Sul Corriere della Sera di sabato 14 febbraio Elena Tebano racconta la storia di Agnese Vittoria, una studentessa transgender di 24 anni che è riuscita a ottenere dall’Università di Catania il permesso per un doppio libretto universitario: uno con il suo nome registrato all’anagrafe, Giuseppe, visibile solo alla segreteria dell’Università, e uno con quello d’adozione, Agnese, pubblico. Vittoria ha spiegato di avere fatto questa richiesta dopo essersi sentita a disagio quando i professori facevano l’appello agli esami chiamandola con il suo nome anagrafico. In Italia ci sono altre università – come quella di Torino (dal 2003), Milano, Padova, Verona, Bologna, Bari, Napoli e Urbino – che permettono agli studenti transgender di avere un doppio libretto, oppure che adottano metodi simili.
Quando Agnese Vittoria ha superato l’esame di francese all’università di Catania a farla felice non sono stati i tre crediti ottenuti, ma l’attestato che le hanno consegnato: sopra c’era stampato il suo nome al femminile e il titolo «studentessa». Non sembrerebbe niente di straordinario. Ma solo a luglio scorso, all’appello per l’esame di etica della comunicazione, il professore aveva chiamato Giuseppe Vittoria. E lei si era dovuta alzare sui tacchi a spillo per spiegare che, sì, Giuseppe Vittoria era proprio lei. È il nome con cui è registrata all’anagrafe: Agnese, 24 anni, è «transgender». Nata in un corpo maschile, ha deciso di diventare la donna che «fin dall’infanzia» si è sempre «sentita di essere». E così, a maggio, sostenuta dai Radicali catanesi, ha chiesto al suo ateneo di poter usare un alias nel percorso di studi. A ottobre il via libera: una sorta di doppio libretto informatico. Da una parte c’è quello «legale», con il suo nome anagrafico, visibile solo alla segreteria; dall’altra quello «pubblico», da mostrare a professori e compagni, che riporta invece il nome d’adozione corrispondente all’aspetto fisico. «Per me è fondamentale — dice Agnese—. Prima, ogni volta che avevo un test dovevo affrontare sguardi inquisitori, risatine, umiliazioni. Ora è tutto più facile».
Negli Stati Uniti sono circa un centinaio le università che permettono agli iscritti di scegliere un nome più adatto al loro nuovo genere. Ed è di pochi giorni fa la notizia che l’università del Vermont ha anche riconosciuto a una sua matricola l’uso del pronome «they», cioè «loro», al posto di «lei» o «lui»: Rocko Gieselman, 21 anni, si definisce «genderqueer» («trasversale ai generi») e rivendica di appartenere a un terzo genere «neutrale».
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