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  • Mercoledì 6 agosto 2014

E le ragazze rapite in Nigeria?

Un aereo americano ha avvistato due gruppi di ragazze in un luogo isolato, si pensa si tratti delle studentesse rapite in aprile; l'interesse dei media però è sceso moltissimo

A woman hold a placard as hundreds of Soweto residents march at the YMCA in Soweto, Johannesbourg, on May 22, 2014, to demonstrate for the release of more than 200 schoolgirls kidnapped by Islamist militant group Boko Haram in Nigeria. The United States has deployed 80 military personnel to Chad to help findthe 223 girls still missing since their abduction on April 14, 2014. AFP PHOTO/ MUJAHID SAFODIEN (Photo credit should read MUJAHID SAFODIEN/AFP/Getty Images)
A woman hold a placard as hundreds of Soweto residents march at the YMCA in Soweto, Johannesbourg, on May 22, 2014, to demonstrate for the release of more than 200 schoolgirls kidnapped by Islamist militant group Boko Haram in Nigeria. The United States has deployed 80 military personnel to Chad to help findthe 223 girls still missing since their abduction on April 14, 2014. AFP PHOTO/ MUJAHID SAFODIEN (Photo credit should read MUJAHID SAFODIEN/AFP/Getty Images)

Da alcuni voli di ricognizione effettuati da aerei statunitensi nel nord est della Nigeria risulterebbe l’avvistamento di due numerosi gruppi di ragazze in alcune località remote del paese. Le immagini aeree risalgono al mese di luglio e due funzionari della Difesa degli Stati Uniti hanno confermato la notizia: in campo aperto sarebbe stato visto un gruppo di circa 60 o 70 ragazze all’inizio di luglio; in un altro luogo isolato, alla fine del mese, ne sarebbero state avvistate altre 40.  Dalle nuove perlustrazioni risulta però che i gruppi sono stati spostati.

Non ci sono comunque abbastanza informazioni per stabilire se i due gruppi fossero in realtà gli stessi, né se si trattasse delle studentesse (tutte tra i 15 e 18 anni) che il gruppo estremista islamico Boko Haram aveva rapito lo scorso 14 aprile in un dormitorio della scuola di Chibok, nello stato di Borno (quelle, per capirci, della campagna Twitter #BringBackOurGirls e che sono state – almeno per un periodo – al centro dell’interesse dei media internazionali). La speranza e anche la probabilità che si tratti delle studentesse è però molto forte. La zona dell’avvistamento corrisponde a quella circoscritta dalle autorità nigeriane. Uno dei due funzionari statunitensi ha inoltre detto: «È raro trovare gruppi così numerosi di ragazze in uno spazio aperto: non si tratta certo di una rock band o di un gruppo di hippie in campeggio».

Secondo le ultime notizie, frutto di voci e non confermate, le 219 studentesse ancora prigioniere (o almeno non tutte) non sarebbero state costrette a sposarsi, non avrebbero lasciato il paese e non sarebbero state ridotte alla schiavitù sessuale, ipotesi ipotesi circolate subito dopo il rapimento e confermate in parte dal leader stesso di Boko Haram. Le donne rappresenterebbero dunque una merce di scambio per il rilascio di altri prigionieri. Esattamente come fa a volte al Qaida, il gruppo di Boko Haram vorrebbe monetizzare il rapimento per finanziarsi, tattica che ha già utilizzato in passato sia in Nigeria che in Camerun. L’ipotesi dello scambio sarebbe stata confermata anche da alcuni intermediari che in modo indipendente hanno cercato di negoziare il rilascio delle ragazze. Alcuni di loro, scrive il Wall Street Journal, sostengono che il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, avrebbe ordinato ai suoi combattenti di trattare le ragazze come preziosi ostaggi. Un funzionario della sicurezza nigeriana, ribadendo questa posizione, ha dichiarato: «Ha dato la direttiva che chiunque venga trovato a toccare qualsiasi delle ragazze venga ucciso immediatamente».

Fin dal rapimento delle studentesse l’esercito nigeriano, il governo e il presidente del paese Goodluck Jonathan – che parteciperà alle elezioni del prossimo febbraio sperando in una rielezione – erano stati molto criticati sia in Nigeria che all’estero. La posizione del presidente, fin dall’inizio, è sempre stata la stessa: non cedere a uno scambio con altri prigionieri. «Non scambiamo persone innocenti con dei criminali», ha ribadito il suo portavoce la settimana scorsa in un’intervista. I risultati delle ricerche sono stati però praticamente nulli. I residenti del nord della Nigeria continuano a dire che i soldati dell’esercito sono in gran parte inattivi o addirittura assenti, la stessa posizione è sostenuta da vari diplomatici coinvolti nelle ricerche e nei soccorsi: hanno parlato di molte carenze dei militari nigeriani che sarebbero male addestrati, male armati (avrebbero infatti a disposizione equipaggiamenti di qualità inferiore a quelli dei miliziani che dovrebbero combattere) e hanno anche denunciato la corruzione tra loro molto diffusa.

Le studentesse, tutte tra i 15 e 18 anni, erano state rapite lo scorso 14 aprile in un dormitorio della scuola di Chibok, nel nord-est dello stato di Borno, nella Nigeria nord-orientale. Di loro non si era avuta alcuna notizia fino al 5 maggio, quando Boko Haram aveva rivendicato il rapimento e aveva detto che le ragazze sarebbero state vendute. Il 12 maggio era stato poi pubblicato un video dove il capo dell’organizzazione, Abubakar Shekau, aveva parlato per circa 17 minuti, aveva annunciato che le donne erano state “convertite all’Islam” e aveva detto che sarebbero state liberate in cambio del rilascio di tutti i militanti arrestati dalle autorità nigeriane. Oltre al leader del gruppo, il video mostrava circa 130 ragazze che pregavano in un luogo difficile da identificare e in cui erano tenute prigioniere.

Il caso, dopo un iniziale disinteresse, era stato raccontato e seguito dai governi e dalla stampa nel mondo diventando una questione internazionale: diversi paesi tra cui Stati Uniti, Cina, Regno Unito e Francia avevano offerto il loro aiuto e il governo della Nigeria aveva accettato. Nonostante gli sforzi – che si sono concertati soprattutto nella ricerca, per scoprire dove si trovassero esattamente le ragazze – i risultati sono stati insoddisfacenti. Dopo quasi quattro mesi dal rapimento, le ricerche – così come l’interesse della stampa – sono in forte calo: l’esercito americano sta realizzando solo un volo di sorveglianza al giorno e i droni inviati sono stati spostati verso altre operazioni. Nel paese, invece, decine di manifestanti – soprattutto donne – si riuniscono ancora ogni giorno nella capitale per chiedere la libertà delle studentesse.