• Moda
  • Venerdì 18 settembre 2015

La sfilata di cui si è parlato di più a New York, Givenchy

Perché era a New York, intanto; poi perché Riccardo Tisci va molto forte, perché era aperta al pubblico, e perché c'era Kim Kardashian, incinta

di Enrico Matzeu – @enricomatzeu

Gli ospiti aspettano l'inizio della sfilata di Givenchy (Joshua LOTT/AFP/Getty Images)
Gli ospiti aspettano l'inizio della sfilata di Givenchy (Joshua LOTT/AFP/Getty Images)

Lo scorso 11 settembre la casa di moda Givenchy ha sfilato durante la New York Fashion Week, che si è appena chiusa, con grande interesse da parte della stampa e degli addetti ai lavori perché Givenchy ha sfilato per la prima volta a New York (solitamente lo fa a Parigi), perché è stata coinvolta l’artista Marina Abramovich che è solita far parlare dei suoi progetti (per questo stima di averci messo circa sei mesi), e poi perché il defilé è stato aperto al pubblico, 1200 persone che sono riuscite a prenotarsi online (nei primi due secondi della vendita c’erano già duemila richieste). Di solito alle sfilate possono accedere solo gli addetti ai lavori e su invito, e gli altri possono al massimo seguirle in streaming.

Uno dei principali motivi del successo è lo stesso stilista, Riccardo Tisci. In un lungo profilo sul New York Times di giovedì è stato nominato “re” della settimana della moda di New York. Tisci ha 41 anni, è nato a Taranto e appena ha potuto si è trasferito a Londra, dove ha frequentato la Central Saint Martins, la più prestigiosa scuola di moda della città. È sempre vestito con una maglietta e dei pantaloni neri. Dice il New York Times:

Negli ultimi dieci anni, Tisci è pian piano diventato lo stilista più socialmente connesso della sua generazione, un uomo i cui tentacoli si allungano dai candidati agli Oscar ai partecipanti dei reality show, dagli artisti più importanti ai pr della vita notturna gay, da modelle a malapena maggiorenni a socialite chirurgicamente alterate.

La scelta di Givenchy di presentare la collezione per la primavera/estate 2016 a New York anziché a Parigi ha diverse ragioni. Prima di tutto l’azienda ha aperto da poco una boutique di 1300 metri quadrati su Madison Avenue, appunto a New York, e l’evento è stato anche l’occasione promuovere il nuovo negozio; poi, spiega in un articolo il sito Business of Fashion, le cose per il mercato americano stanno andando bene e molte aziende europee ci stanno investendo di nuovo e di più. In un’intervista al Financial Times Bernard Arnault, capo della holding LVMH che controlla Givenchy, ha spiegato che New York «è stata molto importante per Hubert de Givenchy (fondatore del marchio, oggi 88enne, ritirato nel 1995) negli anni Cinquanta, quando aprìun negozio nell’Upper East Side, e il suo stile è stato influente negli Stati Uniti. È stato vicino ad Audrey Hepburn e ha disegnato abiti per Jackie Kennedy». Arnault ha detto poi che New York influenza molto Riccardo Tisci, lo stilista italiano che dal 2005 è direttore creativo di Givenchy. Nella stessa intervista a due Tisci ha raccontato di essere «ossessionato sin dall’infanzia dall’America, dalla sua musica e dai suoi simboli». In un commento sull’Independent Alexander Fury ha espresso alcuni pensieri sul momentaneo trasferimento di Givenchy a New York, ipotizzando ad esempio che la maison volesse precedere i suoi concorrenti europei, presentando la collezione con anticipo sulle altre sfilate, o che volesse dimostrare in modo pratico come Givenchy sia un marchio globale, o forse semplicemente che volesse celebrare così i dieci anni di Tisci alla guida del brand. Nella lista dei motivi Fury aggiunge anche la gravidanza avanzata della testimonial informale Kim Kardashian, che è molto amica di Tisci e si veste spesso con i suoi abiti (Tisci ha disegnato anche quello del suo matrimonio con Kanye West): Kardashian non sarebbe potuta andare a Parigi e la sua presenza ha un importante ritorno di immagine.

