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  • Lunedì 19 gennaio 2015

Chi ha inventato “Je Suis Charlie”?

Un giornalista ha disegnato l'immagine ormai famosissima poco dopo la sparatoria, ispirato da "Dov'è Wally?": ora sta cercando di difendere lo slogan da chi vuole farci soldi

(REUTERS/Tyrone Siu)
(REUTERS/Tyrone Siu)

Nelle ultime settimane in tutto il mondo la frase “Je Suis Charlie” è stata usata come messaggio di solidarietà e di difesa della libertà d’espressione, dopo gli attentati alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo. L’hashtag #JeSuisCharlie è diventato uno dei più popolari di sempre su Twitter (è stato usato più di cinque milioni di volte), le immagini che riproducono lo slogan sono state viste in decine e decine raduni e manifestazioni in tutto il mondo, sono arrivate sulle prime pagine della stampa internazionale e negli avatar di milioni di persone sui social network. Joachim Roncin, giornalista di musica francese per la rivista Stylist, è stato il primo a pubblicare un’immagine con la scritta “Je Suis Charlie” su Twitter, poco meno di un’ora dopo l’attentato, la mattina del 7 gennaio 2015.

Roncin ha detto di aver creato l’immagine poco dopo l’attacco – avvenuto a pochissima distanza dalla sua casa, a Parigi – unendo il nome del giornale e il carattere del suo logo alla struttura del logo di una famosa serie di libri per bambini – “Dov’è Wally?”, che in francese è “Où est Charlie?” – che Roncin legge spesso a suo figlio. L’immagine non era stata creata per diventare un simbolo pubblico, né un modo per esprimere solidarietà contro la strage o per mostrarsi a favore della libertà di stampa, ma era nata soltanto per esprimere un sentimento personale di paura di Roncin, che si era sentito personalmente attaccato dai fatti alla redazione di Charlie Hebdo.

Rispondendo alla giornalista Valerie Nataf su Twitter, Roncin ha scritto: «Ho creato questo logo perché ero a corto di parole. Mi è venuta istintivamente, perché spesso leggo a mio figlio il libro “Dov’è Wally”, e ho collegato le due cose». In pochissimo tempo però lo slogan “Je Suis Charlie” e la sua immagine sono arrivati dappertutto, utilizzati e riprodotti da milioni di persone in tutto il mondo anche nelle versioni “I am Charlie” in inglese, “Io sono Charlie” in italiano, “Yo soy Charlie” in spagnolo, e “Ich bin Charlie” in tedesco. Lo slogan funziona anche perché evidenzia sentimenti come vicinanza ed empatia, facendo immedesimare tutti nelle vittime di un atto violento: un po’ come lo sono stati in passato “Io sono un berlinese” o “Ammazzateci tutti” o “Siamo tutti americani“.

L’immagine creata da Roncin non è diventata solo il simbolo della resistenza ai terroristi e della solidarietà per le vittime, per via della sua enorme popolarità. Poche ore dopo la sparatoria a Charlie Hebdo, in molte persone hanno tentato di registrare i domini jesuischarlie.frjesuischarlie.com, e jesuischarlie.org. L’Istituto Nazionale della Proprietà Intellettuale francese (INPI) ha comunicato di aver rifiutato più di 120 richieste di registrazione del logo: secondo l’Agence France-Presse (AFP) almeno due di queste richieste erano legate alla vendita di armi. Al di fuori della Francia, un fashion designer australiano ha provato a brevettare il logo; un uomo d’affari in Belgio avrebbe voluto utilizzarlo praticamente su qualsiasi cosa, dai prodotti per le lavatrici, ai vestiti, ai giocattoli fino alle decorazioni per l’albero di Natale.

Questi tentativi di guadagnare dal logo e dal successo che ha avuto nel mondo hanno dato molto fastidio a Roncin, che ha deciso di proteggere lo slogan attraverso le leggi di copyright per evitare rischi come questi. Roncin ha presentato richiesta di registrazione del marchio il 15 gennaio, per cercare di mantenere intatto il messaggio iniziale dell’immagine. «Sinceramente mi ha fatto molto male sapere che delle persone hanno cercato di farci dei soldi. Soprattutto perché svaluta profondamente il significato dello slogan», ha detto Roncin all’AFP.

Molti esperti di marketing hanno criticato il tentativo di commercializzare lo slogan “Je Suis Charlie” ma non ne sono stati sorpresi: è un fenomeno che si è verificato molto spesso negli ultimi anni. Sharon Dabuol, avvocato specializzato in marchi e brevetti, ha spiegato che le persone e le aziende coinvolte a vario titolo in grandi tragedie, come l’attentato a Charlie Hebdo o per esempio un grosso incidente aereo, e non solo gli “speculatori”, valutano ormai la possibilità «di registrare subito e loro stessi i marchi come la sigla di un volo – MH17 o MH370, per capirci – per evitare che qualcuno possa farlo col fine di guadagnarci».