri è contestata la ricostruzione delle ragioni di un altro presunto mancato arresto, quello che sarebbe potuto avvenire nel 1993 nei confronti del boss Nitto Santapaola, durante un’operazione di polizia a Terme Vigliatore, in provincia di Messina.