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  • Lunedì 4 gennaio 2016

Le opere che hanno perso il copyright nel 2016

In Canada e in Cina si potranno riprodurre liberamente i lavori di Thomas S. Eliot e Nat King Cole, mentre in Italia quelli di Paul Valéry

Lo scrittore Somerset Maugham in posa con un suo busto al Dorchester Hotel di Londra, nel dicembre del 1948. 
(Keystone/Hulton Archive/Getty Images)
Lo scrittore Somerset Maugham in posa con un suo busto al Dorchester Hotel di Londra, nel dicembre del 1948. (Keystone/Hulton Archive/Getty Images)

Il primo gennaio di ogni anno migliaia di libri, canzoni, film e altre opere creative diventano di dominio pubblico e possono essere quindi riprodotte liberalmente da chiunque. In Europa le leggi in materia di proprietà intellettuale stabiliscono che il copyright duri 70 anni dalla morte dell’autore: significa quindi che diventeranno di dominio pubblico i lavori di scrittori e artisti morti nel 1945. Tra loro ci sono per esempio il poeta francese Paul Valéry, il compositore ungherese Béla Bartok e Anna Frank, il cui Diario, dopo una complicata controversia ancora in corso, è stato pubblicato online il 2 gennaio da un professore universitario francese e da una parlamentare francese. Chiunque può quindi pubblicare liberamente online o su carta i loro lavori, in versione originale o, se si tratta di libri, tradotta.

In altri paesi, come la Cina, il Canada e la Nuova Zelanda, il copyright si estende per cinquant’anni dalla morte dell’autore: saranno quindi liberamente riproducibili le opere di autori morti nel 1965, come il poeta Thomas Stearns Eliot, il primo ministro britannico Winston Churchill, il musicista americano Nat King Cole, l’architetto svizzero Le Corbusier, lo scrittore inglese Somerset Maugham, il musicista e comico americano Spike Jones e l’attivista per i diritti civili Malcolm X.

Negli Stati Uniti la situazione è un po’ più complicata. Nel 1978 è entrata in vigore una legge che ha esteso il copyright fino a 70 anni dalla morte dell’autore, come in Europa. Il copyright è stato esteso retroattivamente in quell’anno e poi nel 1998, con la conseguenza che nessuna nuova opera pubblicata diventerà di pubblico dominio fino al 2019. Il sito Quartz segnala una lista compilata dal Centro studi per il Dominio pubblico (CSPD) della Duke University, in North Carolina, con le opere che sarebbero già libere da copyiright se la sua durata fosse di cinquant’anni dalla morte dell’autore. Tra queste ci sono Missione Goldfinger, il terzo episodio della saga di 007, di Ian Fleming, il romanzo Pasto nudo di William Burroughs, e film come Ben Hur, Viaggio al centro della TerraLa bella addormentata nel bosco.

Sempre Quartz ricorda che il Trans-Pacific Partnership (TPP) – un trattato di libero commercio che verrà firmato da 12 paesi affacciati sull’Oceano Pacifico, tra cui il Canada e gli Stati Uniti – impone l’estensione del copyright a 70 anni dalla morte dell’autore e a 70 anni dalla pubblicazione dell’opera se la proprietà è condivisa. Di conseguenza il Canada, il Giappone e la Nuova Zelanda dovranno aspettare altri ventuno anni – come l’Europa e gli Stati Uniti – e non soltanto uno prima di riprodurre liberamente le opere di autori morti nel 1966, come lo scrittore italiano Elio Vittorini, il britannico Evelyn Waugh, il pittore italiano Carlo Carrà e il poeta francese André Breton.

In molti hanno criticato questo punto del trattato, dicendo che comporterà anche una perdita economica. A ottobre il governo della Nuova Zelanda ha detto che l’estensione costerà ai cittadini 100 milioni di dollari americani all’anno, dato che i proprietari del copyright potranno vendere i prodotti senza alcun tipo di competizione per altri vent’anni. Il paese ha ottenuto di applicare la nuova norma gradualmente: per otto anni il copyright sarà esteso a 60 anni dalla morte dell’autore e solo successivamente arriverà a 70. Altri spiegano invece che il trattato renderà tutti allineati agli standard della maggioranza. Robert Hutton, direttore esecutivo dell’Associazione degli editori musicali canadesi, sostiene che l’estensione permetterà nuovi guadagni all’industria musicale, che potrà lanciare e produrre nuovi artisti canadesi. Secondo uno studio condotto dall’Università di Montréal per conto del governo canadese, la nuova legge non avrà invece un impatto significativo né nel favorire nuovi prodotti artistici né sulle spese dei consumatori.