Il kamut e la sua storia

Spiegato nel suo libro da Dario Bressanini, con quello che è vero e quello che è un mito pubblicitario

Dario Bressanini, scienziato e divulgatore sui temi della scienza, ha pubblicato un libro – “Le bugie nel carrello” – in cui racconta e spiega molte cose sugli alimenti che compriamo e consumiamo. La parte che spiega il kamut, alimento diventato ultimamente molto di moda, l’ha pubblicata sul suo blog.

Di recente l’industria alimentare ha rispolverato i cosiddetti «grani antichi», particolari varietà o specie di grano che da decenni o secoli erano state abbandonate dal punto di vista commerciale perché poco remunerative. Alcuni agricoltori le hanno reintrodotte perché, nonostante abbiano rese più basse rispetto al frumento, possono essere coltivate in modo biologico in aree marginali e vendute a un prezzo superiore grazie al favore che incontrano presso i consumatori. Questi mostrano di apprezzare i grani antichi perché li percepiscono come «più naturali» e con interessanti proprietà nutrizionali. Dal canto loro, le aziende alimentari ne sono attratte perché consentono loro di diversificare la produzione in base alle esigenze dei consumatori. I grissini che acquisto io sono disponibili anche nella versione al frumento tradizionale, che costa meno ma piace meno in casa. Pasta e nuovi prodotti da forno (pane, biscotti, piadine, grissini ecc.) che contengono miscele di farine si trovano in gran quantità anche nei negozi specializzati in alimenti biologici e «naturali». Di sicuro, il cereale che riscuote più successo di tutti è il Kamut.

La leggenda racconta che, subito dopo la seconda guerra mondiale, un pilota militare americano abbia trovato in un’antica tomba vicino a Dashare, in Egitto, una manciata di semi vecchi di quattromila anni. Nel 1949 regalò trentasei chicchi a un amico, Earl Deadman, che li spedì a suo padre, un agricoltore del Montana. Quei semi vennero piantati e, miracolosamente, trentadue di essi germinarono,  consentendo l’avvio di una piccola produzione. Portato in giro per le fiere agricole del Montana negli anni Sessanta come curiosità, quel cereale con i suoi chicchi grandi (il doppio rispetto al frumento comune) venne soprannominato «grano del faraone Tut». Nel giro di poco tempo la novità scemò e quel grano venne dimenticato.[i]

Nel 1977, i Quinn, una famiglia di agricoltori di Big Sandy nel Montana, recuperarono nello scantinato di un amico una scatola contenente quei semi, li seminarono e li moltiplicarono. Nel 1987 Bob Quinn, il più giovane della famiglia, con un dottorato in patologia vegetale e una buona propensione per gli affari, decise di usare un nome egizio per dare un’identità riconoscibile a quel grano e commercializzarlo. Consultando un dizionario dei geroglifici egizi nella biblioteca locale, accanto alla descrizione di grano e pane trovò la parola «kamut». Il 3 aprile 1989 Quinn registrò il nome Kamut e fondò la Kamut International. Non a caso nel marchio della società, presente su ogni confezione di prodotti di questo tipo, compare una piramide egizia. Kamut quindi non è il nome di una specie vegetale, ma un marchio registrato (da qui l’uso obbligatorio del simbolo ® su tutti i prodotti che lo contengono) che sfrutta a fini pubblicitari le sue supposte origini egizie, il fatto di essere un «grano antico» e, come vedremo, le sue presunte qualità nutrizionali.

(continua a leggere sul blog Scienza in cucina)

Aggiornamento: Bressanini ha poi completato le sue spiegazioni qui, e lunedì 11 novembre ha contestato alcune cose raccontate nel programma Report.