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  • Martedì 5 gennaio 2016

Scrittori amanti, alleati e rivali

Jane Vonnegut correggeva le bozze al marito Kurt, Vendela Vida e Dave Eggers scrivono sceneggiature insieme, Zelda e F.S. Fitzgerald erano sempre in competizione

Francis Scott Fitzgerald, la moglie Zelda e la figlia Scottie nei primi anni Venti. 
(Keystone/Getty Images)
Francis Scott Fitzgerald, la moglie Zelda e la figlia Scottie nei primi anni Venti. (Keystone/Getty Images)

Arianna Giorgia Bonazzi racconta su Rivista Studio simbiosi e rivalità di coppie più o meno famose e con ambizioni letterarie condivise, dove uno corregge le bozze dell’altro, facendo costantemente «a gara per uscire l’uno dall’ombra dell’altro, finché magari uno dei due viene consacrato»: ci sono per esempio Kurt e Jane Vonnegut, «la cui tesi universitaria era una precognizione del finale di Mattatoio n. 5», Vendela Vida e Dave Eggers che scrivono sceneggiature insieme (lei però gli prepara anche la cena), e Zelda e Francis Scott Fitzgerald («era proprio meglio lui!»).

«Molti grandi scrittori hanno dichiarato di scrivere per un lettore ideale, che, aldilà delle definizioni narratologiche e calviniane, è, molto spesso, il loro amato. Tutto molto romantico, e scrivere con una persona in mente è indubbiamente un esercizio utile. Ma cosa succede quando quella persona, a sua volta, scrive? E non scrive liste della spesa sulla lavagna di cucina, ma ha ambizioni letterarie? E, individuando a sua volta nel partner il proprio lettore ideale, gli fa correggere le bozze a orari improbabili, si sente ferito a ogni singola correzione, e quando il compagno per sbaglio ha più successo di lui, è sempre convinto che sotto sotto fosse una sua idea. Le muse di una volta non erano così arroganti. Si lasciavano mettere nei libri con nomi fittizi, stilnovisti; al più si incazzavano come la Leslie di Harry a Pezzi (che Harry infila nel suo libro camuffandola pateticamente dietro al nome “Lucy”), ma non avrebbero mai voluto che lo scrittore gli cedesse un’idea che non aveva avuto il tempo di scrivere per portare i figli in piscina.

Un caso celebre di musa/editor/agente che si è fatte fregare alla grande è Jane Vonnegut. Nelle prime lettere di gioventù, quando era un reduce sbandato e senz’arte, Kurt piagnucolava: “Vorrei solo saper scrivere bene come te” (quante volte le mogli scriventi di scrittori celebri si saranno sentite dire questa frase), e poi: “Dobbiamo avere sette figli” (questa un po’ meno, mi auguro). Appena sono arrivati i figli (sette: tre naturali, e quattro adottivi della sorella di lui), però, se n’è scappato a raccogliere i successi di Mattatoio n. 5 senza far ritorno a casa, per giunta ringraziando la sorella morta per l’ispirazione fornita in tanti anni.

Oggi che il mestiere di scrivere è morto sotto i colpi di internet e dello storytelling, e molte penne orfane confluiscono nel fiume del giornalismo online, al più, i coniugi scriventi fanno i click-baiter l’uno dell’altro finché si amano, e quando c’è maretta, gareggiano in like e condivisioni, rivendicando idee generosamente cedute. Un po’ come se la povera Jane Vonnegut, la cui tesi universitaria era una precognizione del finale di Mattatoio n. 5, chiedesse più di un bacio, più di un grazie, più di una dedica: proprio una co-autorialità; che lo stesso legame che li univa ai loro figli li unisse anche alle opere di lui. Invece, la pretesa non le è mai passata per la testa, nonostante avesse in mano una vecchia lettera in cui lui si umiliava così: “Ti immagino mentre corri a prendere la matita per coprire le tremende lacune nell’istruzione di tuo marito”».

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