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  • Martedì 3 giugno 2014

Come finisce il libro

È il titolo del nuovo saggio di Alessandro Gazoia. Sottotitolo: "Contro la falsa democrazia dell'editoria digitale"

Il tema molto attuale e molto discusso del presente e del futuro dei libri è analizzato e raccontato nel nuovo libro di Alessandro Gazoia, studioso di letteratura e informazione, già autore di un accurato studio sull’informazione online italiana, Il web e l’arte della manutenzione della notizia. Il nuovo libro si chiama Come finisce il libro (Minimum Fax) e inizia così.

Caro Lettore,
 non è educato accoglierti qui sulla soglia con domande dirette, ma dobbiamo fare molta strada in un piccolo libro dove proprio di te si parla, e chiederti come sei arrivato a questo testo e come lo stai leggendo sarà il primo ben deciso passo del nostro cammino. Indaghiamo infatti i mutamenti profondi nel mondo del libro, dall’idea di autore e di pubblicazione alle nuove forme digitali di produzione, distribuzione e vendita, dalle difficoltà e opportunità che i soggetti tradizionali come l’editore, la libreria e la biblioteca incontrano in un’epoca di grandi stravolgimenti alle innovazioni tecnologiche, commerciali nonché sociali che stanno favorendo la diffusione del libro elettronico o meglio dell’ambiente di lettura digitale. Questi processi, pur distinti, non sono scollegati gli uni dagli altri e vanno infine compresi in un quadro più ampio che qui proveremo a comporre.

E tu, caro Lettore, in questo quadro, per basse ragioni economiche e alti ideali, rimani sempre al centro. Senz’altri indugi ti domando quindi: hai notato quest’opera sullo scaffale di una piccola libreria indipendente e l’hai subito comprata? O la stai ancora sfogliando in un multicenter Feltrinelli, t’infastidisci per un appello iniziale tanto spudorato e passi ad altro, alla piramide vicino alla cassa con Gli sdraiati di Michele Serra, a un album di Beyoncé, a un panino nel punto ristoro da consumare seduto sotto un ritratto di Amélie Nothomb? Questo libro non lo puoi invece trovare al supermercato, in autogrill o in altro luogo della grande distribuzione organizzata perché quel canale ospita un numero piccolo di titoli dalle alte vendite, soprattutto novità di grandi editori. Davanti al Camogli, o nel carrello insieme alla pizza surgelata, nel 2014 hai il best-seller di stagione ma, a meno che non sia un successo di straordinaria durata o venga rilanciato da un film, tra un anno difficilmente lo troverai. Anche nelle piccole librerie e in quelle di catena il libro è sempre più «compresso», spesso si gioca tutto nei primi 30-40 giorni: se non vende subito bene (rispetto al segmento di mercato a cui appartiene) finisce in resa. Viene rimandato al distributore e inizia così una vita incerta, tra il lieto fine di un riordino del libraio (lieto fine provvisorio perché potrebbe venir di nuovo reso), il triste epilogo del macero e altre peripezie da romanzo ottocentesco come la caduta sopportata con decoro nelle librerie di remainders (i «nuovi a metà prezzo») e la lieta vecchiaia di copia dono per la biblioteca di paese.

Probabilmente usi almeno un social network e forse mi stai leggendo per un consiglio arrivato da un sito specializzato nella «lettura sociale» (social reading) come Goodreads e Anobii, o dai più generalisti Facebook e Twitter: qualcuno dei tuoi contatti, in uno di questi luoghi che con sempre maggiore disagio definiamo virtuali, potrebbe averti segnalato Come finisce il libro con una foto di copertina, un parere personale, una recensione di blog o rivista, spingendoti all’acquisto immediato su internet. Dove trovi il libro desiderato anche se vivi in un paesino con una sola sfornitissima cartolibreria e dove non ci sono orari di apertura, non ci sono parcheggi scomodi, non ci sono lunghe attese alla cassa nemmeno nella settimana di Natale: il libro è subito lì a un clic di distanza, sempre disponibile, come per magia. Ma l’incantesimo più riuscito è quello che ci fa dimenticare come in quelle aziende per nulla virtuali il lavoro umano (manuale e intellettuale) sia fondamentale e spesso venga sfruttato, in India e in Cina come nel nuovo grande deposito che «crea occupazione» nei paesi avanzati stretti dalla crisi, sempre lontano dagli occhi di noi soddisfatti acquirenti. E scordiamo pure che le nostre discussioni, segnalazioni, foto del libro sullo scaffale sono lavoro sociale e intelligenza collettiva donati a imprese private: costituiscono, nell’insieme e per il singolo, l’indispensabile continuo input per i loro portentosi algoritmi.

