La notte di Taranto, 75 anni fa

La storia del bombardamento con cui durante la Seconda guerra mondiale la marina britannica decimò la flotta italiana, mostrandone tutta la debolezza

La nave da battaglia Conte di Cavour danneggiata dopo la Notte di Taranto dell'11 novembre 1940 (Wikipedia)
La nave da battaglia Conte di Cavour danneggiata dopo la Notte di Taranto dell'11 novembre 1940 (Wikipedia)

Nella notte tra l’11 e il 12 novembre del 1940, durante la Seconda guerra mondiale, la flotta navale della Regia Marina italiana venne bombardata nel porto di Taranto dagli aerei inglesi. Morirono 58 marinai italiani, circa 600 rimasero feriti e sei navi da guerra furono danneggiate. Quella notte viene ricordata come “la notte di Taranto” o “la battaglia di Taranto”, e avvenne esattamente 75 anni fa.

Due premesse
La base navale di Taranto era ben attrezzata per la riparazione delle navi danneggiate, ma non altrettanto per proteggere quelle stesse navi da un eventuale bombardamento aereo o dal lancio dei siluri: le contraerei erano poche e poco potenti, la rilevazione per l’intercettazione degli aerei nemici in avvicinamento era affidata a vecchi strumenti risalenti alla Prima guerra mondiale, le reti anti-siluro erano circa un terzo di quelle che sarebbero servite ed erano state distese a molta distanza dalle navi: cosa che avrebbe permesso di salpare rapidamente (senza doverle rimuovere) ma che ne comprometteva l’efficacia.

Il contesto era la “campagna di Grecia” iniziata il 28 ottobre del 1940, quando le truppe dell’esercito italiano di Benito Mussolini, partendo dalle basi albanesi, entrarono in territorio greco. Il nuovo fronte aveva modificato la normale distribuzione delle navi italiane tra i diversi porti: per avere tutta la flotta pronta a intervenire in caso di un intervento militare più sostanzioso da parte dei britannici – che avevano cominciato a fornire aiuti alla Grecia già ai primi di novembre – tutta la flotta italiana era stata concentrata a Taranto.

L’attacco
L’idea degli inglesi – colpire la marina italiana e fermare gli obiettivi colonialistici di Mussolini – risale già al 1935, durante la guerra d’Etiopia: la Royal Navy aveva studiato un piano di attacco aereo notturno nella base navale di Taranto che non venne attuato in quegli anni ma che venne ripreso nel 1940. Per avere informazioni e immagini aggiornate giornalmente sulla situazione del porto di Taranto, l’aeronautica militare del Regno Unito trasferì a Malta una squadra di ricognitori. Furono inviate come rinforzo diverse navi da battaglia sia verso Malta sia verso il canale di Otranto, per intercettare le navi italiane che in quei giorni si muovevano tra Grecia e Albania. L’attacco venne deciso per il 21 ottobre (anniversario della vittoria di Nelson a Trafalgar) ma un incendio a bordo della portaerei inglese Illustrious causò un rinvio.

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I britannici decisero di attaccare in due diverse fasi, con 12 aerei ogni volta. I bombardieri avrebbero colpito le navi più piccole ancorate nel cosiddetto “mar Piccolo”; i siluranti avrebbero colpito le navi principali nel “mar Grande”. Il primo attacco durò circa venti minuti a partire dalle 23, il secondo quasi un’ora dalle 23.50. Nonostante il fuoco di sbarramento, gli aerei della Royal Navy danneggiarono la metà delle navi da battaglia italiana tra cui la Cavour in modo irreparabile. Il bilancio fu di 58 morti, 32 dei quali sulla nave Littorio, e di 581 feriti.

La notte del 12 novembre, subito dopo la conclusione dell’attacco aereo nella base di Taranto, le navi da guerra britanniche intercettarono un convoglio italiano diretto a Valona, formato da quattro piroscafi scortati da una torpediniera e da un incrociatore: i piroscafi furono affondati, la torpediniera fu gravemente danneggiata, l’incrociatore riuscì a raggiungere il porto di Brindisi. Il giorno successivo furono recuperati 140 superstiti: morirono 36 persone.

La conseguenza principale della cosiddetta “notte di Taranto” fu che la flotta italiana rimasta venne spostata a Napoli e Messina. L’operazione britannica dimostrò inoltre le carenze e la debolezza della marina italiana: gli inglesi avevano navigato indisturbati per una intera settimana nel Mediterraneo, avevano rifornito la Grecia e Malta con numerosi convogli e avevano portato a termine con successo un attacco che compromise seriamente la metà dell’intera flotta italiana.