Oltre a Kardashian, alla sfilata al Molo 26 nella parte più ovest del quartiere TriBeCa, c’erano anche Julia Roberts, Nicki Minaj, Kanye West e Ciara. Vanessa Friedman del New York Times l’ha descritta così: «su un set creato da Marina Abramovich, composto da legno riciclato e rivestimenti di alluminio, circondato, su delle piattaforme elevate, da artisti performativi che si muovevano lentamente con pose rituali (una coppia si abbracciava; una donna si battezzava sotto una cascata di acqua), con sottofondo di canti di diverse culture e religioni, Tisci ha offerto una meditazione estesa sul bianco e nero». La sfilata voleva parlare di religione e dell’eredità dell’11 settembre – giorno dell’evento -, ma, scrive il New York Times: «Messaggi come quelli vengono oscurati quando l’incombente arrivo di Kanye West e Kim Kardashian fa ritardare il programma di più di un’ora».

Con i suoi abiti Tisci «si ispira ai giovani, all’arte di strada e alle sottoculture. È forse lontano dalle origini di Givenchy ma non ne rinnega gli ideali» ha detto Rebecca Arnold del Courtauld Institute of Art nel documentario Discovering Fashion: Givenchy, prodotto per Sky Arte. Nello stesso documentario Alexander Fury sostiene che Riccardo Tisci sia il motivo del successo duraturo di Givenchy, perché il pubblico contemporaneo ama il suo senso estetico anche quando ignora la storia e la tradizione del marchio.

La casa di moda Givenchy è stata fondata nel 1952 a Parigi da Hubert de Givenchy, stilista francese di famiglia aristocratica. I suoi vestiti, ricorda Fury: «erano fatti di linee nette, tessuti sontuosi ma senza frivolezze. Abiti dall’eleganza semplice, essenziale. Le sue creazioni con quelle linee pulite e morbide lanciarono il prêt-à- porter negli anni Sessanta e diedero vita a un passaggio epocale nella storia della moda». Givenchy vendette l’azienda a LVMH nel 1988, ma continuò a disegnare le collezioni fino al 1995. L’hanno poi sostituito alla direzione artistica prima John Galliano, poi per un breve periodo Alexander McQueen, Julien MacDonald e Riccardo Tisci.

Un altro motivo per cui si era parlato molto della sfilata – già diverse settimane prima dell’evento – è l’apertura al pubblico. Negli anni Settanta Kenzo e Thierry Mugler organizzarono già delle sfilate-evento negli stadi aperte a tutti, ma negli ultimi anni solo Missoni, nel febbraio 2012, fece accedere un numero limitato di persone alla sfilata organizzata all’Università Statale di Milano, permettendo però di vedere solo l’uscita finale della collezione. Su questa scelta Tisci ha detto che «non è un modo per ostentare potere e soldi o per essere più bravi degli altri. È stato un modo per permettere a tutti di vedere quello che stiamo facendo; un bellissimo regalo alla gente».

Business of Fashion si è chiesto allora se questa idea possa essere considerata un modello da applicare anche in futuro e ha girato la domanda a diversi esperti del settore. Secondo Tim Blanks, caporedattore del sito, ci sono dei limiti economici a questo tipo di sfilate, perché non tutte le aziende della moda hanno le risorse per farlo: forse solo Chanel e Dior. Susannna Lau, fondatrice di Style Bubble (dove fa reportage fotografici durante le sfilate) pensa che le case di moda arriveranno a vendere i biglietti delle sfilate, proprio come per uno spettacolo. Per Vanessa Friedman, invece, quello di Givenchy rimarrà un evento particolare, ma si aspetta che diventi una tendenza ricorrente quella di fare sfilate-show, una forma di comunicazione efficace che avvicina il pubblico e i consumatori.