Otto canzoni di Marvin Gaye

Una playlist per riascoltare qualcosa nel trentesimo anniversario della sua morte

Marvin Gaye performs at New York's Radio City Music Hall on opening night, May 17, 1983. (AP PHoto)
Marvin Gaye performs at New York's Radio City Music Hall on opening night, May 17, 1983. (AP PHoto)

Il primo aprile 1984 morì Marvin Gaye, ucciso da suo padre in circostanze mai del tutto chiarite. Queste sono otto sue canzoni che Luca Sofri, il peraltro direttore del Post, scelse per il libro Playlist, la musica è cambiata.

Marvin Gaye
(1939, Washington, Columbia – 1984, Los Angeles, California)
Un genio, e un figo della Madonna. Titolare di uno dei dischi più importanti nella storia del soul. A tre anni cantava col coro della chiesa, poi ebbe tutti casini del mondo con le donne, la droga e la discografia, e a 45 anni suo padre, reverendo, gli sparò. Un genio, e un figo della Madonna.

Ain’t no mountain high enough
(1967)
“Listen, baby…”. Questa cosa che per vedersi Marvin Gaye e Tammi Terrell – che allora abitavano probabilmente in due eleganti appartamenti del centro e non erano esattamente i tipi del taglialegna e della bella lavanderina – dovessero scavalcare dei passi montani e guadare dei fiumi, non è credibilissima.

I heard it through the grapevine
(I heard it through the grapevine, 1968)
Beh, un mito, anche se l’hanno infilata in tutti i film e gli spot del mondo, compreso uno per le uvette (è anche uno dei molti tesori della colonna sonora perfetta, quella del Grande Freddo): ma con quell’attacco lì, si può vendere qualsiasi cosa. Nell’anno prima che convincessero il signor Motown, Barry Gordy, a farla cantare a Gaye, la canzone era stata già data a parecchi altri. Ma con lui divenne il singolo più venduto nella storia della Motown. Una delle più grandi canzoni sulla rivelazione dell’esistenza dell’altro, assieme a “Fiori rosa, fiori di pesco”.

Mercy mercy me (The ecology)
(What’s going on, 1971)
What’s going on è un album mitologico per la storia del soul: invece che farsi passare dalla Motown le solite canzoni scritte da qualcun altro il giorno prima o vent’anni prima, Marvin Gaye se le scrisse da sé. Un disco di ballabili e al tempo stesso di testi, considerazioni, posizioni forti. “Mercy mercy me” è – come dice il sottotitolo – una canzone ambientalista. “Mercy mercy me, things ain’t what they used to be”. La base è una grandissima invenzione, e soprattutto quel giro di chitarra che non è la prima cosa che se ne percepisce. E la canzone stessa è organizzata in modo anomalo e nuovo: nessun ritornello e l’assolo di sassofono nel finale, che si sospende improvvisamente senza che la voce rientri, con quella chiusa un po’ da Scooby Doo.

What’s going on
(What’s going on, 1971)
La title-track affrontava invece più genericamente i drammi del mondo, odi e guerre, proponendo la generica ma infallibile soluzione dell’amore: “You’ve got to find the way to bring some lovin’ here today”. Lo stesso dubbio e la stessa domanda del titolo, tradotti, sarebbero stati espressi anni dopo da Roberto Benigni con la battuta “o icché c’è?”.

Let’s get it on
(Let’s get it on, 1973)
Attacco degno di Otis Redding, e “uuuuh!”. Poi sesso sesso sesso – la sua nuova ragazza aveva diciassette anni – anche se “sono caldo come un forno” l’avrebbe conservata per la successiva “Sexual healing”.

I want you
(I want you, 1976)
Poi lui era bravo a fare questo: un grande sottofondo ritmico antelounge e trascinarci molto le sillabe sopra.

Got to give it up
(Live at the London Palladium, 1977)
La madre di tutte le canzoni di gridolini – Michael Jackson doveva ancora fare “Don’t stop ‘til you get enough” – e gli fece fare il colpo più grosso della sua carriera fino ad allora, piste da ballo comprese. La versione originale pubblicata in appendice a un disco dal vivo era di dodici minuti, e Gaye ci aveva improvvisato sopra anche la percussione di una bottiglia di succo di pompelmo.

Sexual healing
(Midnight Love, 1982)
Probabilmente la più celebre e definitiva canzone da pomicio – a dire il meno – di tutti tempi. Eravamo finiti negli anni Ottanta, e Marvin Gaye ci mise il piede dentro con questa roba di “come on, come on, come on” e un video che rincarava la dose (quello con l’infermiera). Quasi tutto quello che si sente, lo suona Marvin Gaye, e il resto il chitarrista Gordon Banks.

(Foto: AP Photo/Nancy Kaye)