Congo rosso

Il museo Louisiana di Copenaghen ospita una mostra dei lavori di Richard Mosse, che ha raccontato la violenza nel paese africano con una tecnica innovativa

Un fotogramma di The Enclave, Congo, 2012-2013
(Richard Mosse)
Un fotogramma di The Enclave, Congo, 2012-2013 (Richard Mosse)

Fino al 25 maggio il museo Louisiana di Copenaghen ospiterà la mostra The Enclave, dedicata al lavoro dell’artista irlandese Richard Mosse. Mosse tra il 2010 e il 2013 è andato più volte nella Repubblica Democratica del Congo per scattare delle fotografie con la Kodak Aerochrome, una pellicola sensibile agli infrarossi originariamente utilizzata dai soldati della Seconda guerra mondiale per le foto aeree: questo tipo di pellicola permetteva di ricavare informazioni sulla vegetazione e sulla composizione del suolo, e di individuare i soldati nascosti con le mimetiche nelle zone di guerra. La pellicola rende le diverse sfumature del verde in viola e rosa acceso, e il marrone in azzurro: i paesaggi assumono colori surreali, con la vegetazione magenta, porpora e rosa, mentre le tute dei soldati – che riflettono meno gli infrarossi – appaiono di un colore vicino all’originale.

Le fotografie di Mosse, raccolte nel reportage Infra (2010-2011), e il suo documentario video The Enclave (2012-2013), girato con una pellicola 16 mm a infrarossi, raccontano in modo intenso la guerra civile, i conflitti etnici, i massacri e le difficili vicende politiche della Repubblica Democratica del Congo, che dal 1998 hanno provocato la morte di oltre 5,4 milioni di persone. Mosse ha spiegato di aver cercato un nuovo modo di rappresentare la violenza e interessare il lettore a una guerra ignorata e facilmente dimenticata. Il suo lavoro reinterpreta la fotografia di guerra ed è il risultato della combinazione tra arte ed documentario. Come ha spiegato lo stesso Mosse, il suo intento è di sfruttare «le potenzialità dell’arte nel rappresentare storie così dolorose e difficili da esprimere con il solo linguaggio, e la capacità della fotografia di documentare le tragedie e di raccontarle al mondo».

The Enclave