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  • Domenica 24 aprile 2016

Com’è cambiata in un anno Katmandu

Le foto della capitale nepalese oggi e quelle scattate nei giorni successivi al terremoto del 25 aprile 2015 che uccise oltre settemila persone

(PRAKASH MATHEMA/AFP/Getty Images)
(PRAKASH MATHEMA/AFP/Getty Images)

Domani, lunedì 25 aprile, sarà passato un anno dal terremoto di magnitudo 7.8 che colpì il Nepal il 25 aprile 2015, e che uccise oltre 7mila persone. Una delle zone più danneggiate dal terremoto fu l’area intorno a Katmandu, la capitale del paese: solo qui morirono almeno 700 persone e subirono danni rilevanti molti dei palazzi e templi storici più belli della città, considerati patrimoni dell’umanità dall’UNESCO. Nel corso dell’ultimo anno, intanto, sono andati avanti i lavori di ricostruzione, anche se molto lentamente. Il governo ha dato 25mila rupie (circa 200 euro) alle famiglie colpite dal terremoto per comprare alcuni beni di prima necessità, come coperte e vestiti pesanti, e 40mila rupie (circa 330 euro) alle famiglie di ciascun morto. A parte questi aiuti iniziali, i nepalesi hanno ricevuto poco altro, soprattutto a causa di alcune dispute interne all’amministrazione pubblica del Nepal su come gestire gli aiuti internazionali. Il Kathmandu Post, un giornale locale, ha scritto che l’Autorità per la ricostruzione nazionale è stata istituita solo nel dicembre del 2015 e inizierà a lavorare la prossima settimana. Le autorità hanno stimato di stanziare 811 miliardi di rupie (cioè quasi sette miliardi di euro) per implementare l’intero programma di ricostruzione nei prossimi cinque anni.

Oggi il primo ministro nepalese Khadga Prasad Sharma Oli – del Partito Comunista del Nepal – ha visitato il sito dove si trova la torre Dharahara, una torre di nove piani che andò distrutta nel terremoto. Lì si è tenuta una commemorazione pubblica per ricordare i morti del terremoto: c’è stato un minuto di silenzio e Sharma Oli ha posato dei fiori vicino al monumento. Il governo nepalese ha detto che circa 500mila famiglie sono ancora senza una casa, anche se alcune organizzazioni che stanno contribuendo alla ricostruzione sostengono che il numero sia molto più alto. AFP ha scritto che molte famiglie, stanche di aspettare che partissero i lavori di ricostruzione, hanno deciso di tornare nelle loro case danneggiate, nonostante il rischio di crolli.