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  • Sabato 13 giugno 2015

L’attivista bianca che per anni si è finta nera

La storia più discussa ieri sui giornali statunitensi è piuttosto incredibile e riguarda la capo di un'associazione per i diritti civili

di Justin Wm. Moyer – Washington Post ©

Aggiornamento del 15 giugno: Rachel Dolezal si è dimessa da presidente della NAACP di Spokane dopo le accuse di aver mentito sulle sue origini, dicendo di essere afroamericana. Dolezal ha annunciado le sue dimissioni dicendo in un post su Facebook di averle rassegnate «per lealtà verso i principi di giustizia sociale e raziale della NAACP» e di aver passato le sue funzioni alla vicepresidente della NAACP di Spokane.

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Rachel Dolezal, 37enne statunitense, è la presidente della divisione di Spokane – città nello stato di Washington – della NAACP, una famosa associazione per i diritti civili dei neri. Dolezal è da molto tempo attivista contro la discriminazione razziale e nella sua biografia sul sito della Eastern Washington University, dove lavora come docente a contratto, c’è anche scritto che è stata oggetto in passato di «almeno otto» episodi di discriminazione. La scorsa settimana qualcuno ha però cominciato a dubitare della veridicità di alcune sue affermazioni, e anche della sua identità, diciamo così. Un uomo e una donna – Lawrence e Ruthanne Dolezal, bianchi, non neri – si sono fatti avanti sostenendo che Rachel Dolezal fosse figlia loro. La cosa ha provocato delle reazioni piuttosto forti, visto che tutti pensavano che Dolezal fosse nera.

Dolezal era stata intervistata qualche giorno fa e le era stato chiesto se l’uomo con lei in questa foto fosse realmente suo padre. «Mi chiedevo se suo padre fosse realmente un uomo afroamericano», aveva domandato un giornalista di KXLY4 .Schermata 2015-06-12 alle 4.16.52 PM

«Questo è veramente molto… Voglio dire, cosa sta insinuando?» era stata la risposta di Dolezal. «Lei è afroamericana?» aveva chiesto il giornalista. «Non capisco questa domanda», era stata l’ultima frase di Dolezal prima di allontanarsi, mentre il giornalista continuava: «I suoi genitori sono bianchi?». Intervistata venerdì 11 giugno da Sky News, dopo che la notizia si era già diffusa moltissimo, Dolezal ha detto che preferisce non essere definita “afroamericana”, bensì «nera».

In un’intervista telefonica per il Washington Post, Lawrence e Ruthanne Dolezal hanno detto che Rachel Dolezal è loro figlia. «Sembra che circolino un po’ di dubbi sull’identità e l’etnia di Rachel», ha detto Lawrence Dolezal. «Noi siamo sicuramente i suoi genitori. Siamo decisamente caucasici con una discendenza europea: Repubblica Ceca, Germania e qualcos’altro». I coniugi Dolezal hanno inviato al Washington Post diverse foto di famiglia con Rachel e quello che sostengono sia il suo certificato di nascita.

Schermata 2015-06-13 alle 12.22.33 Lawrence Dolezal ha detto che questa è la foto del matrimonio di Rachel, la donna al centro. L’uomo che l’abbraccia è Kevin Moore. Accanto a loro i due coniugi Dolezal, Ruthanne a sinistra e Lawrence a destra. Nella fila davanti i figli adottivi dei Dolezal. I due tutti a destra sono i genitori di Lawrence (Washington Post)

Rachel Dolezal non ha risposto alle richieste di commento arrivate da diversi giornalisti negli ultimi giorni. Un giornalista della Spokane Spokesman Review è riuscito però a incontrarla alla Eastern Washington University, dove insegna part-time per il dipartimento di studi africani. Rachel gli ha detto: «La questione non è così semplice come sembra, è molto complessa e non sono sicura che tutti riuscirebbero a capire». James Wilburn, presidente della Spokane NAACP prima di Rachel, ha detto che alcuni membri dell’organizzazione erano a conoscenza della cosa ma hanno deciso di tenersela per loro dopo averne discusso prima dell’elezione di Rachel. La polizia di Spokane nel frattempo sta cercando di capire se la falsa etnia di Rachel Dolezal vìoli qualche legge.

altraRachel Dolezal con Joseph M. King della King’s Consulting e Scott Finnie del dipartimento di studi africani della Eastern Washington University. (Washington Post)

© Washington Post 2015