Per anni la maggior parte degli utenti di internet ha guardato con vivissima simpatia alle nuove imprese che offrivano servizi molto utili, gratuiti o a prezzi vantaggiosi. Google, Amazon, Facebook (e società capaci di rinnovarsi come Apple) hanno goduto di un più basso livello di scrutinio e di una più blanda richiesta di responsabilità rispetto ad aziende tradizionali come Fiat, McDonald’s e pure Mondadori. In buona parte beneficiano ancora di questo pregiudizio favorevole e continuamente tentano di rinforzarlo: chi usa ogni giorno per lavoro o divertimento il motore di ricerca e gli altri prodotti di Google, interagisce e si svaga per ore su Facebook con i propri amici e marchi e personaggi favoriti, compra a ottimi prezzi e in piena sicurezza i libri e gli articoli più diversi su Amazon sente di «dovere» qualcosa a queste aziende, che gli hanno «semplificato la vita» e, grazie alla tecnologia, gli consentono di fare cose quasi inimmaginabili venticinque anni fa.

Si costruisce così un saldo rapporto di fiducia tra l’utente e il colosso di internet che, nonostante i grandi numeri, serve perfettamente ogni singolo cliente. Un ottimo esempio di questa fidelizzazione commerciale che sconfina nel legame affettivo sono le recensioni dei clienti su Amazon Italia: molte iniziano magnificando l’affidabilità, la spedizione gratuita, l’imballaggio accurato, la consegna veloce e soprattutto il prezzo conveniente offerti da Amazon e, solo in chiusura, motivano il giudizio positivo sul singolo articolo con la qualità del singolo articolo: la lode è prima di tutto per Amazon nell’intero suo operare, anche quando agisce semplicemente da intermediario digitale tra un’azienda terza e il cliente. Del resto, chiunque abbia avuto a che fare con il servizio clienti di Amazon sa bene quanto in efficienza e gentilezza sia superiore a quasi tutti i concorrenti tradizionali, e questa naturalmente è una precisissima strategia: il cliente deve sentirsi sempre (per usare le parole dei comunicati stampa ufficiali) «coccolato», «viziato», «deliziato» dall’azienda, ovvero spinto a fare nuovi acquisti con la massima facilità e a ricambiare la fiducia. Il giornalista del New York Times David Streitfeld racconta di una persona che prima compra delle infradito su Amazon, poi ne trova un paio che gli piacciono di più in un altro negozio e contatta quindi Amazon per rispedire l’articolo e ottenere il rimborso: l’azienda ripaga le infradito e gli dice di non preoccuparsi a rimandarle indietro.  Se non hai ancora pensato di comprare le ciabatte su Amazon, se non immagini nemmeno che sia possibile renderle indietro perché, dopo l’acquisto su quel sito, ne hai visto un paio che ti piacciono in un altro negozio, se ti sentiresti a disagio nel chiederne il rimborso per quella ragione e soprattutto nel conservare l’articolo che ti è stato rimborsato, sei il prossimo cliente ideale di Amazon che, giustamente, scommette sulla tua correttezza e senso della misura.

La valutazione positiva verso i colossi del web si fonda inoltre sull’enorme sproporzione tra quanto l’azienda sa del cliente e quanto il cliente sa dell’azienda. Ci fidiamo di quello che le aziende dicono sulla sicurezza e riservatezza dei nostri dati, ci fidiamo che questo continui a valere per sempre nonostante le continue prove del contrario (si pensi solo ai molteplici cambiamenti nelle condizioni d’uso di Facebook), ignoriamo quante informazioni raccolgano su di noi e come le utilizzino, ignoriamo come si lavora dentro e con quei giganti della rete in Italia e negli altri paesi, non vediamo quasi mai le conseguenze sociali più ampie del loro dominio sul mercato. Comunichiamo senza sosta informazioni agli altri utenti e all’azienda e non sappiamo quasi nulla di Amazon, o meglio: quello che sappiamo non viene da Amazon, che nel migliore dei casi diffonde comunicati stampa di vaghezza e reticenza ineguagliabili. E la cultura del segreto di quel colosso che tutto conosce dei propri clienti e li spinge a condividere sempre di più le proprie esperienze è riconfermata a ogni nuova mossa sui cento mercati diversi in cui opera.

Questo testo crede nelle possibilità progressive delle nuove tecnologie e delle economie di rete e crede pure nella «rivoluzione» digitale del libro, ma rifiuta di indulgere nella lode trionfalistica di ogni cosa che venga proposta sul mercato come «innovazione». Si propone cioè di non cedere a quella feticizzazione della tecnologia che è, anche in Italia, il marchio regressivo di troppi entusiasti digitali.