Come funzionano gli scioperi in Italia
Cosa prevedono le norme – relativamente recenti – su un diritto riconosciuto dalla Costituzione ma che non vale proprio sempre e per tutti
Da qualche giorno – a causa dei guai dei trasporti pubblici a Roma e dello sciopero dei lavoratori del sito archeologico di Pompei di venerdì – in Italia si è tornati a discutere del diritto di sciopero e delle sue limitazioni. Parlando di quello che è successo a Pompei (un’assemblea sindacale, per la precisione, e non uno sciopero), il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto: «Nessuno mette in discussione il diritto all’assemblea sindacale o allo sciopero. Sono diritti sacrosanti. Ma c’è anche bisogno di buon senso e di ragionevolezza, di responsabilità e di rispetto». Roberto Alesse, presidente della Commissione dei garanzia degli scioperi, si è lamentato della situazione dicendo: «I lavoratori dei beni culturali vanno assoggettati alle norme che regolamentano il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, come quelli dei trasporti, della sanità, dell’ambiente. Per astenersi dal lavoro devono ottenere il via libera dall’Autorità».
Oggi i giornali annunciano – con molti condizionali – l’intenzione del governo di approvare a breve nuove norme che regolino gli scioperi. In Italia lo sciopero è un diritto riconosciuto dalla Costituzione ma, come ha ricordato Alesse, soggetto in certi ambiti a delle limitazioni.
Cos’è uno sciopero
Uno sciopero, secondo la definizione dell’enciclopedia Treccani, è «l’astensione organizzata dal lavoro di un gruppo più o meno esteso di lavoratori dipendenti, appartenenti al settore pubblico o privato, per la tutela di comuni interessi e diritti di carattere politico o sindacale». In Italia lo sciopero è un diritto riconosciuto dalla Costituzione all’articolo 40, che dice: «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». Gli scioperi sono solitamente proclamati dai sindacati, ma possono essere anche decisi da organizzazioni di lavoratori non formalizzate come sindacati.
Quali leggi regolano gli scioperi
Le leggi a cui fa riferimento l’articolo 40 della Costituzione sono due: la legge 146 del 1990 e la legge 83 del 2000, che integra e modifica la precedente. Prima del 1990 non c’erano leggi specifiche che regolamentassero gli scioperi in Italia, che è una prima stranezza: era stata la Costituzione nel 1948 a fare riferimento a «leggi» che «regolano» lo sciopero.
La legge del 1990
La legge 146 del 1990 disciplina il diritto di sciopero per i servizi pubblici essenziali, cioè quelli volti a garantire il diritto alla vita, alla salute, alla libertà, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di comunicazione. I servizi per cui la legge disciplina il diritto di sciopero, quindi, sono molti e diversi tra loro: i più noti – per la loro vicinanza alla vita quotidiana della maggior parte delle persone – sono la sanità, i trasporti pubblici urbani ed extraurbani, l’amministrazione pubblica, le poste, la radio e la televisione pubblica e la scuola; ma devono essere garantiti anche i servizi di raccolta dei rifiuti, l’approvvigionamento di energie, risorse naturali e beni di prima necessità.
In tutti questi ambiti il diritto allo sciopero, quindi, non è assoluto ma relativo alla possibilità di garantire alcuni diritti dei cittadini.
In primo luogo ogni sciopero deve annunciato con almeno 10 giorni di anticipo e ne devono essere specificate modalità, orari e motivazioni. Le società o gli enti che erogano il servizio che lo sciopero potrebbe far venir meno, inoltre, sono obbligate con almeno 5 giorni di anticipo rispetto allo sciopero a dare comunicazione all’utenza sulle modalità e sugli orari e i modi dei servizi essenziali garantiti (nel caso dei trasporti pubblici, per esempio, ci sono “fasce protette” in cui i servizi funzionano anche in giorni di sciopero). Esistono poi degli intervalli minimi tra uno sciopero e quello successivo – prima di un certo numero di giorni da uno sciopero non è possibile indire un altro sciopero della stessa categoria di lavoratori – e delle procedure obbligatorie volte a cercare di evitare lo sciopero, per esempio la contrattazione tra le parti prima dello sciopero. In questi ultimi due casi, così come per la definizione esatta di quali debbano essere i servizi minimi da garantire anche in caso di sciopero, la legge tuttavia rimanda alla contrattazione collettiva: le regole sono quindi diverse a seconda degli ambiti di lavoro.
La Commissione di garanzia
Per garantire il bilanciamento tra il diritto di sciopero e i diritti dei cittadini esiste un’apposita “commissione di garanzia”. La commissione è un’autorità indipendente composta da nove membri nominati dal presidente della Repubblica e scelti dai presidenti di Camera e Senato. Oltre a garantire che gli scioperi e le loro modalità siano conformi ai principi regolati dalla legge, la commissione può anche chiedere che vengano cambiate le modalità di alcuni scioperi nel caso ritenga che non verrebbero garantiti i servizi essenziali.
La precettazione
Nel caso in cui la commissione di garanzia ritenga che i termini di uno sciopero violino la legge, può chiedere – dopo un tentativo di conciliazione tra le parti – che i lavoratori vengano precettati: cioè in sintesi che vengano obbligati a lavorare. La precettazione dei lavoratori spetta al presidente del Consiglio dei ministri o a un ministro nel caso di uno sciopero di rilevanza nazionale, o al prefetto nel caso di uno sciopero di rilevanza locale. In alcuni casi l’autorità che emette l’ordinanza di precettazione può chiedere che vengano cambiate le modalità di uno sciopero (per esempio cambiando le fasce protette nel caso di uno sciopero dei trasporti), e in altri può imporre la posticipazione dello sciopero, come è successo più volte a Milano per gli scioperi del trasporto pubblico indetti durante i giorni di svolgimento di EXPO.
Anche l’autorità che emette l’ordinanza, comunque, deve rispettare alcuni criteri stabiliti dalla legge: la precettazione deve essere emessa almeno 48 ore prima dell’inizio dello sciopero (nel caso non siano ancora in corso trattative fra ministero e sindacato) e l’utenza dei servizi coinvolti deve esserne adeguatamente informata.
Chi riguardano le regole sugli scioperi
Queste regole non riguardano solo i dipendenti pubblici, ma tutti i lavoratori la cui opera abbia a che fare con la tutela dei diritti del cittadino indicati dalla legge 146 del 1990. Come specificato all’articolo 1 della legge 146 del 1990, le norme valgono “indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione”. Anche i lavoratori autonomi o quelli che in qualche modo collaborano con gli enti e le società che erogano i servizi tutelati dalla legge sono quindi soggetti alle stesse limitazioni in caso di sciopero.
Chi non può scioperare
In Italia non hanno diritto di sciopero i membri della polizia e delle forze armate. L’articolo 84 della legge 121 del 1981 stabilisce che: «Gli appartenenti alla Polizia di Stato non esercitano il diritto di sciopero ne’ azioni sostitutive di esso che, effettuate durante il servizio, possano pregiudicarle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o le attività di polizia giudiziaria». L’articolo 8 della legge 203 del 1978, invece, stabilisce che «I militari non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali».