La storia di Oscar, a cui il vaccino trivalente ha fatto male

Un bambino di un anno ha fatto i conti con un rarissimo effetto collaterale: ma se l'è cavata bene, e i suoi lo vaccinerebbero ancora

di Liz Savage - Slate

Come tutti i genitori, anche io mi preoccupo. Dal giorno in cui è nato il mio bambino mi preoccupo se dorma abbastanza, se abbia mangiato a sufficienza oppure troppo. Mi sono preoccupata delle classiche cose da genitori (“ma non dovrebbe già camminare?”), di quelle ridicole (“devo cercare informazioni su ogni asilo nido della città prima di iscriverlo?”) e anche della sua privacy: per questo in questo articolo farò finta che si chiami Oscar. Ma mi sono soprattutto preoccupata le volte cui sapevo che non avrei potuto proteggerlo da qualcosa; oppure, peggio ancora, quando sapevo che una mia decisione avrebbe potuto causargli qualche problema.

Quel giorno arrivò la settimana dopo il suo primo compleanno, quando buona parte dei bambini statunitensi – ma sfortunatamente non tutti – viene vaccinata per diverse malattie, con la somministrazione tra gli altri del vaccino trivalente contro morbillo, parotite e rosolia. Vorrei chiarire subito che non sono contro i vaccini. Quando ho chiesto al medico qualche informazione sui possibili effetti collaterali del vaccino, l’ho fatto tenendo così poco in considerazione le mie abitudini di giornalista scientifica da poter quasi cambiare idea a ogni sua risposta. Mi ha elencato i più comuni: sintomi lievi, come febbre o prurito. E quando le ho chiesto di dirmi quelli meno frequenti, ha elencato attacchi causati da febbre alta o reazioni allergiche. Confortata dalla sua onestà e dal fatto che Oscar se la sarebbe cavata, abbiamo proceduto con la vaccinazione.

Una settimana dopo, a Oscar sono iniziate a succedere alcune cose strane. È iniziato tutto con del sangue dal naso durante un pranzo. Non gli era mai successo prima ma non era nulla di così grave, quindi sul momento non ci ho fatto molto caso. Nei giorni seguenti ho notato del sangue intorno alle sue gengive e alcuni strani bolli sulle sue gambe e sul sedere. La loro forma mi ha incuriosita: erano ematomi circolari, come se fosse stato colpito ripetutamente con tre dita. Non riuscivo a immaginare una botta che potesse averli causati. Ho notato anche dei lividi più piccoli che sembravano macchioline di vino sulle sue spalle, sulla schiena e sulle gambe. Questi puntini, che mi hanno poi spiegato si chiamano “petecchie”, sono causate da un’emorragia al di sotto della pelle e avrebbero dovuto costituire un primo campanello d’allarme sul fatto che qualcosa non andava. Invece il primo medico che lo ha visitato, al pronto soccorso, ha detto che Oscar aveva un semplice sfogo cutaneo e mi ha consigliato di farlo visitare da un pediatra nel caso in cui avesse sviluppato altri sintomi.

Visto che continuavano a comparire altri lividi e puntini, ho iniziato a dubitare della diagnosi, quindi ho fissato un appuntamento dalla pediatra di Oscar. Ha escluso che si potesse trattare di leucemia, un’eventualità che fortunatamente a me non era nemmeno venuta in mente. Ma un test del sangue ha rivelato che il conto delle sue piastrine era basso: 20mila per microlitro rispetto alle 150-450mila della norma. È così saltato fuori che la pediatra non mi aveva parlato di un effetto collaterale del vaccino trivalente che si chiama porpora trombocitopenica autoimmune (ITP); non me ne aveva parlato perché è una cosa estremamente rara.

In una persona con ITP il corpo attacca le sue stesse piastrine, che normalmente favoriscono la coagulazione del sangue. Questa specie di insurrezione del sistema immunitario fa sì che il corpo non abbia piastrine a sufficienza per smettere di sanguinare quando ci si ferisce. La malattia può essere curata (nei casi più lievi si risolve da sola), ma può essere potenzialmente mortale, sopratutto perché nel caso di un trauma alla testa si può verificare un’emorragia nel cervello: una cosa spaventosa nel caso di un bambino di un anno che deve fare i conti con la sua camminata incerta. Anche se questa patologia è più comune nei bambini che hanno avuto infezioni virali come la varicella, la porpora trombocitopenica autoimmune può presentarsi in 1 caso su 40mila tra chi è stato sottoposto a vaccinazione trivalente.

Quando la pediatra è tornata nella stanza, ha detto una cosa che nessun genitore spera di sentirsi dire: Oscar doveva essere ricoverato immediatamente. Avevo iniziato a piangere ancora prima che avesse finito di dirlo. Il trattamento, un’infusione di 12 ore di anticorpi, richiedeva di restare in ospedale una notte, e tra le altre cose quattro adulti – me compresa – per tenere fermo il bambino mentre gli veniva inserito un ago nel piede. È stato sicuramente il giorno peggiore della mia vita: la mia mente normalmente razionale ha dovuto fare i conti con una paura che continuava ad aumentare mentre me ne stavo lì in una stanza buia d’ospedale con le macchine che continuavano a immettere anticorpi nelle vene di mio figlio. E se la sua testa avesse sbattuto sulla sponda del lettino mentre ero distratta? Non è che aveva già un’emorragia interna causata da una botta presa nel pomeriggio? E se la cura non avesse funzionato? Dovremo imbottire tutta la casa e non lasciarlo mai più uscire? Avrà un’infanzia come tutti gli altri?

La mia unica consolazione durante la lunga notte in ospedale era che di fatto Oscar non si sentiva male. Una volta inserito l’ago, si è comportato come sempre. Non dimenticherò mai il rumore della sua risata mentre giocavamo a fargli “cucù”. Mentre risuonavano le sue risate in un reparto pieno di bambini in vera sofferenza, ho sentito un’infermiera che diceva: “se solo potessi conservare in qualche modo quella risata”. Il giorno dopo i medici sono arrivati con i risultati del test del sangue: la cura aveva funzionato e le piastrine erano tornate a livelli normali: più di 250mila. Era salvo.

Due mesi dopo lo stato da cui provengo, la California, è diventato l’epicentro di un’epidemia di morbillo: la seconda più grande dal 2000, quando la malattia era stata dichiarata eradicata dagli Stati Uniti. L’epidemia californiana, causata probabilmente da un visitatore di Disneyland proveniente dall’estero, ha portato a 147 casi di morbillo in tutti gli Stati Uniti, il 90 per cento dei quali in California. I Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie consigliano che tutti i bambini ricevano due dosi del vaccino trivalente. Una sola dose immunizza il 93 per cento dei bambini, la seconda dose – di solito somministrata tra i 4 e i 6 anni prima che i bambini inizino la scuola – un restante 4 per cento. Tuttavia la seconda vaccinazione può essere somministrata prima, anche un mese dopo la prima. Con un’epidemia in corso, abbiamo dovuto affrontare un problema serio: era il caso di vaccinare per la seconda volta Oscar?

Il ricordo del ricovero in ospedale era ancora fresco, e quella paura viscerale non se ne sta in disparte anche quando fai un’analisi razionale del rischio. Ma se avessi dato retta a quella voce della paura, avrei dato più peso alla paura dell’ITP rispetto a passare una vita a preoccuparmi che potesse contrarre il morbillo ovunque fossimo andati in vacanza, al parco e al supermercato. I vaccini portano con loro qualche rischio vero e raro: l’ho scoperto meglio di molti altri. Ma è facile focalizzarsi su quei rischi improbabili ora che i genitori non hanno più un’esperienza diretta con i rischi molto più devastanti delle malattie da cui questi vaccini tengono alla larga. Il vaccino contro il morbillo ha ridotto i casi di morbillo del 99 per cento: prima del vaccino, tra i 3 e i 4 milioni di persone negli Stati Uniti contraevano la malattia ogni anno. Un quarto di queste veniva ricoverato, circa 4mila soffrivano di encefalite o edema cerebrale; tra le 400 e le 500 morivano ogni anno. Il morbillo è così contagioso che una persona infetta contagia il 90 per cento delle persone non vaccinate con cui entra in contatto.

Nonostante tutto quello che era successo, sapevo che avrei vaccinato di nuovo Oscar. Se potessi rifare tutto daccapo, avrei probabilmente discusso di più con il medico di pronto soccorso che ha bollato le sue petecchie come un semplice sfogo cutaneo, e forse avrei obbligato Oscar a usare un caschetto per scorrazzare in giro. Ma non ci avrei pensato due volte a rifarlo vaccinare: circa 730mila persone negli Stati Uniti sono state salvate negli ultimi 20 anni grazie ai programmi di vaccinazione per i bambini. Nonostante una diagnosi scorretta di un medico, nonostante la sfortuna di mio figlio, credo ancora che le conoscenze delle comunità medica e scientifica – basate su decenni di ricerche sui vaccini – siano la nostra risorsa migliore per debellare malattie e salvare vite.

Mentre mi ero fatta prendere dalle preoccupazioni, i medici e il personale sanitario che ha curato Oscar si è comportati come se fosse un giorno come un altro, perché naturalmente per loro la malattia spaventosa e potenzialmente mortale di mio figlio era una cosa da tutti i giorni. Ho provato una rinnovata ammirazione per un sistema sanitario con professionisti che hanno dedicato la loro vita a imparare e a migliorare la cura e la prevenzione delle malattie. La loro sicurezza in ciò che fanno per curare le persone mi ha dato una riconferma sul fatto che sono loro gli esperti.

Molte persone sono scioccate e frustrate dal fatto che ci sia un dibattito sui vaccini, ma in un certo senso lo capisco: i genitori temono di fare scelte sbagliate per quanto riguarda i loro figli. Il punto è che bisogna capire di chi fidarsi. Il movimento contro i vaccini diffonde convinzioni sbagliate sul fatto che la competenza in un dato settore sia sopravvalutata, che una sensazione, un’esperienza personale o il post di un amico su Facebook siano più affidabili di centinaia di migliaia di specialisti che analizzano montagne di dati: che una mezz’ora passata su Google dia più competenza di anni di studio in medicina.

Io credo che questi esperti non siano ciechi, e lo so che i medici e i ricercatori fanno degli errori e che alcuni di loro hanno in qualche caso abusato della nostra fiducia. Non sono perfetti, e non lo sono nemmeno i vaccini. Ma insieme stanno salvando un numero enorme di vite ogni giorno, nel modo più sicuro possibile.

Alla fine, Oscar non ha avuto bisogno di un’ulteriore dose del vaccino: la pediatra ha consigliato di controllare prima se fosse stato immunizzato con la prima somministrazione. Mi sono quasi messa a piangere quando ha richiamato per dire che era diventato immune. La settimana scorsa eravamo di nuovo nello studio medico per la visita di controllo di Oscar dei 18 mesi. Quando è entrato il personale medico ho abbracciato Oscar e gli ho detto che sarebbe finito tutto in fretta. Poi ho ricominciato a preoccuparmi per cosa gli avrei dato da mangiare a pranzo.

©2015 Slate

foto: una vaccinazione contro il morbillo presso il Miami Children’s Hospital di Miami, Florida (Stati Uniti) nel 2014 – (Joe Raedle / Getty Images)