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  • Giovedì 31 luglio 2014

L’Argentina è tecnicamente in bancarotta

Il governo e i creditori non hanno trovato l'accordo per il pagamento di 1,33 miliardi di dollari: Standard & Poor’s ha già declassato il paese in "selective default"

Axel Kicillof, Argentina's economy minister, addresses member of the news media after a negotiation session Wednesday July 30, 2014, in New York. Argentina officials and U.S. bondholders met for the first time in hopes of preventing an Argentine default. (AP Photo/Craig Ruttle)
Axel Kicillof, Argentina's economy minister, addresses member of the news media after a negotiation session Wednesday July 30, 2014, in New York. Argentina officials and U.S. bondholders met for the first time in hopes of preventing an Argentine default. (AP Photo/Craig Ruttle)

Alla mezzanotte di mercoledì 30 luglio, il governo dell’Argentina non ha trovato un accordo con i rappresentanti dei due fondi di investimento statunitensi a cui, in base a una recente sentenza, deve versare 1,33 miliardi di dollari: questo vuol dire che almeno tecnicamente ha fatto default, cioè bancarotta, per quanto la cosa sia contestata dal governo argentino.

Gli ultimi incontri tra i delegati del governo argentino e i rappresentanti dei fondi statunitensi si sono svolti a New York il 29 e il 30 luglio, alla presenza del mediatore Daniel Pollack, ma non hanno portato ad alcun accordo tra le parti. Buona parte della stampa internazionale sostiene che l’Argentina sia già in una situazione di bancarotta per la seconda volta negli ultimi tredici anni (“Argentina defaults as last-minute talks fail”, titola il Financial Times; “Argentina defaults for second time” è invece il titolo di BBC), ma il ministro dell’Economia argentino, Alex Kicillof, ha negato e ha detto che il suo paese ha mostrato l’intenzione di pagare i debiti, visto che ha trasferito a New York i fondi necessari a coprire gli interessi in scadenza sui bond ristrutturati.

Dopo il fallimento delle trattative, anche il mediatore Pollack ha confermato la bancarotta dell’Argentina. Pollack ha diffuso un comunicato dicendo che «sfortunatamente non c’è stato nessun accordo e l’Argentina entrerà subito in default. Il default non è solo un tecnicismo. È un evento reale e doloroso che creerà diversi danni alla popolazione». Poco prima della chiusura delle trattative, l’agenzia di valutazione del credito Standard & Poor’s aveva già dichiarato l’Argentina in “selective default”, un giudizio che indica il mancato pagamento su alcuni titoli del debito sovrano in valuta straniera. S&P ha anche detto che potrà rivedere il rating nel caso in cui l’Argentina trovasse un modo per fare tutti i pagamenti.

Come si è arrivati a questo punto
La situazione per l’Argentina è una conseguenza della bancarotta risultata dalla crisi economica e finanziaria del 2001, quando l’Argentina dichiarò default su circa 100 miliardi di dollari di debito. In parole povere, l’Argentina disse che non era in grado di restituire ai possessori di titoli di stato i soldi che questi avevano prestato al paese. Per affrontare la crisi vennero avviate trattative per arrivare alla cosiddetta “ristrutturazione del debito”: nel 2005 e nel 2010 vennero emessi nuovi titoli di stato “scontati” – cioè con rendimenti inferiori e con scadenza più lunga, trentennale – offrendoli ai creditori. Pur di limitare le perdite, lo scambio (swap) fu accettato dal 92,4 per cento degli investitori, mentre il 7,6 per cento degli obbligazionisti rifiutò. Questi creditori “ribelli” ricorsero alla giustizia statunitense. Lo scorso mese la Corte suprema americana gli ha dato ragione, dicendo in pratica che i possessori di titoli di stato argentini che non avevano accettato la ristrutturazione del debito successiva al default del 2001 dovevano essere rimborsati al cento per cento. La cifra da pagare corrisponde a 1,33 miliardi di dollari e la scadenza era la mezzanotte di mercoledì.

Il fatto che l’Argentina si sia rifiutata di rimborsare questi fondi le ha impedito anche di effettuare i pagamenti sul debito ristrutturato, quelli “ridotti”. Lo scorso 26 giugno l’Argentina aveva depositato più di 800 milioni di dollari per pagare chi aveva accettato lo scambio, ma il giudice della Corte suprema aveva «ordinato alla Banca di New York e alle società di servizi di compensazione di non pagare». Per questo Kicillof ha detto che il suo paese non deve essere dichiarato in default: «Questo non è un default, perché default è non pagare. La vita andrà avanti anche senza un accordo sul debito». Intanto sono falliti anche i tentativi paralleli di un gruppo di banche private argentine di acquistare e pagare per intero i bond nelle mani dei fondi di investimento, ma secondo il giornale finanziario argentino Ambito Finaciero le trattative tra privati proseguiranno anche oggi.

Secondo diversi analisti questo default non avrà le stesse conseguenze sull’economia argentina rispetto a quello del 2001, quando le autorità congelarono i conti dei risparmiatori per fermare l’assalto alle banche, e quando ci furono delle enormi proteste in tutto il paese e decine di persone rimasero uccise negli scontri con la polizia. Secondo Pollack le conseguenze che il default provocherà non sono prevedibili, anche se sicuramente non saranno positive.

Foto: Axel Kicillof, ministro dell’Economia argentino, durante una conferenza stampa il 30 luglio 2014 a New York. (AP Photo/Craig Ruttle)