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  • Mercoledì 15 ottobre 2014

Il nuovo libro di Sandro Veronesi

Si chiama "Terre rare", esce oggi e probabilmente immaginerete il protagonista con la faccia di Nanni Moretti

Esce oggi per Bompiani “Terre rare“, il nuovo libro dello scrittore Sandro Veronesi. Il protagonista del libro è Pietro Paladini, che era già il personaggio principale di “Caos Calmo”, il romanzo di Veronesi del 2005 (da cui fu tratto un film con Nanni Moretti in quella parte), e la storia si svolge in continuità con quella di “Caos Calmo“, otto anni dopo.

Accendo una sigaretta, tiro giù il finestrino, e la fumo a lunghe boccate.
Sono euforico, euforico. Mi appoggio sulla testa la corona da principessa, mi guardo nello specchietto retrovisore, rido.
Quando la sigaretta è finita la butto via col dito, metto in moto e parto, bloccando subito la canzone di Gianna Nannini che da oggi pomeriggio cerca di farsi ascoltare. Tra l’altro D. è una fan della Nannini, mi ha anche portato a vedere un suo concerto, ma il fatto è che sono euforico, come dicevo, e non ho nessuna voglia di ascoltare musica, nessun bisogno di immettere in me energia altrui: al contrario, sono io semmai che dovrei cantare, urlare, sfogarmi, perché trabocco di un’energia terrificante, tanto inattesa quanto insensata – e per questo ancor più terrificante.
D’un tratto mi piace essere quello che sono, mi piace aver fatto quello che ho fatto e soprattutto mi piace quello che farò d’ora in poi. Sono orgoglioso di aver così brillantemente governato la mia nave tra gli stessi scogli sui quali poche ore fa ero naufragato, e soprattutto di esser stato visto mentre lo facevo.
Ciò che intimamente io so di non essere – deciso, scaltro, determinato, paziente –, improvvisamente lo sono diventato davanti a tre testimoni, e anche se si tratta di un’impostura, o forse proprio per quello, questa cosa mi regala un grande appagamento. Come nel sogno che mi è tornato in mente poco fa – a questo punto, devo pensare, non per caso –, sono diventato quello che non sono, e questo mi rende complice, sì, ma anche invisibile, e dunque invulnerabile. Sto scappando e non lo sa nessuno.
L’opacità del mondo, e in particolare quella del mio paese, tante volte biasimata in una intera vita spesa dalla parte della ragione, ora che sono passato da quella del torto diventa una mano amica, e mi protegge. Chi mi troverà mai, ora che ho deciso di non esserci? Chi potrà mai condannarmi per quello che sono se nessuno sa quello che sono?
E poi, a suggellare questa improvvisa fratellanza con il mio popolo, a giustificare il mio ingresso nella schiera dei bugiardi, dei fuggiaschi, dei riciclatori di denaro, dei guidatori senza patente, dei ladri, dei ricettatori, dei ricattatori, dei raccomandati, degli evasori fiscali, dei corrotti, dei corruttori, dei puttanieri, dei profittatori delle miserie altrui, delle simpatiche canaglie e di tutta la gente marcia dentro e pulita fuori che con disarmante spudoratezza continua a pretendere d’esser considerata perbene, non c’è forse il fatto che alla fin fine io non ho commesso nulla di male, che sono stato solo messo in mezzo, che sono innocente?

Sto bene, e questo è un fatto. E se per un assurdo statistico mi fermassero per un controllo, vorrà dire che farò come Patrick quando sfondò la vetrina della sede di Equitalia a Ostia: “Favorisca la patente” – e lui: “Ancora! Ce l’avete voi, la mia patente! Ce l’avete già, ve la siete già presa! Siete dei maniaci, siete ossessionati dalla mia patente! Dovete curarvi!” Dirò così, lo griderò. Almeno mi sfogherò, darò un po’ di spettacolo, mi divertirò…

Sto bene e non sono più nemmeno stanco – ho solo un gran male al polso. È tutto il giorno che sopporto questo dolore ed è tutto il giorno che desidero il mio tutore che potrebbe lenirlo – ma il tutore è dentro la Yaris.
Bene, ora lo lenirò: guardatemi, perché sto accostando lungo la strada, per l’appunto dietro alla Yaris abbandonata tra i pini. Guardatemi. Sto frugando nel vano portaoggetti di questa esosa automobile di lusso: cosa sto cercando? Sto cercando qualcosa per— ecco, questo è perfetto: il martelletto salvavita Michelin, gadget venuto di gran moda tra i concessionari, che anche noi alla Super Car diamo in omaggio ai nostri clienti. Raggruppando in un unico oggetto torcia lampeggiante, manometro digitale, tagliacinture e per l’appunto martelletto rompicristalli, potrà salvarvi la vita in particolari condizioni di pericolo – incidente, sportelli bloccati, vetri bloccati, cinture bloccate, fuoriuscita di carburante dal serbatoio, pericolo d’incendio o di esplosione –, ma potrà tornarvi utile in molti altri modi, come adesso andrò a dimostrare.
Guardatemi, sto scendendo dalla Q3 con questo utensile in mano: è buio, la strada è vuota, non passa nessuno, e anche se passasse non mi vedrebbe – ma cercate di vedermi voi. Le chiavi della Yaris non le ho, sono sulla scrivania del mio ufficio – ricordate? –, in attesa che domani Virginio, il pensionato che lavora in nero per noi, le prenda e venga a recuperare il veicolo.
Ma ho il martelletto salvavita Michelin – il che, dal mio attuale punto di vista, è tecnicamente la stessa cosa.
Eccomi qui, accanto al fianco destro della Yaris, quello che dà sulla campagna; ecco che levo il braccio al cielo per causare danno a me stesso e rubare a me stesso nella certezza che non ne pagherò le conseguenze, dato che la vettura è assicurata contro furto, effrazioni e atti vandalici. Tutto è quieto, intorno a me, tutto riposa. Un paio di fari spuntano in lontananza, si avvicinano velocemente e mi sfrecciano accanto a una velocità assai prossima a quella per la quale io oggi pomeriggio sono stato crocifisso. La farà franca, Alonso? Affermativo: nessuno l’ha visto, la cosa fatta non è stata fatta. E credete forse che lui abbia visto me, che mi abbia notato? Negativo, non mi ha visto – e anche se mi avesse visto mi avrebbe trovato nascosto dietro me stesso: una persona ferma sul ciglio della strada, della quale non gli sarebbe importato nulla. Ecco, dunque, ecco: di nuovo il buio, di nuovo la quiete cieca della campagna. Guardate, dunque, e ammirate il formidabile valore simbolico di un uomo che leva l’arma contro se stesso per lenire il proprio dolore; guardate questo atto e ascoltate questa confessione, già che ci siete: ho sempre desiderato sfasciare un finestrino.

Crash!

Ecco fatto. Il mondo è un frutteto: per soddisfare il proprio appetito basta allungare la mano e cogliere il frutto. Ecco il tutore. Lo infilo, lo stringo bene con lo stretch: il polso s’irrigidisce, il sollievo è immediato. I frammenti del cristallo andato in pezzi compongono una scritta sul sedile della Yaris, un simpatico messaggio che sbrilluccica per me: benvenuto nell’Italia invisibile.